lunedì 10 ottobre 2016

"Un padre, una figlia " di Cristian Mungiu ( Romania, 2016 ) - " La ragazza con la valigia " di Valerio Zurlini ( Italia, 1961 )

Il problema delle responsabilità - che abbiamo verso gli altri ma anche verso la nostra coscienza- e quello, connesso, della colpa. Come mantenersi integri, come affrontare le mille insidie che ci si parano dinnanzi, come negoziare i difficili passaggi della nostra esistenza in cui siamo costretti ad operare delle scelte: scelte che possono risultare gravide di conseguenze per noi e per gli altri.Sono temi spiacevoli, che frequentemente si pongono alla nostra attenzione,alla nostra memoria o semplicemente alla nostra fantasia e sui quali ci arrovelliamo senza - e come, altrimenti?- venirne a capo in maniera soddisfacente.
Sono argomenti che, sul piano della trasfigurazione artistica, sono stati trattati, descritti, sviscerati infinite volte. Nella letteratura soprattutto, spesso con risultati straordinari. Tutti ricordiamo i tormenti dell' Innominato manzoniano nella famosa notte che lo conduce alla conversione. A teatro, come non pensare ai tragici greci od a Shakespeare?
Al cinema però siamo più riluttanti ad accettarli, come se le trame che si dipanano sullo schermo non fossero il luogo deputato per vedervi riflesse le nostre preoccupazioni,le nostre angosce, i nostri rimpianti. Il cinema , per molti, rappresenta anzi la fuga- se mai questa fosse possibile- dalle nostre ansie quotidiane, un mitico regno alle cui porte si arrestano, appunto, quegli interrogativi che spesso ci poniamo.
Non che manchino, naturalmente, felici esempi in cui sullo schermo, per la canonica durata di novanta o centoventi minuti, questo possa avvenire .Pensiamo a tanto cinema cosiddetto " di evasione ", tutt'altro che minore nella sua deliziosa amoralità artisticamente ben riuscita. Ma anche gli sceneggiatori e i registi che maggiormente sanno "divertirci " ( i Lubitsch, i Wilder, gli autori della " commedia all'italiana" degli anni 50-60-70 ) hanno poi, nel sottofondo e nemmeno tanto, risvolti, tonalità, accenti in cui i grandi temi morali fanno tranquillamente capolino e ci ricordano della nostra condizione umana: condannati a pensare, a " sentire ", a vivere insomma. E proprio il cinema, nella potenza espressiva dei maggiori creatori di forme cinematografiche ( Fritz Lang, Welles , Hitchcock, Rossellini per non citare che i primi che mi vengono in mente ) racchiude la capacità -assolutamente alla pari di altre forme d'arte- di evocare quei fantasmi che si agitano nella nostra immaginazione e nella nostra coscienza . Nel suscitarli nel nostro immaginario visivo e nel renderli vivi e assolutamente credibili, ancorche frutto di "finzione" ,attraverso i personaggi e le situazioni che " mette in scena ", esso svolge quella funzione critica dell'individuo e della società che è imprescindibile per noi esseri pensanti e ci " purifica " e libera al tempo stesso dai nodi irrisolti e dalle paure racchiuse nelle nostre menti e nei nostri cuori.Il cinema, in definitiva , per riprendere un interrogativo che ci si pone talvolta e darvi una risposta affermativa, può davvero in questo senso contribuire a " renderci migliori".
E' quanto viene in mente assistendo alla proiezione di " Un padre, una figlia ", tuttora sugli schermi italiani dopo essere stato presentato al Festival di Cannes la scorsa primavera ed avervi vinto ( non immeritatamente ) il premio per la migliore regia.Sotto questo titolo anodino inflittogli dai distributori italiani si cela l'originario "Bacalaureat ", che è in Romania, sul modello francese,la prova conclusiva degli studi secondari che apre le porte dell' Università, insomma il nostro esame di maturità. Ed è la prova che deve affrontare la figlia del protagonista, ottima allieva, destinata nella mente del genitore a studiare in Inghilterra e a rimanervi anche dopo la laurea, visto lo stato desolante di casa sua. Siamo infatti ai giorni nostri, in una cittadina della Transilvania in cui,dopo un quarto di secolo dalla caduta di Ceaucescu, le cose non vanno molto meglio quanto a stile di vita ( corruzione, piccoli ma sistematici intrighi di potere) di come andassero sotto la dittatura. Clima pesante , dunque, aggravato dalla poco brillante situazione economica generale e dall'atmosfera grigia e priva di slancio in cui si dibattono i personaggi del regista. Il padre della ragazza non se la passerebbe poi tanto male. E'un primario del locale ospedale, ha potere e prestigio. Ha in casa una situazione difficile, con una moglie, è vero, con la quale praticamente non comunica più ma è gratificato ( od afflitto, secondo i casi ) da una amante giovane e belloccia , insegnante nelle scuole cittadine. Tuttavia, ed è qui che prende le mosse il groviglio morale che ci viene proposto nel film, un banale incidente della figlia il giorno prima della prova ( un balordo l'aggredisce per la strada e le causa un considerevole shock, mettendo a repentaglio il buon esito dell'esame e conseguente speranza di venire accolta da una Università inglese )costringerà il padre a procacciarsi l'aiuto del preside della scuola per " ammorbidire " la commissione. Questi peraltro, per dare seguito alla richiesta, richiede a sua volta al medico di far saltare, fraudolentemente, una lunga lista d'attesa ad un suo parente in attesa di venire operato. Insomma : corruzione in cambio di un altra corruttela. Una pratica non certo sconosciuta o inattuata, in contesti così moralmente labili e degradati e che taluno potrebbe considerare " colpa lieve " , tenuto conto del fine- familistico ma non del tutto immorale- cui essa tende nella fattispecie.
Ma il nostro protagonista ha ancora una coscienza, nonostante tutto, e si apre in lui una sorda , dolorosa analisi che lo porta ad interrogarsi sui compromessi cui ha dovuto ( probabilmente ) piegarsi durante tutta la vita e sulla liceità o meno dei suoi comportamenti, pubblici e privati, passati e presenti. Come d'abitudine, non dirò di più per non togliervi l'incombenza di verificare da voi stessi " come va a finire "...
Dirò solo che questa auto-indagine del protagonista è tutt'altro che letteraria ed astratta- come , raccontandola, potrebbe temersi- implicando essa invece situazioni , dialoghi e soprattutto immagini ( al cinema assolutamente essenziali ) di grande pregnanza e pertinenza. Si delinea in questo modo non solo una dolorosa vicenda privata in cui il protagonista fatica a venire a capo dei propri scrupoli, a fare luce nel groviglio delle proprie sensazioni e dei propri comportamenti per trovare una indicazione morale definitiva per la non facile scelta che è chiamato a compiere. Ma anche un quadro desolante di un ambiente sociale in cui i miti del potere e del successo economico, in assenza di solidi anticorpi,trovano scarsa o nessuna resistenza, come se la cesura politica tra prima e dopo la dittatura , in fondo, contasse assai poco.
Grande descrittore del proprio sfortunato Paese ( qualcuno forse ricorderà un suo precedente film in cui veniva raffigurato l'iter terrificante di un aborto clandestino nella Romania di Ceaucescu ) Mungiu ha mano sicura nell'evocazione del sordido microcosmo che circonda il protagonista, nella direzione degli attori ( tuuti bravissimi anche se a noi sconosciuti ) e nel " taglio " delle singole scene, una più essenziale dell'altra, da vero " artigiano " che sa molto bene come il " meglio " sia spesse volte nemico del " bene ". Un film da vedere, come si diceva all'inizio, per constatare come il cinema abbia tutti gli strumenti espressivi per affrontare temi morali, di coscienza se volete, senza risultare stucchevole o piattamente " moralistico "
Accenno appena, per non ripetere considerazioni già svolte a proposito del primo titolo, con cui ha più di una sorprendente parentela, al secondo titolo che vi consiglio questa settimana, quella " Ragazza con la valigia " che certo diversi di voi avranno già visto a suo tempo o, più giovani di età, beati loro,avranno conosciuto attraverso la televisione o le cassette o i DVD. Qui, nella vicenda del " giovin signore " appena sedicenne che è irresistibilmente attratto dalla ragazza più grande di lui e dalla morale un pò semplicistica ( ma tanto, tanto migliore dei personaggi che la circondano, descritti con un astio ed un'enfasi appena sopra alle righe ) i più colsero allora solo una delicata storia di un amore adolescenziale ( meravigliosamente resa nell'espressione intensa ed attonita dei due interpreti principali, Jacques Perrin e Claudia Cardinale ).
Ma allargando un poco l'angolo di visuale e mettendo meglio a fuoco nel contempo le motivazioni dei protagonisti e dell'ambiente circostante, ci si renderà conto che il film ha preoccupazioni e risonanze morali evidenti ( presenti del resto in tutta l'opera di Zurlini ) e che anche questa volta il problema della " scelta " e della responsabilità si impone, " a contrario ", con imperiosa e plastica evidenza. Segnalo solo a tale proposito il personaggio del sacerdote- precettore del giovane Lorenzo ( un meraviglioso " cammeo " di quel grande attore che è stato Romolo Valli ) il quale trova la soluzione per interrompere la pericolosa infatuazione che questi ha per la aspirante " soubrette " Aida e che mi ricorda , cito ancora il Manzoni , quel personaggio che aveva per divisa " sopire e troncare ".
Andate a rivedervi ( o a conoscere per la prima volta ) questo meraviglioso piccolo capolavoro di una cinematografia che non esiste più ( quella italiana ) e ponetevi l'interrogativo ( morale ) del perchè , nella nostra società , come nel mondo della creazione artistica, siano state fatte certe scelte e si siano assunte , o disattese, certe responsabilità che ci hanno portato al punto in cui ci troviamo oggi. Ma non vorrei sembrare troppo pessimista o " piagnone ". I Lorenzo e le Aide possono essere buoni o cattivi , responsabili od irresponsabili. Sta a noi , una volta di più, scegliere se vogliamo che crescano come li desidereremmo.

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