venerdì 30 dicembre 2016

" Florence " di Stephen Frears ( USA, 2016 ) - " Divorzio all'italiana " di Pietro Germi ( Italia, 1961 )


Vi è mai capitato di andare al cinema e sentirvi vagamente imbarazzati di fronte a vicende o personaggi che , come si dice, non "lievitano ",non vi catturano, non vi prendono insomma all'altezza del diaframma così come dovrebbe avvenire per un film che vi lasci invece  completamente soddisfatti ? Beh a me è capitato qualche volta ( poche volte, per fortuna ). Quest'anno, due o tre . Ed una di queste, spiace dirlo, è stata durante la proiezione dell'ultima fatica di Stephen Frears, questo " Florence " ( nell'originale " Florence Foster Jenkins " che è l'intero nome del personaggio principale, evidentemente tanto noto negli USA da indurre i produttori ad enunciare subito di che "Florence " si tratti ). Prodotto formalmente tutt'altro che disprezzabile, buona ricostruzione d'epoca, attori di primo piano ( una strepitosa ancorchè straripante Meryl Streep, uno Hugh Grant un tantino imbolsito ma sempre così " carino " ) ed un ottimo caratterista nella parte del pianista Cosmè Mc Moon, di cui ora non ricordo il nome . Ma privo delle due qualità o meglio delle due componenti che sono essenziali per la riuscita di un film: una idea del cinema e una idea del mondo , semplici l'una e l'altra - il cinema non è filosofia - ma immanenti, coerenti con le immagini che scorrono sullo schermo, facilmente identificabili. Ecco perchè mi dispiace. Perchè Stephen Frears non è un qualunque mestierante, ma un rispettabile signore inglese che fa cinema da trentacinque anni e che quelle due componenti altre volte ha tenuto ben presenti ( " My beautiful launderette ", " The drifters ", "Relazioni pericolose ", " The queen " per citare solo alcuni titoli della sua sostanziosa ed eterogenea filmografia ).
Sentite qui. Questa Florence ( Merryl Streep ) è una ricchissima signora newyorchese vissuta nella prima metà del ventesimo secolo, benefattrice e protettrice delle arti. Siamo nel 1944 - lei ha ormai più di settant'anni - la guerra insanguina il mondo ma , a casa, gli States godono di una invidiabile periodo di vivacità culturale ed anche di prosperità ( almeno per alcuni ). La signora ama particolarmente la musica - vedremo che conosce e frequenta Toscanini e Cole Porter - ed ha un solo vizio, se così si può dire : le piace cantare, cantare in pubblico voglio dire. Peccato che sia completamente stonata e , quando intona le melodie ed i brani d'opera che le piacciono tanto, faccia francamente ridere chi ha la ventura di ascoltarla. Ma lei procede imperterrita, incoraggiata e sostenuta dal marito ( Hugh Grant ) fino a decidere di esibirsi addirittura alla Carnegie Hall. Non più quindi, badate bene, di fronte ad un pubblico selezionato di altri ricchi che la conoscono bene, indulgenti di fronte ad una loro pari sia pure un tantino stravagante, ma a tremila persone che, nella stragrande maggioranza, con lei non hanno alcun collegamento " di classe " nè un particolare debito di riconoscenza. La vicenda ( non vi racconterò naturalmente la fine ) si snoda blandamente , mostrandoci vari personaggi di contorno : un pianista timido ma di buon cuore, la giovane amante del marito della signora, impresari teatrali, artisti spiantati, giornalisti malleabili ed altri un pò meno. Tutto un microcosmo che gravita intorno alla " upper class " cui appartiene la protagonista, ne assorbe la linfa che gli serve per sostentarsi ma a cui rimane sostanzialmente estraneo. E questa Florence potrebbe sembrare, in definitiva, quasi un " freak ", un fenomeno da baraccone spiegabile solo con la forza del denaro e con quella adamantina ingenuità che la contraddistingue e che la renderebbe, a tratti, perfino simpatica.
Come vedete, la carne al fuoco non manca . I personaggi, almeno sulla carta, ci sono e la vicenda ( probabilmente autentica, oltretutto ) potrebbe anche interessarci. Non adeguatamente supportato da una sceneggiatura piuttosto sfilacciata, il regista purtroppo non ci mette l'anima, diremmo quasi che diriga con la mano sinistra, distrattamente , senza credere fino in fondo nè agli uni nè all'altra. Peccato. Pensate a cosa avrebbero potuto fare di una storia del genere un Howard Hawks o un Billy Wilder : una commedia scoppiettante, un ritmo sostenuto, un pizzico di cinismo e una solida pittura d'ambiente. Lo stesso Frears ( penso al suo " Eroe per caso ", ben superiore a questo come descrizione dell' America ) aveva qualità, precedenti e ambizioni di critica sociale, sufficienti per darci un buon film , sincero e sufficientemente ispirato. Niente da fare, invece. Indeciso a premere più di tanto il pedale del grottesco, sfuggente nel giudizio sui suoi personaggi, il regista sembra aver puntato sulla fama e la simpatia di cui godono gli interpreti, lasciando loro ( troppe volte ) la briglia sul collo. Ne esce una rappresentazione, ripeto, formalmente corretta, ma esangue, a tratti insopportabilmente patetica ( tipo " anche i ricchi piangono " , non so se rendo l'idea ) priva di una logica cinematografica che non sia quella di regalarci qualche bella immagine " retro " e di offrirci qualche discreta battuta. E , con l'insoddisfazione dello spettatore che di questo non voglia accontentarsi, cresce il disappunto dell'estimatore di Frears. Il regista tira fuori le unghie, ormai forse troppo ben curate, solo con un paio di movimenti di macchina che cercano mollemente di gettare lo sguardo oltre una piccola vicenda come questa, allargandola ad una più ampia considerazione di una New York maggiormente " difficile " e problematica. Ed il personaggio di contorno di una soubrette , l'amica di un industriale, che è un  convinto " fan " di Florence, ci fa intuire - nelle scene in cui appare -  un film diverso che , muovendo dalla stessa storia, il regista avrebbe potuto darci, più capace di colpirci dal punto di vista emozionale ed estetico, continuando egualmente a divertirci.

Passando a tutt'altra faccenda, debbo alla solerte cortesia di un carissimo amico che mi ha " costretto " a rivederlo, lo stimolo per parlarvi di " Divorzio all' italiana ", il notissimo film di Pietro Germi uscito nel 1961. Un film che , collocato accanto a " Florence " ( li ho visionati a poche ore di distanza uno dall'altro ) vi fa capire quanto bene possa farci il cinema di qualità ma che non abbia paura di confrontarsi con il grande pubblico, di essere cioè autentico ed intelligente"spettacolo ", da seguire con divertimento e passione.
La storia raccontata dagli sceneggiatori ( De Concini, Giannetti e lo stesso Germi ) che per questo film ottennero addirittura l' Oscar, è troppo nota per tentare qui di riassumerla. Basterà porre mente, retrospettivamente, ad una Italia dove il divorzio poteva arrivare solo attraverso...l'omicidio del coniuge ( il famigerato " delitto d'onore" ) e dove i costumi - e la libertà delle donne e degli uomini - erano ben diversi da quelli odierni. Ma se lo sguardo del regista è ( giustamente ) risentito e mordace verso quel piccolo frammento di medioevo incrostato nella società italiana, con particolare ma non unico riferimento al Mezzogiorno, non per questo il film è noiosamente moraleggiante : il pericolo nel quale avrebbe potuto incorrere con cineasti meno abili ed ispirati. Tutt'altro, giacchè invece la vicenda è raccontata con grandissima capacità di coinvolgere lo spettatore con onestà e chiarezza di intenti, di incuriosirlo abilmente e di farlo sentire realmente partecipe di quello che gli si sta mostrando sullo schermo.
Come rimanere indifferenti , in effetti, di fronte a quella acutissima descrizione ambientale- certo, a volte al limite del grottesco ma mai falsa o impietosa - di una Sicilia che , prima ancora che una precisa e limitata realtà territoriale, è soprattutto un modo di essere e di comportarsi, quasi una dimensione dello spirito. " Signori " e "cafoni" , padroni e servi , familiari , amici , preti, mafiosi. Tutti accomunati dalla stessa " morale " , carnefici e vittime gli uni degli altri, ma tutti degni dello stesso sguardo umano , sorridente e pietoso al tempo stesso, con cui Germi ce li restituisce alla nostra divertita indulgenza. E l'interpretazione , senza soffocare vicenda e personaggi - come purtroppo avviene in " Florence " - ci appare in "Divorzio" perfetta : un necessario complemento della descrizione ambientale , capace di rendere esemplare la vicenda stessa, vicinissima alla realtà sociologica esposta nel film ma capace al tempo stesso di trascenderla e di sconfinare nella creazione di autentici archetipi più che semplici personaggi. Si pensi al magistrale, godibilissimo Barone " Fefè " di Mastroianni ( fatto di sguardi, di tic nervosi,di mezze frasi) o all' intenso rilievo che alla sfortunata Rosalia imprime la brava Daniela Rocca ( senza parlare della fresca e appetitosa Angela di Stefania Sandrelli, all'epoca appena quindicenne ).
Questo, signori, era il cinema italiano dei primi anni sessanta del secolo trascorso. Il migliore che abbiamo avuto, probabilmente ( il cinema intendo ) perchè onesto, intelligente e coraggioso: le qualità che si riconoscono in Pietro Germi, il valoroso artefice di tanti bei momenti trascorsi nelle sale cinematografiche di una volta e del quale, in altra circostanza, converrà tornare più ampiamente a discorrere.
Mi piace ,proprio con questa grande figura di artigiano e di artista, chiudere l'anno 2016 , farvi i migliori auguri per il Nuovo che sta arrivando e darvi appuntamento ad una nuova veste editoriale che, a partire da gennaio, assumerà progressivamente questa rubrichetta : da " Facebook " ad un vero " blog " di cui vi darò poi gli estremi . Naturalmente, facendo i conti con la mia scarsa dimestichezza con la tecnologia in generale.... Buon 2017 a tutti !

2 commenti:

  1. Non so cosa sia accaduto, il mio commento al film è finito su FB!!

    RispondiElimina
  2. Non so cosa sia accaduto, il mio commento al film è finito su FB!!

    RispondiElimina