Il primo titolo, come si vede, è ancora un film francese . Ricorderete forse " Ma loute ", nell'ultima puntata di questa rubrichetta . Ma, avverto subito, siamo molto lontani da quel malriuscito "pastiche" farsesco e serioso al tempo stesso che non vi avevo certo consigliato...
Tutt'altro discorso per " Frantz ", ultima fatica di Francois Ozon, autore prolifico ma che, per la verità, non mi era sembrato in passato costantemente all'altezza delle sue ambizioni. Qui il regista transalpino, autore anche della sceneggiatura, ci offre probabilmente la sua opera migliore. Un film austero ma tutt'altro che noioso o dimesso. Una storia appassionante, che vi accennerò appena per non togliervi il piacere di scoprirne direttamente gli sviluppi, calata in un contesto storico-politico che le conferisce un' eco ed una dimensione drammatica puntuali ed intense. Arrivato in concorso poche settimane fa alla Mostra di Venezia ne è ripartito purtroppo senza quei riconoscimenti che avrebbe largamente meritato, se si esclude un premio minore alla protagonista , Paula Beer, come miglior attore "emergente". Se penso a tutte le opere di una certa importanza che nelle edizioni precedenti non hanno avuto miglior sorte mi consolo e mi dico convinto che il tempo, poi, saprà fare giustizia. Intanto però sarebbe bene che il pubblico, se vuole vedere un film di grande bellezza formale e di solido contenuto di idee, si affretti a cercarlo prima che una frettolosa e timida distribuzione lo tolga dagli schermi !
Occorre ricordare innanzitutto che " Frantz" ha come punto di partenza la stessa trama di un film del 1931 del grande regista tedesco , emigrato ad Hollywood, Ernst Lubitsch, a sua volta tratto da una commedia francese la quale , a distanza di qualche anno dalla fine della prima guerra mondiale, si proponeva lodevolmente, anche se non con grandi risultati artistici, di riavvicinare francesi e tedeschi, divisi dalla loro "inimicizia ereditaria". Ma il film di Ozon se ne discosta poi ed assume svolte narrative e risonanze più ampie. Siamo in una piccola cittadina tedesca , nel 1919, ed un giovane visitatore francese,ex combattente appena smobilitato, professandosi amico di anteguerra di un coetaneo tedesco morto al fronte, avvicina la famiglia del defunto composta dalla madre , dal padre e dalla fidanzata di lui. Quest'ultima, rimasta fedele al suo ricordo, è ormai l' unico sostegno morale dell'affranta coppia genitoriale e vive con essa come una figlia. Fidanzata e genitori del defunto, dopo le iniziali diffidenze e la prevedibile chiusura che oppongono verso tutti i nemici vincitori, accolgono il giovane straniero con crescente simpatia, paghi di poter ravvivare attraverso la sua frequentazione la memoria del figlio e del promesso sposo. Non così però l'ambiente circostante, fortemente nazionalistico ed avverso da sempre ai francesi.Nè il sottile ed inespresso sentimento nato nel frattempo tra il giovane e la ragazza tedesca sembra fatto per aiutare le cose, ma piuttosto per attizzare gelosie ed incomprensioni. Partito il francese per far ritorno in patria e recatasi la tedesca a sua volta in Francia per cercarlo, ci si accorgerà che gli stessi pregiudizi nazionalistici, in forme forse più sottili ma non meno devastanti, albergano anche tra i vincitori. Mi fermo per non dire di più e permettere a chi vedrà il film di scoprire la progressione di una storia raccontata benissimo e che cattura completamente lo spettatore.Una storia, come ho detto, che non deriva da un soggetto originale ma che il regista sviluppa poi in piena autonomia e secondo una eccezionale capacità di descrivere quei sentimenti complessi che ne sono alla base , soffocati o deviati a volte dalla feroce stupidità che circonda i protagonisti, rappresentata dal pregiudizio, quando non addirittura dall'odio, per il " diverso " che semplicemente parli una lingua straniera o non condivida i nostri stessi " valori ".
Ciò che mi pare particolarmente riuscito , in " Frantz ", è proprio l'intreccio tra il " privato " e il " politico", come si diceva alcuni anni fa. Cioè tra la vicenda propria dei personaggi ( il visitatore francese, la ragazza tedesca , i genitori del defunto ) e la situazione storico- ambientale in cui questa è ambientata. L'una non può prescindere dall'altra perchè ognuna è , in un certo modo , il riflesso o l'amplificazione dell'altra. Non ci sarebbero asperità o reticenze nei rapporti tra i protagonisti - in particolare tra il giovane francese e la ragazza tedesca- se i loro sentimenti non fossero inespressi, e non riuscissero a meglio precisarsi, a causa dell'ambiente ostile che li circonda, così in Germania come in Francia.E , d'altro canto, la difficoltà di accettare il " nemico" è esaltata dalle innumerevoli vicende personali di incomprensione , di diffidenza e di paura che " giustificano " in un certo senso la distanza tra le opinioni pubbliche delle due nazioni ( o fazioni ) nemiche.
Una storia raccontata da Ozon in un modo elegante e raffinato, evidenziando le difficoltà dei protagonisti a precisare il proprio stato d'animo, suggerendo l'urgenza delle pulsioni interne soffocate dai condizionamenti esterni. Dietro, prima ancora che l'elemento politico-ideologico ( il pacifismo, l'internazionalismo ) che ha certamente ispirato il regista-sceneggiatore, si percepisce la grande tradizione del romanzo e della poesia francese tra ottocento e novecento, l'attenta analisi dei sentimenti , le ragioni del cuore che la ragione non comprende, il piacere di abbandonarsi al fluire delle proprie sensazioni ( Verlaine, espressamente ricordato nel film, così come Rilke sull'opposto versante neo-romantico di lingua germanica ). Cinema dunque, quello di " Frantz ", con referenti letterari molto precisi. Come espliciti, anche qui, sono il richiamo ai film dell'età classica ( la fotografia in bianco e nero, l'enfasi nella messa in valore delle espressioni sui volti dei protagonisti) e il partito preso di evitare a tutti i costi la caduta nella banalità del melodramma " retro " che avrebbe finito con l'impoverire fatalmente la vicenda, restringendola a un semplice fattarello ambientato in quell'inizio Novecento così "deliziosamente " tipicizzato da tanto cinema odierno.
Vi ho detto tutto ( o quasi ) sul perchè occorre salutare " Frantz " come una riuscita pressochè totale . Piccole imperfezioni o incongruenze che potrebbero notarsi quà e là sono difetti veniali, quasi altrettanti nei di bellezza. Resterebbe da chiedersi- accenno appena ad un problema sul quale presto o tardi occorrerà pure soffermarsi- perchè un film con queste ambizioni e questo rigore di espressione, che fa onore alla cinematografia francese, non avrebbe probabilmente mai potuto emergere dal deludente panorama del cinema italiano, sempre più legato all'effimero , all'aneddotico, lontano dal respiro narrativo e dalle preoccupazioni sociali che pur ne hanno costituito in passato il tratto distintivo.
Un elemento non trascurabile del fascino che " Frantz " esercita sullo spettatore è costituito , l'ho accennato,dall'essere una storia basata su di una coppia di giovani poco più che ventenni,forzatamente inadeguati dinnanzi ad un mondo ostile che li circonda ma riscattati, in un certo senso, dalla loro stessa vulnerabilità . Altrettanto giovani, in un registro meno drammatico, audaci e pieni di risorse, sono i due protagonisti del secondo titolo che vorrei segnalarvi questa settimana. Si tratta di un film di Hitchcock ( sì , sempre lui ! ) del " periodo inglese ". Un periodo particolarmente intenso, terminato con la partenza negli Stati Uniti nel 1939, in cui il giovane autore- era nato nel 1899- diresse ben ventisei lungometraggi tra muti e sonori, conquistandosi fama e successo di critica e di pubblico di quà e di là dell' Atlantico. Opere che, dopo, sono state un pò dimenticate, superate dal ben più consistente esito dei film prodotti in America e che oggi , finalmente, vengono riscoperte con rinnovato interesse.
Debbo la visione di " Giovane e innocente " alla cortesia di un carissimo amico che mi ha fatto avere il DVD e che lo aveva giustamente apprezzato. Il film , perfettamente restaurato nelle immagini e nel suono grazie ai miracoli del digitale, è freschissimo e del tutto godibile. Lo consiglio a tutti caldamente per la sua intelligenza, le soluzioni cinematografiche, la fluidità dell'esposizione. Lo spunto narrativo non è originalissimo perchè altre volte, nel corso della sua carriera, Hitchcock vi ha fatto o vi farà ricorso : un uomo è sospettato di un reato che non ha commesso e deve battersi per far emergere la propria innocenza, spesso coadiuvato da una donna. Ma il procedimento in questione, qui, è particolarmente gradevole ed ingegnoso. Nella rocambolesca fuga dalla polizia che lo ricerca e nel tentativo di rintracciare al più presto la prova che potrà scagionarlo ( un impermeabile che gli è stato sottratto dal probabile assassino ) il protagonista si fa aiutare, all'inizio contro la volontà di quest'ultima, dalla stessa figlia del capo dei suoi inseguitori con la quale, conquistatane la fiducia, intreccia poi una storia d'amore .
Ma, al di là della vicenda, ciò che interessa il regista e fa la gioia dello spettatore sono le tante situazioni, talvolta cariche di " suspence ", più spesso umoristiche, alle quali i due protagonisti si trovano confrontati. Con partecipe affetto Hitchcock ci descrive la campagna inglese ( siamo in Cornovaglia ) i tipi buffi che la popolano, dalle dimore signorili alle bettole dei diseredati, le speranze, i timori e la semplice gioia dei due protagonisti. Raramente , credo , la giovinezza è stata vista nel cinema di Hitchcock con la stessa tenera indulgenza con cui il regista guarda qui ai suoi personaggi-interpreti. E chi ricorda quanto severo e distaccato fosse Hitchcock, di norma, con i suoi attori non potrà non essere sorpreso di scorgere il garbo con cui ne sottolinea le movenze, la vena di sottile malinconia con cui si sofferma sui loro volti sorridenti, ancora inconsapevoli di ciò che la vita, crescendo, potrà loro riservare.
Come in tutte le vicende comiche o leggere, il dramma, il dolore , la sofferenza, si fanno poi inevitabilmente strada. E qui il maestro inglese ci dà, quasi nelle ultime bobine, una visione dell'assassino, dunque il vero colpevole, che ci induce a pietà e ci richiama, dopo tanti sorrisi e descrizioni serene, al fondo tragico della nostra condizione umana. Non anticipo questa lunga sequenza che contiene, a detta di buona parte della critica, la più bella "carrellata" ( che inizia, a dire il vero, con un movimento di grù in discesa ) della storia del cinema e che ci rivela chi è che ha sottratto l'impermeabile al protagonista ed è dunque l'autore dell'omicidio che apre il film, conducendolo rapidamente alla sua naturale conclusione.Dirò solo che qui, ancora una volta in Hitchcock , abilità tecnica e preoccupazioni morali ( dunque visione del mondo ) si sposano perfettamente in immagini di grande coerenza formale e di impatto visivo squisitamente cinematografico. Come in tutti i grandi registi del " codice " occidentale, da Ford a Welles, da Rossellini a Visconti.
Sia infine consentito al recensore di questa rubrichetta di spendere una parola sui due interpreti di questa deliziosa pellicola, perfettamente in carattere con i loro personaggi.Se il protagonista maschile, l'attore Derrick De Mornay, ci appare sufficientemente simpatico , sorridente, davvero " young and innocent ", dunque assolutamente nella parte, per l'interprete femminile, Nova Pilbeam, penso che non si potesse fare scelta migliore di questa ragazza, allora appena diciottenne ( era nata nel 1919 ed apprendo che è morta lo scorso anno a quasi 96 anni di età ). Fresca , sbarazzina, con due grandi occhi ed una svelta figuretta che le inquadrature del regista pongono sapientemente in vista, la piccola Nova è il vero " manifesto " del film , la personificazione di una condizione umana , diremmo quasi , " prima del peccato ", vulnerabile e forte al tempo stesso, alla quale affideremmo volentieri le nostre residue speranze ed il nostro emozionato rimpianto.
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