martedì 26 febbraio 2019

LETTERA DA PARIGI ("UNE INTIME CONVICTION " , di Antoine Raimbault / " GRACE A DIEU " , di Francois Ozon )

Ricordo come Filippo Sacchi, critico cinematografico del settimanale " Epoca ", sintetizzasse sul finire degli anni '50 del secolo scorso la differenza che , a suo parere, esisteva tra il cinema  italiano e quello francese riferendosi ad una maggiore " presa diretta " con la realtà da parte  del primo rispetto al secondo. I film della " nouvelle vague " ( Truffaut, Chabrol, Malle e Godard ) sarebbero stati, insomma, più " evasivi " sulla situazione sociale della Francia di allora di quanto non fossero, nei confronti di quella italiana, le opere  che, negli stessi anni, vedevano la luce nel nostro Paese ( Visconti, Lattuada, Monicelli, Risi ed altri) . Dando per corretta la tesi di Sacchi, dobbiamo riconoscere che oggi  la situazione si è completamente rovesciata. Il cinema italiano, geneticamente più vicino  per le chiare influenze neo-realiste ad una descrizione puntuale della realtà nazionale, da almeno  venti-venticinque anni preferisce per lo più " parlare d'altro " ed ha perso quello smalto " civile " che lo fece grande un tempo. Sorprendentemente, invece, il cinema d' Oltralpe ha acquistato (o ritrovato, se si preferisce)  uno spessore sociologico ed una aderenza alle problematiche attuali che sembravano fargli difetto pur nel valore estetico di tante sue opere.
E' quanto mi sento di osservare alla luce dei film francesi delle ultime stagioni usciti anche in Italia e  di cui abbiamo, qui, abbozzato l'analisi. Ma soprattutto mi spingono ad una tale ipotesi due recentissime opere che ho visto in questi giorni a Parigi e che , confesso, da buon italiano mi hanno fatto molta invidia perchè temo che da noi, adesso,  nessuno sarebbe in grado di girarle con la stessa libertà di azione ed onestà intellettuale. Faccio salvo, relativamente a quanto si è prodotto in questa stagione, solo " Sulla mia pelle ", il coraggioso film di Cremonini sul  caso Cucchi  ( quello del giovane romano deceduto in stato di fermo giudiziario). Un film, quest'ultimo, che amaramente mi verrebbe fatto di definire " di ispirazione francese ", tanto ritengo che il nostro cinema , che pure ha avuto in passato una particolare propensione per l'indagine e la discussione relative a grandi temi  politico-sociali, è oggi, sotto tale punto di vista, obiettivamente carente rispetto a quello transalpino. Prevenendo l'obiezione di qualcuno, aggiungo subito che i vari epigoni di " Gomorra" con la loro scontata " arcadia " criminal-miserabile mi sembrano per la maggior parte deludenti ed insinceri.

" Une intime conviction " , sceneggiato e diretto da Antoine Raimbault, in questo momento sta avendo- e giustamente - un ottimo successo di pubblico in Francia. Non solo, direi, perchè parla di un celebre caso giudiziario riproducendo il processo in appello, a Tolosa, di un tal Viguier, accusato anni fa di aver ucciso la moglie. Assolto in primo grado per insufficienza di prove, nel secondo giudizio promosso dal locale " parquet "  questi rischiava di veder ribaltata la sentenza, a causa di un presidente di corte d'assise poco ben disposto in generale verso gli imputati e dall' indagine quanto meno tendenziosa svolta a suo tempo dalla polizia. Ma anche perchè, ed è questo che emoziona ed avvince lo spettatore, al centro della vicenda e del film, sta un tema fondamentale per una società fondata non sull'arbitrio ma sulla legalità e ,diremmo quasi, sul buon senso. In assenza di prove determinanti ( qui non era stato mai nemmeno assodato che la moglie di Viguier fosse stata uccisa , non essendoci un cadavere ) i " teoremi " dell'accusa e di una certa opinione pubblica debbono necessariamente lasciare il passo al convincimento che l' imputato sia innocente. " Giustizia ", in definitiva , non significa che qualcuno vada sempre in prigione . Quanto piuttosto che la presunzione di innocenza dell' imputato- da cui occorre sempre partire - venga smentita, "al di là di ogni ragionevole dubbio ", dall'evidenza addotta nel processo. In caso contrario, non ci può essere che l'assoluzione ed il riconoscimento del bene supremo della libertà. Il film è un ' opera prima  ma non risente minimamente dell' inesperienza dell'autore. Dopo un inizio leggermente faticoso, più per problemi di sceneggiatura che d'altro, esso trova quasi subito la giusta impostazione drammatica, non semplicissima perchè i film  " giudiziari " rischiano di risultare abbastanza risaputi. Evitando con sagacia gli scogli dello scontato contraddittorio tra accusa e difesa, preferisce soffermarsi sulla personalità del brillante e focoso avvocato difensore di Viguier (interpretato magistralmente dal bravissimo attore belga Olivier Gourmet ) e su quella di una amica di famiglia dell'imputato che si trasforma in assistente volontaria del legale per aiutarlo nello smontare l'impianto accusatorio (  Marina Fois, in una impersonificazione come sempre puntuale ed intelligente ). Diretto con mano sicura, fornito di una " suspense " che più che nell'esito scontato del processo risiede nella progressiva dimostrazione dell' innocenza dell' imputato, " Une intime conviction " mi è parso film abile e coraggioso per la giusta critica all'eccessiva facilità con cui- evidentemente in Francia - polizia e magistratura "fabbricano " colpevoli da dare in pasto al grande pubblico assetato di giustizialismo. Una lezione di cinema , ma anche di civiltà e di rispetto per l'uomo.

Ma la vera, bellissima sorpresa di un breve soggiorno parigino è stato senza dubbio l'ultimo film del talentuoso ed eclettico Francois Ozon, prolifico regista di una quindicina di film in meno di vent'anni, che già ci aveva dato prove evidenti della sua passione per la verità e per un cinematografo di ricerca e di scavo, sia psicologico che sociale. " Grace à Dieu ", che riproduce nel titolo una infelice espressione dell' arcivescovo di Lione , Monsignor Barbarin, pronunciata in una conferenza stampa sui casi di pedofilia avvenuti nella sua diocesi, è , ancor più di " Une intime conviction ", calcato direttamente sull' attualità. Una attualità particolarmente bruciante e, purtroppo, non limitata alla sola Francia : quella dei casi di pedofilia nella Chiesa Cattolica , per troppo tempo sottovalutati e coperti dalle gerarchie ecclesiastiche. Qui, prendendo le mosse da quanto successo a Lione negli anni ' 80 e '90 del Novecento e solo oggi emerso nella sua gravità ed approdato alle aule giudiziarie, Ozon ricostruisce ( con tanto di nomi e cognomi ) la vicenda di Monsignor Preynat , pedofilo confesso, chiamato in causa dalle sue antiche vittime in cerca di verità e giustizia prima ancora di risarcimenti o di privati pentimenti . Ed è sulle drammatiche conseguenze della violenza a suo tempo subita da tre delle vittime stesse che il film sofferma la sua attenzione, mostrando problematiche personali e familiari psicologicamente laceranti che debbono fronteggiare il muro , cortese ma fermo, opposto dalle gerarchie e l'incomprensione , a volte, dell' opinione pubblica.Se i tre personaggi principali ( interpretati da altrettanti attori memorabili, Melvil Poupaud, Denis Ménochet et Swann Arlaud , tutti sulla quarantina ) trovano la forza di andare fino in fondo , ritrovando l'audacia di una parola che non teme di incolpare persone ritenute, per definizione, intoccabili, è grazie all'associazione cui essi danno vita per rintracciare tutte le vittime del sacerdote ed offrire loro mutuo sostegno. Associazione che ,pertinentemente, si chiamerà proprio" La parola liberata ". Prescritti ( "grazie a Dio", secondo l'incauta uscita dell'arcivescovo ) buona parte dei reati confessati da Preynat, è lo stesso Monsignor Barbarin che si trova ancora oggi sotto processo ( sentenza attesa tra poche settimane ) per il reato di omessa denuncia e mancata assistenza a persone in pericolo. Si vedrà se la giustizia degli uomini saprà colpire ciò che la giustizia di Dio, forse, un giorno perdonerà. Ed è in questa dicotomia- inesistente per uno spirito laico ma ben presente nell'animo di chi è religioso - che risiede un ulteriore significato drammatico di fatti così riprovevoli e che  viene conferita al film un'eco, una risonanza che trascendono il semplice ancorchè dolorosissimo caso giudiziario. Condotta con molta freddezza ed un apprezzabile assenza di sensazionalismo, la vicenda ( " finzione basata su fatti veri e documentati " , dice pressapoco una didascalia iniziale ) si dipana con grandissima abilità drammatica. Con un ritmo incalzante, un respiro possente supportato da mezzi semplicissimi ( abbondanza di primi piani e di scene girate in interni ) il film arriva a cogliere quella parcella di dolorosa , straziante verità che è nella visione del Male opposto alle forze del Bene. Forze impari, queste ultime, ma sorrette vittoriosamente dalla fede e dal coraggio degli individui ( questo sì, possiamo dire senza blasfemia , " grazie a Dio " ).




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