domenica 21 giugno 2020

" CATTIVE ACQUE " di Todd Haynes ( USA, 2020 )

L'altro ieri, 19 giugno, hanno riaperto finalmente alcuni cinema di Milano. Dopo quattro mesi esatti di astinenza forzata dal grande schermo ( ultimo film , " Les Misérables " , visto a Parigi il 20 febbraio u.s. ) ho rimesso piede in una sala. Non importa che, al primo spettacolo, fossimo solo  in due persone: io e una signora con cui, considerato che era seduta lontanissimo, al lato opposto del mio, in stretto omaggio a quella perfida invenzione che va sotto il nome di "distanziamento sociale ", non sono riuscito a scambiare neanche un  piccolo sorriso di incoraggiamento. E' stato sufficiente che allo scoccare esatto delle 15.30, dopo nemmeno un minuto di introduzione pubblicitaria, sul gigantesco schermo  di " City Life ", apparissero i titoli di testa del film che avevo scelto di vedere perchè avvertissi un sottile brivido lungo il filo della schiena. Lo stesso che devo aver provato la prima volta in cui, bambino di cinque o sei anni, entrai in una sala cinematografica e vidi danzare sul telone le prime ombre che di lì in avanti, per svariati decenni,  avrebbero abitato i miei sogni, le mie emozioni ed i miei desideri.
 Amico cinema, per tanto tempo abbiamo dovuto rimanere lontani, tu ed io. Costretto ad una dieta di peraltro pregevoli DVD sul televisore di casa, mi sei terribilmente mancato. Mi è mancato  vestirmi ed uscire di casa  per frequentare i luoghi dove ti puoi mostrare nello splendore delle tue giuste, ampie dimensioni. Mi è mancato il buio e la quiete che propiziano la totale immersione nelle immagini che mi offri. Mi è mancato quel fascino che eserciti specialmente quando puoi  apparire al mio sguardo, ai miei sensi, come se fossi una sorta di incantesimo trasfuso in me, solo per me,ad opera di tutti coloro che hanno contribuito a crearti: produttori, registi, sceneggiatori, interpreti, direttori della fotografia, autori delle musiche. Fino all'ultimo degli artigiani e dei tecnici che hanno reso possibile quello che per me rimane ancora il più bello spettacolo del mondo.  

" Cattive acque " ( " Dark Waters " in originale ) era uscito in realtà  in Italia il 26 febbraio scorso. Ma pochi giorni dopo i cinematografi erano stati chiusi d'imperio e penso che praticamente non sia riuscito, allora, a vederlo quasi nessuno.Bene hanno fatto dunque i distributori a riproporlo anche se, occorre riconoscerlo, la terza decade di giugno con lo scoppio dell'estate e una pungente voglia di aria aperta e di vacanze , rischia di penalizzarlo un'altra volta. E sarebbe un peccato. Non un capolavoro, non un film che ti prenda alloa bocca dello stomaco e non ti lasci un solo istante, è pur tuttavia un film di ottima fattura, che si lascia seguire con interesse e con piacere, diretto da un regista intelligente ed interpretato da un attore di valore , anche se da noi ancora poco noto.
 Unica pecca, debbo dire con rammarico, un doppiaggio italiano tra i peggiori dal punto di vista tecnico che io  ricordi negli ultimi anni ( sovente non vi è sincronia tra la voce del doppiatore e il labiale dell'attore doppiato ). E poi le voci ( che una volta, al tempo dei Paolo Ferrari, Oreste Lionello e delle Andreina Pagnani, Adriana Asti e via enumerando, erano meravigliose ed aderenti ai singoli interpreti sullo schermo ) sono qui di una banalità e di una sciatteria recitativa davvero sconfortanti. Speriamo di tornare presto alle versioni originali sottotitolate, unico modo di gustare il cinema anche nella sua autentica dimensione sonora.
Il film lo si potrebbe definire, per darvene sinteticamente un'idea, un " thriller " ecologico o, più prosaicamente, un film di denuncia delle malefatte ambientali e a carico della salute dei cittadini imputabili all'industria chimica americana, nella fattispecie ad un colosso come "Dupont " che produce materiali e sostanze destinati ad entrare nella fabbricazione di un bel pò dei prodotti di cui la nostra civiltà non sa più fare a meno. Produzione in qualche caso più che disinvolta, senza particolari scrupoli per i possibili danni per il benessere fisico dei consumatori finali e assai poco attenta allo smaltimento di pericolosi rifiuti tossici. Ispirandosi ad un recente articolo del " New York Times " che ripercorreva le fasi della ventennale lotta di un coraggioso avvocato di Cincinnati, Rob Bilott , per risalire da alcuni casi di gravi malattie riscontrate in una comunità rurale della West Virginia alle responsabilità della Dupont che aveva da poco commercializzato il " Teflon ", un materiale molto resistente impiegato, ad esempio, per il fondo delle padelle di cottura del cibo, " Cattive acque " si riannoda a tutto un onorevole filone del cinema americano. Quello  che racconta l'impegno civile in difesa dei piccoli, dei deboli, nei confronti della grande impresa. Impresa che- nessuno lo nega e meno che mai questo film - ha senza dubbio grandi meriti sociali nel creare lavoro e produrre beni di qualche utilità. Ma ha quasi sempre molta riluttanza nell'ammettere le proprie manchevolezze ed accettarne le giuste conseguenze. 

La società americana, nel suo complesso, non è certo priva di difetti. E so che ad alcuni di noi europei proprio non riesce ad andar giù per motivi politico-ideologici. Ecco perchè, in tempi in cui quello che Revel chiamava l'antiamericanismo " primario " , complice l'avversione per Trump e gli scontri tra la polizia e la comunità di colore, rialza pericolosamente la testa, sono felice che questo piccolo film  ci restituisca l'immagine dell' America migliore. Quella, per intenderci , che abbiamo imparato ad amare nei film di Frank Capra e di John Ford: il combattimento di cittadini coraggiosi che credono nella verità e nella giustizia, disposti a mettersi in gioco anche contro coloro che, economicamente e politicamente, appaiono i più forti. Spesso, va anche riconosciuto, grazie all'ausilio di media altrettanto coraggiosi, di una giustizia che funziona e di tante brave persone che sanno riconoscere dove è il bene e dove è il male.
Ma il film, diversamente da quel che si potrebbe temere stanti le premesse, è tutt'altro che retorico. Certo, rimane una opera " su ordinazione ", nel senso che è stato commissionato al regista, il talentuoso Todd Haynes ( " Lontano dal Paradiso " , " Carol " ) dal produttore, il quale nella circostanza non è altri che l'attore Mark Ruffalo ( ecco un bel nome ad assonanza di casa nostra ma che da noi pochi conoscono ) desideroso di impersonare Rob Bilott. Ma anche se lontano dai temi più psicologico-intimistici propri del cinema di Haynes,  " Cattive acque " ne preserva il tocco felpato, l'" understatement ", quasi l'impressione che, sullo schermo,  si stia parlando d'altro, che  gli sono tipici e che danno alle sue opere il dono della levità del trattamento senza nulla togliere alla serietà dei propositi estetico-narrativi. Regista " elusivo ", nel senso che tende, come è visibile nelle inquadrature, a contornare i momenti chiave delle proprie storie, a non abbordarli frontalmente  pur conferendo ad essi la giusta emozione, il dovuto risalto, le forme cui dà vita sullo schermo  non hanno mai un' enfasi che rischi di travolgere i personaggi ed i loro antagonisti. Gli uni e gli altri  hanno, difatti, quasi una sorta di artistico " diritto di cittadinanza " che supera le ragioni morali buone o cattive , pur evidenti, che dirigono le loro traiettorie.
Mark Ruffalo,qui una sorta di anti-eroe, sovrappeso, lento nei movimenti, incerto sulle sue possibilità di successo,dà al personaggio dell'avvocato uno spessore e una risonanza  perfettamente in linea con la regia e con la storia come è raccontata. Vent'anni, per arrivare ai primi accertamenti di responsabilità della Dupont ed ai conseguenti indennizzi milionari alle vittime, può sembrare un tempo molto lungo.  Ma il film ci mostra come l'apparente tortuosità con cui si perviene allo scioglimento della vicenda nasconda in realtà un percorso di autentica crescita del protagonista e dei suoi familiari. La vittoria non è mai intestata ad una sola persona, ma  scaturisce da un vero sforzo collettivo. Emblematico per un ritorno al cinema dopo tanti mesi di assenza, non vi pare ?