mercoledì 1 gennaio 2020

" THE FAREWELL " di Lulu Wang ( USA / Cina ,2019 )

Difficile parlare male di un film che ha avuto un  discreto successo di pubblico nel paese, gli Stati Uniti, che ha investito i capitali per produrlo, ha vinto addirittura il premio degli spettatori all'ultimo "Sundance Festival " e ha, soprattutto, avuto un'accoglienza critica - sempre al di là dell'Atlantico - positiva e pressochè unanime. Eppure sento il dovere di farlo, e tanto peggio se questo mi attirerà l'incomprensione dei lettori a cui il film fosse piaciuto e, forse, anche qualche sospetto di insensibilità. Come non commuoversi , infatti, di fronte alla vicenda che ci viene mostrata sullo schermo ? Giudicate voi. Una povera vecchia donna  cinese che ha lottato tutta la vita, ci viene detto, per il bene della sua numerosa famiglia viene trovata gravemente inferma ad un controllo medico, anzi praticamente condannata dato lo stadio di avanzamento del male. Ma lei non lo sa ( in Cina, a differenza che in America, il paziente non ha diritto di conoscere le sue condizioni e si pensa che sia meglio tenerlo all'oscuro ). Sconvolta nell'apprendere la notizia al di là dell' Oceano, la parte della famiglia emigrata negli Usa decide di partire per la Cina allo scopo di dare un ultimo saluto alla congiunta. Ma per non farle sospettare qualcosa dalla troppo brusca ricomparsa di tutti i suoi familiari lontani viene deciso di fingere una normale  transumanza per assistere al matrimonio nella madrepatria di uno dei più giovani componenti del gruppo, da poco sentimentalmente legato ad una ragazza giapponese. E alla fine anche Billi, la giovane di casa ,particolarmente affezionata alla nonna malata,la quale in un primo momento era stata esclusa dalla spedizione perchè giudicata pericolosamente troppo incline alla commozione, raggiunge di propria iniziativa in Cina il resto della famiglia. Oplà : le " dramatis personae " , i protagonisti della vicenda, sono tutti riuniti e possiamo incominciare con la pietosa finzione messa in scena per stare tutti un'ultima volta con l'amata nonna. Commozione  generale sapientemente frenata,  un pò di imbarazzo collettivo, molti ricordi in comune, perfino qualche risata ed un pizzico di saggezza spicciola: non ce la prendiamo troppo, la vita va vissuta per quello che, di bello e di brutto,  è in grado di offrirci e comunque non è che un passaggio.

Lo spunto di partenza, ammettiamolo, è azzeccato ed indubbiamente carino. Se sperare di indovinare un film significa, per un'autore, avere subito una buona idea da cui prendere le mosse qui ci dovremmo essere, perchè no ? Anche se una certa lentezza di ritmo e la povertà delle inquadrature ci avevano allarmato fin dall'inizio, via non si può negare che il film sembra partito sul binario giusto. Grossa delusione, invece, che man mano si fa più evidente, per lo spettatore che, al cinema, vorrebbe sostanzialmente due cose : che la storia venga sviluppata in modo convincente , o meglio " coinvolgente ", e che non ci si dimentichi mai che il cinema - come dice il nome - è fatto di immagini in movimento ( che debbono da sole risultare l'asse portante dell'intera operazione ) non di chiacchere che non supportino l'azione o di piccoli espedienti  per conquistare la benevolenza del pubblico. Cosa succede invece ? La dose di melassa e di familiar dulcore che, dato l'argomento, fatalmente rischia di spandersi attraverso una storia come questa, non mi è parsa tenuta sufficientemente a freno. Ci viene chiesto, come spettatori, di partecipare alla dolorosa preoccupazione e all'imminente lutto della famiglia ( e non si lesina, per raggiungere lo scopo, in conversazioni elegiache e fatalmente allusive, in primi piani di familiari consapevoli ed attoniti ). Ma nessuna tensione drammatica, nessuna ragion d'essere del film,   riesce mai a svilupparsi. Restiamo, in realtà, costantemente estranei ad una vicenda che si trascina stancamente, senza un'idea qualsivoglia che la faccia lievitare, chessò, un salto d'umore che ci dia una chiave di lettura meno piatta e scontata. A meno che la regista e sceneggiatrice (una furba sinoamericana dal nome di Lulu Wang ) non pensi - erroneamente peraltro - che il plot, come si dice, sia il film. Dimenticandosi che la vicenda, al cinema, deve tradursi costantemente in immagini, inquadrature, sequenze  di per sè significanti, che la spingano in avanti e le facciano conquistare appunto, cinematografica consistenza. Purtroppo, nulla o poco di tutto questo avviene nei cento minuti del " film ". Restiamo con una storia triste, come ce ne sono tante ahimè a questo mondo, delicata senza dubbio, forse anche sincera ( sembra sia perfino in parte autobiografica ) ma inerte , priva di vita,  un non cinema, appunto. E gli spunti quasi documentaristici  abbozzati quà e là( la nuova Cina, così sviluppata ed antica al tempo stesso, rispetto a quella che i personaggi si erano lasciati alle spalle emigrando in America ) rimangono  esterni, incapaci di amalgamarsi al nucleo principale,  un puro diversivo per il nostro sguardo.

Sono troppo severo ? Vedere per credere e giudicare. No, la mia idea di cinema non è questa. Stimo troppo l'invenzione di Lumière e senza bisogno di scomodare alcun mostro sacro della settima arte per accettare che questo " The Farewell " ( sottotitolo italiano " La bugia buona ", quella cattiva è invece che questo sia un buon film... ) possa essere giudicato alla stregua degli altri prodotti , piccoli o grandi, riusciti o meno, che ci vengono offerti dal mercato settimana dopo settimana. I " blockbusters, le saghe , i cartoni animati giapponesi, esecrabili per quanto possano essere, sono cinema e come tale meritano di essere giudicati, questo no. Qui siamo all'anticinema, alla negazione dei suoi postulati fondamentali. Non mi meraviglia ( lo apprendo ora ) che questa Lulu Wang, per evidenti affinità creative, abbia una liaison con il regista afroamericano Barry Jenkins, l'autore del sopravvalutato " Moonlight " che nel 2018 vinse l'Oscar per il miglior film... Ma Jenkins  sa muovere la macchina da presa, riesce almeno parzialmente a creare delle atmosfere. Coccolato dalla critica o meno, è un autore di cinema. Non così Lulu, astuta creatrice di un " caso " cinematografico che , a mio giudizio, non riesce proprio a stare in piedi. Lento, lentissimo nel ritmo ( ci sono perfino delle sequenze in " slow motion ", tanto per rallentare i tempi ancora di più ) non ha praticamente una sola inquadratura che riesca a comunicarci qualcosa, a sostituirsi al chiacchericcio appiccicoso dei vari personaggi , reso oltretutto molesto dal solito doppiaggio italiano similromanesco. Interpretazione , pertanto, ingiudicabile ( con una sfavorevole menzione per la sinoamericana attrice che interpreta Billi, antipaticuccia e costantemente monocorde ). Fotografia senza infamia e senza lode. Commento musicale incomprensibilmente straripante, pressochè  onnipresente ( e alla fine , non so se per la sola edizione italiana , una canzoncina lacrimosa cantata da un cinese nella nostra lingua... ).
Il punto qui, l'avrete capito, sta nella differenza sostanziale tra il cinema e le altre arti ( se vogliamo utilizzare questa categoria estetico-concettuale ). Una cattiva poesia, un quadro insignificante, tutto sommato fanno poco danno a chi legge e a chi guarda. Costano la carta o la tela che li contiene, cioè poco, e sono presto dimenticati. Un film è diverso. E' anche industria, impegno produttivo, comporta denaro e fatica da parte delle molte professioni che vi lavorano. Tante energie non dovrebbero essere sprecate. Se verso una cattiva poesia o un quadro insignificante si può essere, in una certa misura, indulgenti e  non arrivare a calcare troppo la mano nei giudizi, non così- io credo -  per il cinema, frutto di uno sforzo collettivo che andrebbe sorretto ed  ispirato da autentica capacità creativa, umiltà e tanto studio. E giudicato pertanto con il rigore che questo straordinario mezzo di espressione conseguentemente richiede, non vi sembra ?


Veuillez trouver ci- dessous, s.v.p. un court commentaire en francais sur le film :

" The farewell " est un film sino-américain par la jeune Lulu Wang, qui l'a  écrit et dirigé. Histoire larmoyante d'une famille chinoise émigrée jadis aux Etats Unis et qui revient en Chine voir pour la derniére fois la doyenne , grièvement malade mais à l'obscur de sa fin imminente, le film a eu un bon succès de critique et de public des deux cotés de l' Océan Pacifique. Helàs ! Il s'agit d'un film lent, rien du tout cinématographique, d'un auteur encore qui se cherche. Il n'arrive jamais à nous  parler le langage d'un véritable film, fait d'images en mouvement, cherchant la plus part du temps à se réfugier dans un " blablabla " inconsistent et quelque peu irritant. Occasion donc ratée . A voir seulement si on aime étudier comment on peut , auteur et spectateurs, se tromper de film...


Please find here a short commentary in english on the film :

Widely acclaimed last summer at the " Sundance Festival " , the sino-american film " The farewell ", by Lulu Wang ( screenwriter and director ) tells the story of a chinese family emigrated to the States long time ago ( the younger generation being perfectly integrated ) who come back to China for a while.  The Grand mother is terminally ill and they do not want to miss this last opportunity of staying with her.  At the same time,they do not want to let her know her own true conditions (according with the chinese medical protocol she has not been told the seriouseness of her illness ). Good starting point indeed, but spoiled by a very weak scenario and a terrific absence of true cinematic  development. Pity, because there are even one or two nice things inside ( the interaction between old and new China , between the " diaspora " and the mainland chinese people ). But the final product is quite inconsistent and sadly deceiving.


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