Ancora un bel film francese. Fortunatamente, un distributore italiano indipendente ce lo propone , sia pure in fine di stagione. Uscito in patria nell'ottobre del 2017- dopo essere stato presentato a Cannes nel maggio dello stesso anno- qui da noi rischiavamo di non vederlo affatto : non ha attori famosi, anzi tolta Marina Fois ( la protagonista femminile ) gli altri sono tutti esordienti, la storia non prevede particolari colpi di scena, il regista poi (Laurent Cantet) è un austero quasi sessantenne che concede poco allo spettatore e, spesso, fa il "contropelo"alle sue aspettative. Insomma, il classico film da cineclub ? Non mi sembra. I temi che tocca ci interessano tutti ed il modo con cui sono esposti non può lasciarci indifferenti.
Antoine ( il bravissimo , espressivo Mathieu Lucci ) è un giovane sui vent'anni che abita a la Ciotat, città portuale a 30 km.ad Est di Marsiglia. Disoccupato, incerto sul proprio futuro, partecipa con altri coetanei che si trovano più o meno nelle stesse condizioni ad un laboratorio di scrittura "creativa " ( l' "atelier " del titolo ) organizzato dai servizi sociali per tenere impegnati i giovani del luogo ed offrire loro un'alternativa all'ozio forzato ed ai rischi che solitamente ne derivano. Il laboratorio è animato da una famosa scrittrice ( una perfetta, inquietante Marina Fois ) calata dalla capitale, ci vien fatto di credere, più per trascorrere un periodo sulle rive del Mediterraneo e lavorare in pace al suo nuovo libro che per autentica vocazione didattica. Sia come sia, lo sviluppo della storia che i sette giovani iscritti al laboratorio dovrebbero tentare di scrivere insieme procede abbastanza lentamente. Con maggiore rapidità, invece, emergono i caratteri dei personaggi del film che stiamo vedendo, in particolare quello di Olivia ( la romanziera ) e quello di Antoine.
Alla base del film - che si muove, come dirò, almeno su tre piani - possiamo individuare uno sguardo attento sul reticolo di rapporti che si instaura in una comunità votata ad un medesimo obiettivo ( in questo caso scrivere una " fiction " ) ma mossa da stati d'animo e situazioni abbastanza diverse ( i sette giovani hanno provenienza etnica e anzianità di residenza nella zona non omogenee , la spinta motivazionale a partecipare all'atelier non ha per tutti la stessa intensità, anzi uno di essi dichiara apertamente di essersi iscritto per forza di inerzia e di voler restare quindi una mera presenza nel gruppo, senza prendere parte al lavoro collettivo). Viene subito in mente , per analogia, " La classe " ( " Entre les murs" ) cioè il bellissimo film del 2008 che fece vincere allo stesso Cantet la Palma d' Oro a Cannes. Lì veniva ripresa una vera scolaresca di liceo nella periferia parigina- composta da alunni egualmente di condizioni e di origini disparate - che discuteva , si accapigliava , interagiva con il suo professore di francese , lungo un intero anno scolastico. Tutt'altro , ovviamente , che un semplice documentario , bensì uno straordinario, energetico saggio sulla tensione e la " chimica " che si instaurano in una comunità " chiusa" quale può essere la scuola ( appunto," dentro le mura ", tagliata fuori, in un certo senso, dal resto del mondo). Ne " L'atelier ", questo tema - come vedremo - non è, invece, quello che ci sembra assorbire prevalentemente l'interesse dell'autore ( Cantet, qui, è ancora una volta sceneggiatore, insieme a Robin Campillo ). Ma gli " schieramenti " che si creano all'interno del gruppo di lavoro formato dai giovani disoccupati, le simpatie e le antipatie, i contrasti etnici, le diffidenze reciproche che si compongono provvisoriamente nello sforzo comune, sono rappresentati comunque con plastica evidenza, come già in " La classe ", e con una progressione drammatica di grande coerenza stilistica ( sono frequenti i primi piani, la macchina da presa bracca i personaggi, ne scruta ogni reazione, i corpi stessi dei protagonisti sembrano anticipare l'azione nella loro fisicità protesa verso un'affermazione o una negazione ).
L'indagine antropologico-comportamentale di " La classe "che, come si è visto, è anche una componente di questo film, cede peraltro il passo (e siamo al secondo " piano di lettura" de " L'atelier " ) ad una ancora più incisiva e convincente analisi del contesto politico-sociale in cui si inquadra la vicenda. La Ciotat è stata sede, fino ad alcuni anni fa, di importanti cantieri navali poi dismessi per la crisi del settore, non senza importanti lotte sindacali. I giovani partecipanti al laboratorio hanno sentimenti confusi e contrastanti su quel passato operaio (quando c'era lavoro per tutti ) che sembra oggi così lontano, nell'era del precariato e del "ciascuno per sé ". Pochi, anche tra di loro, sembrano averlo introiettato. Meno che mai gli immigrati, preoccupati solo di una legittimazione socio-economica che prescinde forzatamente da quella particolare temperie. I giovani, bianchi, meticci o di colore, sognano tutti , del resto, un'autoaffermazione legata piuttosto ai miti del presente : la ricchezza, il successo, la bellezza del corpo , l'ammirazione da parte degli altri. Ed i più deboli e pieni di complessi (ecco il nostro Antoine di cui dicevamo all'inizio ) occhieggiano addirittura dal lato dell'estrema destra con le sue parole d'ordine : esaltazione della forza, superominismo, l disprezzo dei più deboli, " prima i francesi ", e così via in un lungo tunnel alla cui estremità ci sono le armi da fuoco, la violenza pura e semplice, il disordine sociale mascherato da "ordine nuovo ". Qui il tema , non certo mai prima visitato, di una gioventù inquieta e prona alle tentazioni autoritarie, si fa in Cantet rinnovata, sobria eppur efficace passione civile. Ma, prima ancora, preoccupazione umana verso strati della società sempre più bisognosi di recuperare la fierezza e l' identità che è stata loro carpita. L'autore registra, con ciglio asciutto ma evidente partecipazione, il dramma di una intera generazione, senza enunciare ricette nè farci intravedere possibili soluzioni ( siamo lontani, come può vedersi, dal tenue ottimismo de "La casa sul mare " di Guédiguian , affidato al coraggio e alla dignità dei giovani migranti clandestini ).
Il terzo piano su cui sembra muoversi " L'Atelier "- il più interessante e difficile- affronta l'analisi della società, più in generale , in cui siamo tutti immersi, consapevoli e non. Un mondo, prescindendo anche dalle generazioni e dal contesto politico-sociale, in cui, come intendono sottolineare le immagini del regista, tutti siamo in realtà prigionieri di una "gabbia" : la gabbia delle istituzioni, dei rapporti interpersonali, familiari ecc, che soffoca l'individuo e ne condiziona pesantemente la piena realizzazione quale essere umano avente diritto a quel tanto di felicità che la vita gli riserva.Cantet si dimostra convincente nel descrivere un ambiente chiuso ( anche nella ingannevole solarità degli " esterni " ) in cui, ad esempio, alla "dominazione" che esercita Olivia, la scrittrice, sui suoi giovani allievi ( guardate come li tratta,a volte con bonario paternalismo ma in realtà pronta a passare all'ironia che ferisce, al comando, all'espulsione ) fa da riscontro la ruvida insofferenza prima e poi l'aperta ribellione di Antoine, il suo vero antagonista. Un braccio di ferro , questo, che è l'epitome non tanto della lotta di classe quanto degli inani rapporti di forza che si instaurano fatalmente tra gli esseri umani, tra le generazioni, tra le istituzioni ed i sudditi. Uno scontro dialettico che ha come termine l'autoesclusione del più debole ( o del più forte ? ) senza che vi sia una possibilità di autentica intesa. " Voglio aiutarti " è la frase che Olivia ripete come un "mantra" ad Antoine, ma senza possedere minimamente le coordinate di un possibile aiuto. " Non ti preoccupare " è l'ostinata risposta del giovane a tutti coloro ( genitori, compagni, scrittrice ) che fanno mostra di interessarsi a lui. Sospesa tra queste due espressioni si declina così quella incomunicabilità che, nelle secche immagini di Cantet, sembra quasi la cifra obbligata dei rapporti umani nel mondo di oggi : arido. impietoso, votato all'autodistruzione come nei violenti videogiochi di cui Antoine è infaticabile consumatore .
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