sabato 29 ottobre 2016

"La ragazza senza nome " di Jean-Pierre e Luc Dardenne ( Belgio, 2016 )


Ancora un film sulla nostra coscienza e la responsabilità verso gli altri . Ricorderete forse " Un padre e una figlia " , il film romeno di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. Questo di oggi ( in originale "La fille inconnue", e una volta tanto il titolo italiano mi sembra addirittura più indicato ) è l'ultima creazione dei fratelli Dardenne, gli eccezionali " artigiani " cinematografici che vivono ed operano da più di vent'anni nella periferia di Liegi.Non esito ad impiegare questo termine, artigiani, perchè penso che riesca a rendere l'idea di un lavoro certosino di ricerca , di scrittura ( le sceneggiature sono tutte rigorosamente loro ) di reperimento dei luoghi da filmare, di preliminare e minuzioso studio delle singole inquadrature, di controllo meticoloso degli ambienti ( tutti o quasi autentici,non solo gli esterni, veri appartamenti, case o luoghi pubblici , insomma ) . Un lavoro che può prendere, nella fase di preparazione di ogni opera, mesi o addirittura anni e che i due fratelli compiono insieme, in una continua e fruttifera collaborazione quali solo due esseri in piena simbiosi ed intensamente chini sul loro lavoro possono creare.
Jenny è una giovane dottoressa che lavora temporaneamente in uno studio di medicina pubblica , in attesa di essere presto ingaggiata da una struttura privata che le darà presumibilmente più prestigio e maggiori guadagni. Il quartiere in cui svolge la sua pesante attività è abitato da povera gente, operai, piccoli impiegati , disoccupati, anziani soli ,come si dice comunemente gente che fatica ad arrivare alla fine del mese . Ma ci rendiamo subito conto - o meglio sono gli autori che, con pochi e misurati accenni, ce lo mostrano - che al di là del disagio economico il vero problema è l'indifferenza reciproca , la scarsa comunicazione, l'usura dei sentimenti, il fatale ripiegarsi su sè stessi come ultima arma di difesa. I personaggi parlano poco e quando lo fanno ricorrono generalmente a frasi stereotipe, per prudenza , per pudore forse della loro condizione. E il medico, questa istituzione che nei tempi moderni ha laicamente sostituito il confessore o le tante guide spirituali e materiali di una volta, è diventato il perno intorno al quale ruota forzatamente un'umanità dolente e bisognosa di attenzione.
Una sera, è passata più di un'ora dalla chiusura dello studio e Jenny si trattiene all'interno solo per sistemare le cartelle cliniche con il suo assistente, suona improvvisamente il campanello dell'entrata. La dottoressa è stanca , è attesa ad un piccolo ricevimento di benvenuto nel nuovo posto di lavoro, decide così di non aprire, non risponde nemmeno al citofono, pensa giustamente di avere diritto di "staccare" ". La mattina dopo è informata dalla polizia che una giovane donna è stata trovata morta, forse una disgrazia forse qualcosa di più sospetto, poco distante dallo studio medico. La telecamera esterna all' immobile, visionata dalla polizia, mostra che la vittima, una giovanissima africana rimasta inidentificata, era proprio la persona che, senza successo, aveva suonato il campanello la sera prima. Ciò che sconvolge Jenny, oltre alla inquietante coincidenza, è che dal filmato della telecamera di sorveglianza si intuisce facilmente che la donna era terrorizzata e, inseguita probabilmente da qualcuno, cercava riparo, assistenza, un aiuto qualsiasi, prima di fuggire via non avendo avuto risposta ed andare così incontro al suo triste destino.
Di qui la progressiva presa di coscienza di Jenny, la sua decisione di " non mollare ", di declinare l'offerta di andare a lavorare nella clinica privata e di rilevare invece lo studio di medicina pubblica dove svolge adesso la sua attività. Restare sul terreno dunque, non sottrarsi alla lotta, soldato di una diuturna, difficile battaglia per continuare a prestare aiuto al suo prossimo. Il rovello principale della dottoressa diventa quello di dare un nome alla giovane morta ,probabilmente una immigrata clandestina, sperando che i suoi parenti, dei conoscenti , qualcuno insomma, si manifesti e sia disponibile a confermare la sua identità ed offrirle  quindi una degna sepoltura. Incomincia così una sua personale inchiesta che la porta ancora di più a contatto con un mondo dove la solidarietà e la pietà faticano a farsi strada tra le preoccupazioni contingenti , la paura e lo stordimento di un modo di vivere sempre più alienato e smarrito. Non racconterò il finale, affidato alle ultime , vibranti inquadrature, di un 'opera che, a tratti, ha l'andamento di un " giallo " ma non dimentica mai le sue preminenti preoccupazioni morali.
Il film- coloro di voi che lo vorranno vedere sono sicuro che lo percepiranno- termina su di una nota di speranza e di ottimismo . Non è un " lieto fine ", l'esistenza di tutti rimane difficile e precaria. Ma una luce si è accesa improvvisamente, un principio di umanità si è fatto strada. Torna quella dignità dell'uomo su cui , un giorno forse, si potrà ricostruire una società più giusta, che riscaldi i cuori ed illumini le menti. Ma non è un " miracolo "- piccolo, molto piccolo - lo scioglimento di questo come degli altri film dei Dardenne . Nè una vera presa di coscienza sociale in senso rivoluzionario. Liberi sia da una fede religiosa ( il loro non è un approccio che crede nella trascendenza ) che da una politica ( non mi sembra nemmeno che riflettano su di una trasformazione che operi sui rapporti sociali ) i due fratelli fanno un cinema eminentemente , autenticamente, "umanistico ". Credono nell'uomo , in fondo, e nella possibilità di cambiamento e di crescita attraverso una presa di coscienza che partendo dagli individui investa e trasformi l'intera società.Tutto sommato, anche se programmaticamente laica, una visione che si avvicina almeno al nucleo centrale di quella cristiana.
Ma se questo è, secondo me , il significato del film alla luce anche delle opere precedenti ( ricordiamo almeno le più interessanti, " La promessa " , " Il figlio ", " Rosetta ", " Il ragazzo con la bicicletta " ) come è il film da un punto di vista più propriamente cinematografico ?Il cinema dei Dardenne solitamente è scabro, essenziale, concede poco allo sguardo goloso dello spettatore , non vi è la ricerca della bella inquadratura o del movimento di macchina fine a se stesso che strappi, per così dire l'applauso. Coerentemente,insieme a tutti gli autori che si sono posti grandi temi morali come loro punto di arrivo - Rossellini, De Sica, Bresson, Bergman, per certi versi lo stesso Hitchcock - i loro film sono composti da immagini funzionali alla vicenda (nei Dardenne, poi, il dialogo è ridotto, manca il commento musicale , la recitazione non è eccessivamente enfatizzata ). Ma è un cinema che non è mai facile o banale. Ci sono poche descrizioni ambientali ( delizia ma anche croce, ad esempio, dei film di casa nostra ) se non quelle strettamente necessarie allo sviluppo della vicenda. Il "territorio " dei Dardenne è reso sullo schermo da rapidi ricami, spesso notturni, fatti di strade , di facciate di case, di veicoli in transito, talvolta da poche notazioni geografiche , il fiume , i vecchi stabilimenti industriali dismessi . L' uso prolungato della macchina da presa " a spalla " dà un continuo senso di urgenza, di provvisorietà ,in conformità peraltro con la stessa atmosfera generale in cui è immersa la vicenda. Gli interpreti sono quasi braccati , pressati da inquadrature ravvicinate che trasmettono allo spettatore una fisicità e un senso di clausura che bene rendono la difficoltà dei personaggi di liberarsi dalle proprie costrizioni. Diremmo quasi un cinema povero, francescano nella sua semplicità ma di grande impatto emozionale.
Non tutto è perfetto o privo di mende , questa volta . Le prime sequenze de " La ragazza senza nome " sono un pò lente e poco incisive, a differenza che nelle opere precedenti. Alcuni passaggi della vicenda non sono oliati alla perfezione e qualche personaggio minore è meno riuscito. Tra gli attori non mancano quelli che collaborano con i Dardenne dagli inizi. L'interprete principale è la francese Adèle Haenel ( con lei non perdetevi, se riuscite a trovarlo almeno in DVD, "Les combattants " ) molto giusta nella parte, perfettamente in linea con le intenzioni della regia. Ma il film, poi, molto presto incomincia a salire di tono e di intensità, sino, lo ho un pò anticipato, al bellissimo finale, semplice e commovente. Uscendo dal cinema, mi sento di dire, per qualche istante ci si sente riappacificati col mondo, più buoni e più generosi . Ci salverà il cinema ( ci salveranno la letteratura , la musica, il teatro, le arti figurative ) da questo senso di sfiducia e di noia che sembra a volte intristire le nostre esistenze ? Un compito impegnativo e che vorremmo venisse affidato anche a qualcosa di più concreto e fattuale : ad un rinnovato soprassalto di volontà, ad un impegno civile, ad un forte sentire comune, chessò. Ma nel frattempo...

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