lunedì 25 giugno 2018

" EN GUERRE " di Stéphane Brizé ( Francia, 2018 )

Che cosa succede quando la filiale francese di una multinazionale tedesca decide di chiudere uno dei suoi impianti al fine di delocalizzare la produzione in Romania, gettando praticamente sul lastrico i mille e cento dipendenti ? E tutto ciò non  per una  mancanza assoluta di redditività di quello stabilimento. Ma semplicemente perchè i profitti che esso genera , a detta della Società e dei suoi azionisti, non sono abbastanza remunerativi del capitale investito. In pratica, perchè producendo altrove - con un costo della manodopera inferiore e maggiori sgravi fiscali -  la Società ricaverebbe ancora  di più. E tanto peggio per il personale dell'unità destinata alla chiusura, anche se, due anni prima ,  i sindacati interni avevano sottoscritto - e sempre rispettato -  un accordo quinquennale con la direzione con il quale, in cambio della  conservazione dell'attività produttiva e dei livelli di occupazione, si impegnavano dal canto loro a rinunciare a qualunque richiesta di aumento salariale.
Ecco una storia come purtroppo se ne sentono e vedono tante, in quest'epoca di globalizzazione  e di progressiva  deindustrializzazione di regioni europee un tempo fervide di attività ed oggi preda di una  crisi difficile da superare. E poco importa se, da un punto di vista strettamente economicistico, abbiano ragione azionisti e  amministratori delegati, forti oltretutto della libertà di intraprendere  assicurata loro dalle leggi vigenti. Per gli operai della fabbrica è un'autentica tragedia , specie se vivono in una zona industrialmente troppo " matura " e  dove non vi siano quindi concrete alternative di impiego.
Del tutto umano e comprensibile, quindi, che i salariati della filiale francese della multinazionale tedesca di cui stiamo parlando decidano di non accettare l'indennità di licenziamento offerta loro dalla Società e scendano in agitazione permanente a difesa dei loro posti di lavoro.

Ecco il punto di partenza del bellissimo film presentato a Cannes  poche settimane or sono e visto adesso nella rassegna milanese appena conclusasi. Il suo titolo , " En guerre ", richiama un vero e proprio scontro, quella che diventa fatalmente una  contrapposizione dai toni sempre più alti e concitati. Da un lato  i sindacati dei lavoratori della fabbrica destinata alla chiusura ( la CGT, molto di sinistra e particolarmente combattiva più una sigla indipendente e meno ideologicizzata ). Dall'altro la  coriacea direzione della filiale francese , in un primo momento, e poi  lo stesso , quasi irraggiungibile e pertanto mitico,  amministratore delegato della casa madre tedesca. Come in una vera guerra, strategia e tattica guidano le iniziative dei due contendenti, in un'altalena di speranze e di delusioni soprattutto da parte dei lavoratori. Questi ultimi, economicamente la parte più debole nella tenzone, riescono dapprima a tenere in scacco la controparte con un lungo sciopero che se rischia di ridurre il fatturato della fabbrica ( e pertanto, paradossalmente, di accelerarne la chiusura ) attira loro, d'altro canto,  un benevolo intervento dei poteri pubblici   e una certa simpatia dell'opinione pubblica . Ma i rapporti di forza  appaiono subito troppo sbilanciati. L'esasperazione cui giungono alcuni dei lavoratori, indotti a veri e propri atti di violenza nei confronti dei rappresentanti della locale confindustria e dello stesso " grand patron " tedesco, e le divisioni interne al movimento sindacale ( estremisti contro elementi  portati invece ad un tentativo di conciliazione economicamente più soddisfacente ancorchè perdente quanto alla conservazione dei posti di lavoro ) finiscono col minare la popolarità dell'azione  di lotta presso il grande pubblico. E quindi, fatalmente, col ritorcersi contro le tenui speranze  dei salariati stessi. L'epilogo - che non vi dirò - lascia l'amaro in bocca . Ma una appropriata postilla, aggiungo, potrebbe essere quello slogan del " maggio '68 ", di cui proprio adesso festeggiamo il cinquantenario, che affermava "  ce n'est que un début : continuons le combat !". La strada da percorrere, in effetti, è ancora molto lunga prima di arrivare ad una equa e soddisfacente composizione del fisiologico conflitto tra capitale e lavoro. Conflitto che sembrava andare attenuandosi, per la verità, negli scorsi decenni ed oggi appare  destinato a riacutizzarsi  a causa degli avversi fenomeni globali che sono sotto gli occhi di tutti.

Il film descrive la vicenda che ho cercato di riassumere adottando il punto di vista dei lavoratori in stato di agitazione, sposandone le inquietudini, la collera , le inevitabili rigidità di ragionamento ma anche la passione genuina, lo slancio teso in difesa del loro lavoro. Non è un film " neutrale ", voglio dire con questo. E' vero cinema politico, forzatamente " pedagogico " e dimostrativo.  Come quello di Loach ("Io,Daniel Blake " ) come quello di Guédiguian ( " La casa sul mare " ) come, almeno in parte, quello di Cantet ( " L'atelier " ), per restare alle opere delle ultime stagioni.  Ma, al pari dei film che ho appena citato non è manicheo. Non esalta come santi i sindacalisti e gli operai in sciopero e non bolla come démoni gli industriali ed i loro funzionari. Ognuno, proprio come in guerra, difende il suo " territorio ", le sue posizioni. L'altro, il " nemico ",  lo è indipendentemente dai suoi meriti o dalle sue colpe. Per una sorta di fatale, incoercibile dialettica economica che non può che spingere entrambi sulla via del conflitto, diremmo. Ecco dunque perchè lo scontro è doloroso, a volte tragico, privo di  un possibile " lieto fine " per gli uni e per gli altri , ma soprattutto per i lavoratori che rischiano ogni giorno riduzioni di orario e quindi di salario, licenziamenti, disoccupazione. Il regista e sceneggiatore Brizé, da questa situazione così apparentemente senza sbocco, ha tratto un film che ha il merito di emozionare, commuovere, far riflettere lo spettatore, magari turbarne la coscienza. Non  è necessario parteggiare per  uno dei due campi ( ma il regista " sa ", e ce lo fa vedere, chi rischia di più nella lotta ) quanto  prendere atto che il sistema economico attuale- pur se, con tutti i suoi difetti,secondo me resti razionalmente il migliore -  sia a volte profondamente  ingiusto e foriero di ulteriori divisioni e lacerazioni.  Senza una vera comprensione reciproca ed un'autentica volontà di superare il cozzo degli interessi contrapposti. " In guerra ", appunto, finchè qualcuno vinca e qualcuno sia sconfitto.

Un film che potrebbe essere monocorde e scontato, se raccontato in modo " classico ", diventa invece , miracolosamente, uno dei più cinematograficamente eccitanti di questo scorcio di stagione.  Brizé impiega una tecnica espressiva vicina a quella di un " réportage " televisivo, alternando alle lunghe ma movimentate sequenze delle riunioni tra sindacati e direzione della fabbrica, finti " telegiornali " che danno notizie ed immagini, forzatamente parziali e prive dell' antefatto e delle cause, sull'andamento della controversia. Ne deriva un ulteriore senso di " straniamento " rispetto alla virulenza del conflitto di cui noi spettatori seguiamo invece ogni più piccola evoluzione ed uno di "soffocamento" per la ripetitività degli argomenti delle due parti in causa e l'incomunicabilità tra di esse che ne consegue. Nervoso, spesso ripreso con una camera portatile ( tipo vero " film di guerra " ) ricco di primi piani in cui le reazioni dei protagonisti assumono una evidenza plastica di drammatica intensità,  " En guerre " non è mai noioso. Dà, è vero, come qualcuno ha notato, un vago senso di angoscia per l'incalzare delle sequenze e l'acutizzarsi del conflitto. Ma è adrenalina " buona " per lo spettatore, che lo spinge al coinvolgimento, all' emozione catartica, alla riflessione ricca dei continui stimoli che egli riceve. Grande cinema , dunque, e non solo semplice cinema militante ( che si esurisce cioè nella dimostrazione di una tesi preconcetta) ma opera che spinge in avanti le possibilità del cinema di raccontare una vicenda senza togliere ad essa quell'ambiguità - o ambivalenza - che ogni evento umano porta inevitabilmente con sè. La regia di Brizé è sovrana nelle descrizioni di ambiente, nel tratteggiare le tipologie umane , nel far continuamente " sobbalzare " l'azione drammatica, senza lasciarla adagiare nella prevedibile routine degli interminabili conciliaboli o dimostrazioni di forza di cui essa è inevitabilmente punteggiata. Fotografia splendida, con tinte ( necessariamente ) cupe ma smaglianti. Interpretazione ( quasi tutti attori non professionisti ) di sorprendente forza e misura al tempo stesso. Su tutti, l'unica " vedette ", quel Vincent Lindon che era già al fianco di Brizé ne " La legge del mercato " : espressivo, potente, tragico nella sua chiusura ideologica e nel suo idealismo " victorhughiano ". A Cannes il film non ha avuto neanche il più piccolo premio ma è stato ricompensato, dicono le cronache, dal più lungo applauso- quasi venti minuti - che sia stato registrato quest'anno.


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