Avendoli visti uno dopo l'altro la settimana scorsa, ecco due bei film che vi raccomando entrambi. Separati da un intervallo temporale di 63 anni ( il film del veterano Cukor è del 1954, quello della esordiente Serraille del 2017) e diversissimi quanto a stile e concezione del cinema da essi sottesa, hanno nondimeno un punto in comune. Sono entrambi, infatti, delle vicende che hanno per protagonista una giovane donna. Ed il film francese reca proprio come titolo originale " Jeune femme " ( mi chiedo se non andrebbe dato un bel premio ai distributori italiani per averlo rinominato in modo così fantasioso...). Due giovani donne alla ricerca - diremmo oggi - della loro realizzazione sul piano personale, su quelli del lavoro, dell'amore, del rapporto con gli altri. L'America degli anni cinquanta del secolo scorso e l' Europa di oggi sono realtà molto lontane tra di loro. Ma la volontà di inserimento ( o di non inserimento ) di chi appartiene al genere femminile in un mondo sostanzialmente forgiato dai maschi, resta , mi pare di poter dire, un tema centrale per la nostra società e, soprattutto, ricco al cinema di continue variazioni in funzione della sensibilità degli artisti che vi si sono via via cimentati.
Aggiungo che se il recente film della Serraille è da poco nelle sale italiane, almeno a Roma e a Milano, il vecchio film di Cukor si trova facilmente in DVD ( provare magari su Internet ) e forse passa qualche volta alla televisione. Interpretato da Judy Holliday ( che cinque anni prima, sotto la direzione del medesimo regista, era stata rivelata dal delizioso e caustico " Nata ieri " ) e da un Jack Lemmon al suo esordio assoluto, ha una sceneggiatura solidissima scritta dallo stesso Cukor ( il quale, si sa, dimostra particolare predilezione per i personaggi femminili ) e dal commediografo Garson Kanin. Le descrizioni delle situazioni e dei luoghi sono molto piacevoli, le battute scoppiettanti secondo la migliore tradizione della " commedia sofisticata " americana.
Gladys Glover ( parlo sempre del film di Cukor, titolo originale " It should happen to you " ) è una ragazza giunta a New York dalla provincia per fare fortuna e sfuggire così alla noia di un futuro che giudica troppo scontato ( un matrimonio, dei figli, il solito tran tran familiare). Oscura modella che ha perso il lavoro, ha la folle idea di affittare , con i risparmi che le sono rimasti, un enorme spazio pubblicitario in pieno Columbus Circle a Manhattan per farci scrivere sopra semplicemente il suo nome a caratteri cubitali, nella speranza che questo la faccia uscire in qualche modo da un triste anonimato. La singolare forma di autopubblicità dopo qualche tempo ha successo e Gladys , grazie alla semplice suggestione del nome, impostosi nel subconscio di coloro che lo hanno meccanicamente letto per vari giorni di seguito, si trova improvvisamente proiettata nella notorietà. Sommersa dagli impegni di lavoro che le piovono addosso e che non le lasciano tempo per una vita privata appena decente, alla fine pianterà tutto ( compreso un ricco industrialotto che le fa la corte ) e convolerà a giuste nozze con un uomo semplice, un fotografo e documentarista squattrinato che però la ama sinceramente e con il quale ( c'è da scommetterci ) farà tanti bambini e sarà felice "ever after" A parte il finale tipicamente hollywoodiano e rassicurante, il film è tutt'altro che semplicistico e ha una morale, per i tempi, non poi tanto banale. Una donna, una ragazza, nell'avanzata società americana del secondo dopoguerra, per sollevarsi dal suo stato di minorità in un mondo plasmato da evidenti valori maschili, non ha che il lavoro, meglio se coronato dal successo e dalla fama. Può rinunciarci, se questo non le piace. Ma dietro l'angolo l'aspetta allora il destino della brava " menagère ", cioè l'unica alternativa possibile. Non si sfugge, in sostanza, a un inquadramento in una delle caselle preordinate per il genere femminile: moglie/madre oppure, come esperienza residuale, "donna in carriera " ( ed era, allora, già un gran passo in avanti... ).
Non poi tanto diversa ( ci giurereste ? ) la situazione di oggi. Le possibilità, è vero, sono molto cresciute, in un mondo che bene o male, ha imparato a convivere con la sua componente femminile. La diversificazione dei ruoli e delle mansioni, in una società molto più complessa di quella di una volta, sia pure all'insegna del precariato ( nelle occupazioni, nei legami, perfino nei sentimenti ) sembrerebbe offrire alle donne maggiori occasioni di appagamento e di realizzazione personale. Ma gli schemi, le " categorie " preordinate che vorrebbero incasellare il genere umano ( ed ancora una volta, in particolare, la sua parte più debole ) permangono e creano una ragnatela fin troppo visibile, dalla quale non è facile districarsi. Prendiamo Paula, il personaggio principale del bel film di Leonor Serraille. Essere catalogata dalla società come " jeune femme " ( ha 31 anni ed una situazione lavorativa ed affettiva che più appesa ad un filo non si può ) non sembra poi farle così piacere. Paula non vorrebbe attendere una " maturità " che le convenzioni di oggi spingono sempre più in là nel tempo per riuscire a godersi la sua piccola parte di felicità. Gioiosa eppure riflessiva, piena di affetto per gli altri ancorchè spirito autenticamente libero, collaborativa ma di carattere indipendente ed insofferente delle gerarchie, cerca di resistere al ripetuto tentativo del contesto sociale di affibbiarle un'etichetta ( lavoratrice temporanea, studentessa largamente fuori corso, amante da dieci anni di un uomo importante e molto più grande di lei e così via ). Anche nei rapporti più superficiali con le persone che incontra nel suo errare per Parigi ( sbattuta fuori di casa dal convivente, non ha dove andare ) le maledette " caselle " ricompaiono sempre. Così con la coetanea di colore che la abborda in metro credendo che sia un'antica compagna di scuola persa di vista da tempo e che la ospita una notte tentando un approccio omoerotico ( e, al suo rifiuto, la cataloga troppo frettolosamente, e vedremo perchè, nella schiera per lei non interessante delle " etéro " ). Come con la giovane madre separata di una bambina smorfiosetta, ma che si rivelerà semplicemente maleamata, la quale la assume come baby sitter ma non riesce ad inquadrarla in una precisa categoria sociale e , sconcertata dalla inclassificabilità di Paula, finisce col licenziarla. Attraverso il girovagare di Paula tra metropolitana parigina, negozi di abbigliamento, agenzie del lavoro, " discos ", letti e divani di case dove riesce temporaneamente a rifugiarsi , emerge un personaggio accattivante di donna che non si lascia abbattere dalla sfortuna, desiderosa di libertà, appassionata di rapporti umani sinceri e duraturi ( bellissima la frase che rivolge al suo amante e padre della creatura che attende e che lei deciderà, come suprema forma di affrancamento, di non tenere : " se trovassimo il tempo di discorrere più a lungo tra di noi, forse riusciremmo finalmente a parlarci... " ).
Per sfruttare a pieno le risorse di due personaggi complessi ed attraenti come Gladys Glover e Paula e renderle al meglio sullo schermo occorrevano due grandi attrici. E se Judy Holliday ( Gladys ) recita in un modo sopraffino, rifacendo solo appena un po' il verso alla " Born yesterday "che ne marcò il debutto, Laetitia Dosch ( Paula ) è un'autentica rivelazione. Un pò più anziana della sua regista Serraille ( quest'ultima ne ha 32, la Dosch 37 o 38 ) questa ancor giovane attrice- sempre le caselle ! - regge buona parte del peso del film sulle sue gracili spalle. Minuta, con un corpo semiefebico, non si può dire certo una bellezza .Ma il viso intelligente e mobilissimo,a tratti quasi da simpatica " scimmietta ", esprime perfettamente tutta la gamma degli stati d'animo, i momenti di gioia o di sconforto, le contraddizioni e i punti di forza del suo personaggio. Non ancora conosciuta fuori di Francia, è facile pronosticare ora per lei una brillante carriera ( con il consiglio però, se potrà, di non interpretare sempre la stessa parte ). Dicevo delle evidenti diversità stilistiche tra due film nati in contesti storico-artistici molto diversi. Se " La ragazza del secolo " è la quintessenza dello stile classico, brillante e vivace eppure mai sopra le righe, del suo autore ( Cukor ha sempre fatto un cinema raffinato ed equilibrato ), " Jeune femme " si muove in tutt'altro registro. Strizza l'occhio alla " Nouvelle vague ", a Truffaut, a Godard , a Rohmer, cioè al " pantheon " della tradizione francese. Ma tiene in debito conto le trasformazioni intervenute nel gusto degli spettatori, del successo riportato ad esempio da personalità più bizzarre , come i fratelli Coen, o dai tanti registi francesi giovani che hanno reso nuovamente appassionante il cinema francese. Girato con particolare verve e gusto del continuo cambio di tono ( dal comico al patetico, dal cinico al sentimentale ) denota una personalità molto interessante, quella di questa regista esordiente ( vincitrice della " Caméra d'or " , lo scorso anno a Cannes ), Léonor Serraille, che ha scritto tutto il film da sola. Una cineasta di cui sentiremo senz'altro parlare ancora. Certo, il secondo film è sempre più difficile da indovinare del primo. Ma qui mi sembra che le idee ci siano e che dunque non rischino di esaurirsi troppo presto.
Gladys Glover ( parlo sempre del film di Cukor, titolo originale " It should happen to you " ) è una ragazza giunta a New York dalla provincia per fare fortuna e sfuggire così alla noia di un futuro che giudica troppo scontato ( un matrimonio, dei figli, il solito tran tran familiare). Oscura modella che ha perso il lavoro, ha la folle idea di affittare , con i risparmi che le sono rimasti, un enorme spazio pubblicitario in pieno Columbus Circle a Manhattan per farci scrivere sopra semplicemente il suo nome a caratteri cubitali, nella speranza che questo la faccia uscire in qualche modo da un triste anonimato. La singolare forma di autopubblicità dopo qualche tempo ha successo e Gladys , grazie alla semplice suggestione del nome, impostosi nel subconscio di coloro che lo hanno meccanicamente letto per vari giorni di seguito, si trova improvvisamente proiettata nella notorietà. Sommersa dagli impegni di lavoro che le piovono addosso e che non le lasciano tempo per una vita privata appena decente, alla fine pianterà tutto ( compreso un ricco industrialotto che le fa la corte ) e convolerà a giuste nozze con un uomo semplice, un fotografo e documentarista squattrinato che però la ama sinceramente e con il quale ( c'è da scommetterci ) farà tanti bambini e sarà felice "ever after" A parte il finale tipicamente hollywoodiano e rassicurante, il film è tutt'altro che semplicistico e ha una morale, per i tempi, non poi tanto banale. Una donna, una ragazza, nell'avanzata società americana del secondo dopoguerra, per sollevarsi dal suo stato di minorità in un mondo plasmato da evidenti valori maschili, non ha che il lavoro, meglio se coronato dal successo e dalla fama. Può rinunciarci, se questo non le piace. Ma dietro l'angolo l'aspetta allora il destino della brava " menagère ", cioè l'unica alternativa possibile. Non si sfugge, in sostanza, a un inquadramento in una delle caselle preordinate per il genere femminile: moglie/madre oppure, come esperienza residuale, "donna in carriera " ( ed era, allora, già un gran passo in avanti... ).
Non poi tanto diversa ( ci giurereste ? ) la situazione di oggi. Le possibilità, è vero, sono molto cresciute, in un mondo che bene o male, ha imparato a convivere con la sua componente femminile. La diversificazione dei ruoli e delle mansioni, in una società molto più complessa di quella di una volta, sia pure all'insegna del precariato ( nelle occupazioni, nei legami, perfino nei sentimenti ) sembrerebbe offrire alle donne maggiori occasioni di appagamento e di realizzazione personale. Ma gli schemi, le " categorie " preordinate che vorrebbero incasellare il genere umano ( ed ancora una volta, in particolare, la sua parte più debole ) permangono e creano una ragnatela fin troppo visibile, dalla quale non è facile districarsi. Prendiamo Paula, il personaggio principale del bel film di Leonor Serraille. Essere catalogata dalla società come " jeune femme " ( ha 31 anni ed una situazione lavorativa ed affettiva che più appesa ad un filo non si può ) non sembra poi farle così piacere. Paula non vorrebbe attendere una " maturità " che le convenzioni di oggi spingono sempre più in là nel tempo per riuscire a godersi la sua piccola parte di felicità. Gioiosa eppure riflessiva, piena di affetto per gli altri ancorchè spirito autenticamente libero, collaborativa ma di carattere indipendente ed insofferente delle gerarchie, cerca di resistere al ripetuto tentativo del contesto sociale di affibbiarle un'etichetta ( lavoratrice temporanea, studentessa largamente fuori corso, amante da dieci anni di un uomo importante e molto più grande di lei e così via ). Anche nei rapporti più superficiali con le persone che incontra nel suo errare per Parigi ( sbattuta fuori di casa dal convivente, non ha dove andare ) le maledette " caselle " ricompaiono sempre. Così con la coetanea di colore che la abborda in metro credendo che sia un'antica compagna di scuola persa di vista da tempo e che la ospita una notte tentando un approccio omoerotico ( e, al suo rifiuto, la cataloga troppo frettolosamente, e vedremo perchè, nella schiera per lei non interessante delle " etéro " ). Come con la giovane madre separata di una bambina smorfiosetta, ma che si rivelerà semplicemente maleamata, la quale la assume come baby sitter ma non riesce ad inquadrarla in una precisa categoria sociale e , sconcertata dalla inclassificabilità di Paula, finisce col licenziarla. Attraverso il girovagare di Paula tra metropolitana parigina, negozi di abbigliamento, agenzie del lavoro, " discos ", letti e divani di case dove riesce temporaneamente a rifugiarsi , emerge un personaggio accattivante di donna che non si lascia abbattere dalla sfortuna, desiderosa di libertà, appassionata di rapporti umani sinceri e duraturi ( bellissima la frase che rivolge al suo amante e padre della creatura che attende e che lei deciderà, come suprema forma di affrancamento, di non tenere : " se trovassimo il tempo di discorrere più a lungo tra di noi, forse riusciremmo finalmente a parlarci... " ).
Per sfruttare a pieno le risorse di due personaggi complessi ed attraenti come Gladys Glover e Paula e renderle al meglio sullo schermo occorrevano due grandi attrici. E se Judy Holliday ( Gladys ) recita in un modo sopraffino, rifacendo solo appena un po' il verso alla " Born yesterday "che ne marcò il debutto, Laetitia Dosch ( Paula ) è un'autentica rivelazione. Un pò più anziana della sua regista Serraille ( quest'ultima ne ha 32, la Dosch 37 o 38 ) questa ancor giovane attrice- sempre le caselle ! - regge buona parte del peso del film sulle sue gracili spalle. Minuta, con un corpo semiefebico, non si può dire certo una bellezza .Ma il viso intelligente e mobilissimo,a tratti quasi da simpatica " scimmietta ", esprime perfettamente tutta la gamma degli stati d'animo, i momenti di gioia o di sconforto, le contraddizioni e i punti di forza del suo personaggio. Non ancora conosciuta fuori di Francia, è facile pronosticare ora per lei una brillante carriera ( con il consiglio però, se potrà, di non interpretare sempre la stessa parte ). Dicevo delle evidenti diversità stilistiche tra due film nati in contesti storico-artistici molto diversi. Se " La ragazza del secolo " è la quintessenza dello stile classico, brillante e vivace eppure mai sopra le righe, del suo autore ( Cukor ha sempre fatto un cinema raffinato ed equilibrato ), " Jeune femme " si muove in tutt'altro registro. Strizza l'occhio alla " Nouvelle vague ", a Truffaut, a Godard , a Rohmer, cioè al " pantheon " della tradizione francese. Ma tiene in debito conto le trasformazioni intervenute nel gusto degli spettatori, del successo riportato ad esempio da personalità più bizzarre , come i fratelli Coen, o dai tanti registi francesi giovani che hanno reso nuovamente appassionante il cinema francese. Girato con particolare verve e gusto del continuo cambio di tono ( dal comico al patetico, dal cinico al sentimentale ) denota una personalità molto interessante, quella di questa regista esordiente ( vincitrice della " Caméra d'or " , lo scorso anno a Cannes ), Léonor Serraille, che ha scritto tutto il film da sola. Una cineasta di cui sentiremo senz'altro parlare ancora. Certo, il secondo film è sempre più difficile da indovinare del primo. Ma qui mi sembra che le idee ci siano e che dunque non rischino di esaurirsi troppo presto.
in tutt'altro registro
RispondiEliminaSai, quello che ti insegnano i https://filmpertutti.cloud/ film, l'unica cosa che so di Psyche è la soffitta, nel caos di cui si tiene la vecchia spazzatura dimenticata, e per farla in ordine, devi controllare il caos mettendolo sugli scaffali.
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