lunedì 11 febbraio 2019

" LE NOSTRE BATTAGLIE " di Guillaume Senez ( Belgio / Francia, 2018 )

Tempi difficili, quelli in cui siamo costretti a vivere oggi in diversi paesi d' Europa. Il lavoro che non c'è , e quando c'è,  precario e mal pagato, soggetto spesso a ritmi e condizioni impossibili.E poi una sensazione generalizzata di insicurezza che non favorisce certo, da parte dei più,  una visione serena ed ottimistica di una esperienza umana che pur sarebbe, di per sé, tutta da assaporare e da valorizzare. Ed il problematico quadro ambientale in cui ci muoviamo , il  deludente panorama economico sociale che abbiamo al nostro orizzonte, inducono a forti difficoltà relazionali tra gli individui, minando la loro autostima e la loro capacità di aprirsi agli altri in un fruttuoso rapporto sinergico. Vicende, stati d'animo, difficoltà e tormenti degli uomini di oggi che il cinema, meraviglioso strumento d'indagine e forma d'arte tra le più duttili, ha già saputo  esplorare in questi anni con alcune opere, forti e sincere, che resteranno un giorno come una splendida ancorchè dolorosa testimonianza di un'epoca confusa , incerta sulla via da seguire ma ricca anche di fermenti, di amore, di volontà di reagire. Eppure, meravigliosamente, nascono sempre nuove opere che sanno reinterpretare la dura realtà che ci circonda, descrivere con freschezza situazioni e personaggi  già visti altre volte, offrirci lo sguardo personalissimo di un autore che ha ancora voglia di emozionarci e di commuoverci. Giacchè i film di cui parliamo, ancorchè sapienti come struttura e svolgimento narrativo, filtrati indubbiamente nella loro costruzione da una mente acuta ed  attenta, sono quasi sempre - nè  potrebbe essere altrimenti - creazioni " di cuore ". Opere insomma che non possono che nascere da un vivo sentimento civile  e da un autentico afflato dell'animo, al di là dell'effettivo risultato estetico. E' questo il caso del bellissimo film di un regista franco-belga, Guillaume Senez, qui alla seconda prova nel lungometraggio, che potete trovare da pochissimi giorni- grazie ad un distributore intelligente, ce n'è ancora qualcuno - nelle sale cinematografiche. " Le nostre battaglie " ("Nos batailles " ) era stato presentato a Cannes la primavera scorsa riscuotendo oltretutto un buon successo di critica e , uscito in Francia in ottobre, si è comportato discretamente anche al botteghino. Segno che il pubblico, quando c'è, sa riconoscere cosa vale la pena di andare a vedere.

Olivier, il personaggio principale del film, operaio sulla quarantina di bell'aspetto e di grande sicurezza di modi , lavora in un magazzino dove, con cadenze infernali e pochi diritti per i dipendenti vista la crisi, si inscatolano e si smistano prodotti ( libri, DVD, giocattoli ) acquistati dai consumatori su internet.Gran lavoratore, sempre disponibile a rendere il massimo, è nondimeno pronto a dare una mano a tutti. Attento alle esigenze dei compagni, si impegna nel sindacato, finendo  col trascurare così la moglie ed i due figli ancora piccoli e bisognosi di una guida : parte presto al mattino, conduce i figli a scuola ma poi torna a casa la sera tardi quando tutti ciondolano dal sonno. " Metro, boulot, dodo " si diceva una volta con sintesi efficace. Qui , siamo in una cittadina francese di provincia, la  metro è sostituita dall'automobile ma  con la fatica dell'andare e venire ed il costo del carburante ( avete presenti i "gilets jaunes" ? )  il discorso sostanzialmente non cambia. Cambia invece la vita di Olivier quando, inopinatamente, la moglie Laura scompare abbandonando marito e figli, senza una spiegazione ( ma noi spettatori abbiamo visto che la situazione socio-economica in cui  essa vive  e lavora a sua volta nonchè, probabilmente, una certo logorio del rapporto coniugale, debbono averla spinta ad una fuga, forse momentanea, forse no ) . Rimasto improvvisamente solo con due figli da accudire ed il lavoro che non può certo rischiare di perdere, Olivier  si sente smarrito, senza punti di riferimento, costretto a  reinventare la sua esistenza , porsi delle domande, cercare delle risposte sul presente e sul futuro dei suoi rapporti umani e di quelli di lavoro. Riscoprirà dopo qualche prova non facile - non dirò come - la voglia di  ricominciare, di impegnarsi e di reagire che è in ognuno di noi, l'amore per la vita , per le persone che lo circondano , sarà chiamato a fare delle scelte, con intelligenza e con coraggio. Sono le nostre piccole e grandi battaglie. Quelle che viviamo ogni giorno nella società così come nella nostra cerchia familiare, fronteggiati dalle mille sfide cui non possiamo sottrarci. 

Una trama così, semplice eppure densa di sentimenti, di passioni, di speranze e di delusioni, rischiava facilmente di cadere nel melodramma. Registi ( e soprattutto sceneggiatori  ) meno avvertiti sarebbero potuti incorrere in qualche infortunio, esasperando troppo i toni, accentuando il lato patetico della vicenda ( che c'è naturalmente ma che l'accorto Senez riesce a tenere intelligentemente  a bada, senza che travalichi nell' esasperato o nel piagnucoloso). Qui gli accenti in verità sono dimessi, si versa qualche lagrima ma virilmente la si asciuga. L'atmosfera complessiva del racconto bagna più in una diffusa luce crepuscolare che in un chiaroscuro illuminato da lampi di violenza o di disperazione. Non ci sono buoni e cattivi, carnefici contrapposti alle vittime. Lavoratori che rischiano il posto e non ce la fanno più a sopportare questa esistenza, sindacalisti debordati dall'ampiezza e irresolvibilità dei problemi, familiari scossi da un avvenire sempre meno decifrabile,tutti sono egualmente compartecipi di una condizione umana che richiederebbe resilienza, empatia, forza d'animo , per essere compresa e superata. Come, in ultima analisi, farà Olivier appoggiandosi ai propri compagni di lavoro ed ai familiari superstiti. Equilibrato nel descrivere  senza  dargli mai eccessiva prevalenza gli aspetti sociali della vicenda ( il posto di lavoro, la tensione con la direzione dello stabilimento ) per non farla scivolare nel "politichese " ed  accurato nel contempo , sia pure per rapidi tocchi, nel tratteggiarci il "vissuto " familiare di Olivier, il film si mantiene costantemente in bilico tra il " personale " e il " politico " , proprio come queste due stesse facce dell'esperienza del protagonista abbisognano di venire ricongiunte, alla fine, per dare vita ad una autentica partenza verso una nuova tensione ideale.

Abile nella sceneggiatura ( opera dello stesso Senez e di Raphaelle Desplechin ) il film si avvale di una messa in scena decisamente ispirata. Senza grandi fronzoli, movimenti di macchina ed inquadrature sorprendenti, utilizzando spesso il piano-sequenza e, quando necessario, la macchina da presa a spalla per dare in alcune scene il senso della concitazione, la regia riesce a stare addosso ai  personaggi, a creare delle immagini sempre forti e ricche di contenuto " pathos " emozionale, senza esuberanze barocche e tentazioni di descrizione bozzettistica di persone e di luoghi. Una messa in scena, quindi, apparentemente dimessa ma funzionale e concreta. Aiuta moltissimo, con questa regia ed una vicenda che fa perno giustamente sui personaggi principali , la splendida recitazione di tutti gli attori. Romain Duris, fin qui confinato con qualche eccezione in personaggi non particolarmente approfonditi sul piano psicologico, trova il ruolo, come si dice , della  propria vita di attore e dona ad Olivier tutta la forza e la fragilità che occorre conferirgli perchè risulti emblematico ed attraente, confermandosi un interprete moderno e  dalle ricche potenzialità. I due bambini, cinque e nove anni, sembrerebbero autentici " mostri " di spontaneità se non immaginassimo quanta fatica ci sarà voluta ad addestrarli ed il risultato è davvero emozionante, Certi sguardi, certi movimenti del corpo dei due figli di Olivier sono più espressivi a volte di tanti lunghi discorsi ed il regista è pronto ad inquadrare convenientemente sullo schermo ogni più piccola traccia di questo luminoso linguaggio muto. Tra gli attori di contorno, tutti bravi e ben diretti da Senez, mette conto di segnalare almeno Laetitia Dosch ( già vista lo scorso anno in " Jeune femme ", di cui allora parlammo ). Interpretando la sorella di Olivier, Betty, la giovane attrice si conferma per intelligenza e perfetto dominio del personaggio una nuova , bella certezza del cinema transalpino. Insomma, tutto il film merita davvero un  sincero e caloroso elogio. 

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