Il problema delle responsabilità - che abbiamo verso gli altri ma anche
verso la nostra coscienza- e quello, connesso, della colpa. Come
mantenersi integri, come affrontare le mille insidie che ci si parano
dinnanzi, come negoziare i difficili passaggi della nostra esistenza in
cui siamo costretti ad operare delle scelte: scelte che possono
risultare gravide di conseguenze per noi e per gli altri.Sono temi
spiacevoli, che frequentemente si pongono alla nostra attenzione,alla
nostra memoria o semplicemente alla nostra fantasia e sui quali ci
arrovelliamo senza - e come, altrimenti?- venirne a capo in maniera
soddisfacente.
Sono argomenti che, sul piano della
trasfigurazione artistica, sono stati trattati, descritti, sviscerati
infinite volte. Nella letteratura soprattutto, spesso con risultati
straordinari. Tutti ricordiamo i tormenti dell' Innominato manzoniano
nella famosa notte che lo conduce alla conversione. A teatro, come non
pensare ai tragici greci od a Shakespeare?
Al cinema però siamo più
riluttanti ad accettarli, come se le trame che si dipanano sullo
schermo non fossero il luogo deputato per vedervi riflesse le nostre
preoccupazioni,le nostre angosce, i nostri rimpianti. Il cinema , per
molti, rappresenta anzi la fuga- se mai questa fosse possibile- dalle
nostre ansie quotidiane, un mitico regno alle cui porte si arrestano,
appunto, quegli interrogativi che spesso ci poniamo.
Non che
manchino, naturalmente, felici esempi in cui sullo schermo, per la
canonica durata di novanta o centoventi minuti, questo possa avvenire
.Pensiamo a tanto cinema cosiddetto " di evasione ", tutt'altro che
minore nella sua deliziosa amoralità artisticamente ben riuscita. Ma
anche gli sceneggiatori e i registi che maggiormente sanno "divertirci "
( i Lubitsch, i Wilder, gli autori della " commedia all'italiana" degli
anni 50-60-70 ) hanno poi, nel sottofondo e nemmeno tanto, risvolti,
tonalità, accenti in cui i grandi temi morali fanno tranquillamente
capolino e ci ricordano della nostra condizione umana: condannati a
pensare, a " sentire ", a vivere insomma. E proprio il cinema, nella
potenza espressiva dei maggiori creatori di forme cinematografiche (
Fritz Lang, Welles , Hitchcock, Rossellini per non citare che i primi
che mi vengono in mente ) racchiude la capacità -assolutamente alla pari
di altre forme d'arte- di evocare quei fantasmi che si agitano nella
nostra immaginazione e nella nostra coscienza . Nel suscitarli nel
nostro immaginario visivo e nel renderli vivi e assolutamente credibili,
ancorche frutto di "finzione" ,attraverso i personaggi e le situazioni
che " mette in scena ", esso svolge quella funzione critica
dell'individuo e della società che è imprescindibile per noi esseri
pensanti e ci " purifica " e libera al tempo stesso dai nodi irrisolti e
dalle paure racchiuse nelle nostre menti e nei nostri cuori.Il cinema,
in definitiva , per riprendere un interrogativo che ci si pone talvolta e
darvi una risposta affermativa, può davvero in questo senso contribuire
a " renderci migliori".
E' quanto viene in mente assistendo
alla proiezione di " Un padre, una figlia ", tuttora sugli schermi
italiani dopo essere stato presentato al Festival di Cannes la scorsa
primavera ed avervi vinto ( non immeritatamente ) il premio per la
migliore regia.Sotto questo titolo anodino inflittogli dai distributori
italiani si cela l'originario "Bacalaureat ", che è in Romania, sul
modello francese,la prova conclusiva degli studi secondari che apre le
porte dell' Università, insomma il nostro esame di maturità. Ed è la
prova che deve affrontare la figlia del protagonista, ottima allieva,
destinata nella mente del genitore a studiare in Inghilterra e a
rimanervi anche dopo la laurea, visto lo stato desolante di casa sua.
Siamo infatti ai giorni nostri, in una cittadina della Transilvania in
cui,dopo un quarto di secolo dalla caduta di Ceaucescu, le cose non
vanno molto meglio quanto a stile di vita ( corruzione, piccoli ma
sistematici intrighi di potere) di come andassero sotto la dittatura.
Clima pesante , dunque, aggravato dalla poco brillante situazione
economica generale e dall'atmosfera grigia e priva di slancio in cui si
dibattono i personaggi del regista. Il padre della ragazza non se la
passerebbe poi tanto male. E'un primario del locale ospedale, ha potere e
prestigio. Ha in casa una situazione difficile, con una moglie, è vero,
con la quale praticamente non comunica più ma è gratificato ( od
afflitto, secondo i casi ) da una amante giovane e belloccia ,
insegnante nelle scuole cittadine. Tuttavia, ed è qui che prende le
mosse il groviglio morale che ci viene proposto nel film, un banale
incidente della figlia il giorno prima della prova ( un balordo
l'aggredisce per la strada e le causa un considerevole shock, mettendo a
repentaglio il buon esito dell'esame e conseguente speranza di venire
accolta da una Università inglese )costringerà il padre a procacciarsi
l'aiuto del preside della scuola per " ammorbidire " la commissione.
Questi peraltro, per dare seguito alla richiesta, richiede a sua volta
al medico di far saltare, fraudolentemente, una lunga lista d'attesa ad
un suo parente in attesa di venire operato. Insomma : corruzione in
cambio di un altra corruttela. Una pratica non certo sconosciuta o
inattuata, in contesti così moralmente labili e degradati e che taluno
potrebbe considerare " colpa lieve " , tenuto conto del fine-
familistico ma non del tutto immorale- cui essa tende nella fattispecie.
Ma il nostro protagonista ha ancora una coscienza, nonostante tutto, e
si apre in lui una sorda , dolorosa analisi che lo porta ad interrogarsi
sui compromessi cui ha dovuto ( probabilmente ) piegarsi durante tutta
la vita e sulla liceità o meno dei suoi comportamenti, pubblici e
privati, passati e presenti. Come d'abitudine, non dirò di più per non
togliervi l'incombenza di verificare da voi stessi " come va a finire
"...
Dirò solo che questa auto-indagine del protagonista è
tutt'altro che letteraria ed astratta- come , raccontandola, potrebbe
temersi- implicando essa invece situazioni , dialoghi e soprattutto
immagini ( al cinema assolutamente essenziali ) di grande pregnanza e
pertinenza. Si delinea in questo modo non solo una dolorosa vicenda
privata in cui il protagonista fatica a venire a capo dei propri
scrupoli, a fare luce nel groviglio delle proprie sensazioni e dei
propri comportamenti per trovare una indicazione morale definitiva per
la non facile scelta che è chiamato a compiere. Ma anche un quadro
desolante di un ambiente sociale in cui i miti del potere e del
successo economico, in assenza di solidi anticorpi,trovano scarsa o
nessuna resistenza, come se la cesura politica tra prima e dopo la
dittatura , in fondo, contasse assai poco.
Grande descrittore del
proprio sfortunato Paese ( qualcuno forse ricorderà un suo precedente
film in cui veniva raffigurato l'iter terrificante di un aborto
clandestino nella Romania di Ceaucescu ) Mungiu ha mano sicura
nell'evocazione del sordido microcosmo che circonda il protagonista,
nella direzione degli attori ( tuuti bravissimi anche se a noi
sconosciuti ) e nel " taglio " delle singole scene, una più essenziale
dell'altra, da vero " artigiano " che sa molto bene come il " meglio "
sia spesse volte nemico del " bene ". Un film da vedere, come si diceva
all'inizio, per constatare come il cinema abbia tutti gli strumenti
espressivi per affrontare temi morali, di coscienza se volete, senza
risultare stucchevole o piattamente " moralistico "
Accenno
appena, per non ripetere considerazioni già svolte a proposito del primo
titolo, con cui ha più di una sorprendente parentela, al secondo titolo
che vi consiglio questa settimana, quella " Ragazza con la valigia "
che certo diversi di voi avranno già visto a suo tempo o, più giovani di
età, beati loro,avranno conosciuto attraverso la televisione o le
cassette o i DVD. Qui, nella vicenda del " giovin signore " appena
sedicenne che è irresistibilmente attratto dalla ragazza più grande di
lui e dalla morale un pò semplicistica ( ma tanto, tanto migliore dei
personaggi che la circondano, descritti con un astio ed un'enfasi appena
sopra alle righe ) i più colsero allora solo una delicata storia di un
amore adolescenziale ( meravigliosamente resa nell'espressione intensa
ed attonita dei due interpreti principali, Jacques Perrin e Claudia
Cardinale ).
Ma allargando un poco l'angolo di visuale e mettendo
meglio a fuoco nel contempo le motivazioni dei protagonisti e
dell'ambiente circostante, ci si renderà conto che il film ha
preoccupazioni e risonanze morali evidenti ( presenti del resto in tutta
l'opera di Zurlini ) e che anche questa volta il problema della "
scelta " e della responsabilità si impone, " a contrario ", con
imperiosa e plastica evidenza. Segnalo solo a tale proposito il
personaggio del sacerdote- precettore del giovane Lorenzo ( un
meraviglioso " cammeo " di quel grande attore che è stato Romolo Valli )
il quale trova la soluzione per interrompere la pericolosa infatuazione
che questi ha per la aspirante " soubrette " Aida e che mi ricorda ,
cito ancora il Manzoni , quel personaggio che aveva per divisa " sopire e
troncare ".
Andate a rivedervi ( o a conoscere per la prima
volta ) questo meraviglioso piccolo capolavoro di una cinematografia che
non esiste più ( quella italiana ) e ponetevi l'interrogativo ( morale )
del perchè , nella nostra società , come nel mondo della creazione
artistica, siano state fatte certe scelte e si siano assunte , o
disattese, certe responsabilità che ci hanno portato al punto in cui ci
troviamo oggi. Ma non vorrei sembrare troppo pessimista o " piagnone ". I
Lorenzo e le Aide possono essere buoni o cattivi , responsabili od
irresponsabili. Sta a noi , una volta di più, scegliere se vogliamo che
crescano come li desidereremmo.
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