I non molti film di Paul Thomas Anderson (solo otto in ventun anni di attività ) piacciono in genere ai critici, che di lui ammirano il virtuosismo tecnico e la capacità di tenere insieme storie complicate e con numerosi personaggi. A sua volta appassionato cinefilo, Anderson declina come propri punti di riferimento nel grande cinema americano, oltre ad Orson Welles - ma questo lo dicono quasi tutti i cineasti di oggi - Robert Altman e Martin Scorsese. Dal primo degli ultimi due ha certamente preso il gusto per le vicende corali e l'andamento avvolgente delle trame.Dal secondo, probabilmente, il gusto per i personaggi fuori misura nonchè la precisione di una messa in scena vibrante come un arco che si tende. Personalmente ho trovato meritevoli i suoi film che ho visto ( " Magnolia " , " The master ", " Vizio di forma " ) ma mi ha sempre lasciato,debbo dire, con una sensazione di non totale soddisfacimento. Autore più " di testa " che " di cuore " ( inutile tornare su questa distinzione, già fatta altre volte ) ne apprezzavo l' appetito per un cinema inteso come spettacolo totale, capace di impadronirsi dello spettatore senza dargli quasi respiro. Ma ne diffidavo, nel contempo, quanto a capacità di commuovere realmente, di fabbricare cioè vere emozioni che, come il grande Samuel Fuller insegna, rimane poi il vero obiettivo ultimo di questa come di ogni altra espressione artistica.
Ecco forse perchè , inconsciamente o meno, ho fatto di tutto per ritardare il momento di andare a vedere questa sua ultima fatica, uscita da noi poco prima della cerimonia degli Oscar. Premi cui quest'anno era pluricandidata , senza peraltro ottenerne poi nessuno dei maggiori ( miglior film , migliore regia, migliore sceneggiatura, migliori interpretazioni ). Ora che l'ho visto ( consiglio, ove disponibile, la versione originale ) posso sostenere che almeno un paio di riconoscimenti ( regia ed interpretazione maschile , magari a pari merito, questa, con il Gary Oldman di " L'ora più buia " ) avrebbe potuto ottenerli. Ma si sa, " nemo propheta in patria " e l'americano Anderson è più stimato, in fondo , da questa parte dell' Oceano Atlantico.
La vicenda al cuore del film è così conosciuta ormai , dacchè ne hanno parlato tutti, da esimermi dal tornarvi . E del resto, come in quelli precedenti dello stesso Anderson,si può dire che il soggetto conti solo fino ad un certo punto. Più rilevanti ai fini dello sviluppo narrativo e dell'impatto che questo ha sullo spettatore appaiono infatti i tanti significati che possono essere dati alle creature frutto della sua fantasia, alle loro azioni , al loro modo di interagire. Cultore dell' ambiguità che domina gli eventi umani e dà ad essi l'inconfondibile sapore che rende, in fondo, così varia ed interessante la vita, egli adora i personaggi che sotto l'apparente linearità delle loro caratteristiche nascondono insospettate propensioni verso l'eccesso, la fuga nell'irrealtà, la sublimazione in un certo senso di quella che definiremmo una sorta di disadattabilità esistenziale. Così, ne " Il filo nascosto ", il raffinato sarto londinese Reynolds ( forse l'ultima , indimenticabile interpretazione cinematografica del grande Daniel Day Lewis ) nasconde , sotto la maschera del demiurgo freddo e sicuro di sè, una fragilità di fondo ed una dolcezza disarmata che l'incontro e l'unione con la solida ma inesperta cameriera Alma si incaricherà di portare progressivamente alla superficie. Ma la stessa Alma, tranquilla e gentile esponente di una classe sociale inferiore a quella di Reynolds, contiene poi in sè, inaspettatamente, pulsioni autoritarie e prevaricatrici che conduranno ad un apparente rovesciamento della situazione di partenza. Un punto di arrivo ( provvisorio, come tutto è transeunte per definizione ) che avrà messo a nudo i due protagonisti. Non so se li avrà anche resi più felici. Certamente li lascerà soli, isolati dagli altri, chini sull'appassionante ma a tratti doloroso confronto tra due esseri umani. Esemplare in questo senso la bellissima scena in cui Reynolds va a " recuperare " Alma nella sala da ballo in cui lei si è recata da sola per affermare la propria indipendenza. L'inquadratura ci mostra il sarto e la moglie di profilo, contrapposti, non udiamo le loro parole ma dai loro volti , dalla determinazione che vi appare, dalla posizione dei due corpi tesi l'uno verso l'altro, capiamo perfettamente le ragioni del loro confronto, l'eterna ricerca del "potere " nei confronti del partner ed il sostanziale sconforto che ne deriva per entrambi. Anche se il film offre tante piste che invitano ad essere percorse, questo della inevitabile lotta che si apre, e mai si chiude, tra due esseri che decidono di vivere insieme,mi sembra la più interessante e convincente.
Insomma,vorrei che non si giudicasse " Il filo nascosto " semplicemente come un film sulla moda, sugli " scicchissimi " anni cinquanta del secolo scorso, sul singolare ménage tra un affascinante eccentrico di mezza età ed una modesta ed inesperta giovane di più modesto lignaggio. Sì, certamente vi è anche questo nel film di Anderson e tutto esposto con rilievo plastico di eccezionale risalto. I costumi e le scenografie sono perfetti nei minimi particolari, la ricostruzione d'epoca è sorprendentemente giusta. Il dialogo, raffinato e tagliente quanto è necessario,accresce il piacere dello spettatore. Anderson regista non è poi certo secondo , qui, all' Anderson sceneggiatore. Fluido nel suo scorrimento, veloce ed ellittico nella raffigurazione dei personaggi e degli snodi narrativi, il film è potentemente suggestivo nei momenti più forti, quelli che sanno trasmetterci , questa volta senza ombra di dubbio, vere ed indimenticabili emozioni .Tanto più ambigua è la situazione descritta, tanti i significati che possono esserle attribuiti, tanto più crescono il nostro coinvolgimento , lo smarrimento emozionale , le risonanze profonde che questo bellissimo film produce in noi. Ho detto prima del mio convincimento che la caratteristica dei due personaggi ( ma anche di quello, poi, della gelida sorella di Reynolds ) sia la solitudine, l'incapacità di entrare in simbiosi con gli altri. C'è- verso la fine del film- una scena di struggente significato, a questo proposito. In una grande sala da ballo pubblica londinese Alma e Reynolds ballano al centro della pista, dapprima soli e poi circondati da altre coppie che man mano entrano nella danza. Sembrerebbe quasi un finale ottimistico,alla Fellini ( " Le notti di Cabiria " , " Otto e mezzo"). Una nota, cioè , di speranza in un mondo che- ci piaccia o no - continua a girare intorno a noi e che riesce, in fondo, a sublimare le nostre ansie e le nostre preoccupazioni. Ma il distacco , la distanza fisica, l'indifferenza che intercorre tra le varie coppie di ballerini pur nell' apparente ,ordinata armonia dell'insieme, ci rivela che, secondo Anderson, non vi può essere ponte tra individuo e individuo, non vera intesa, non unità di intenti. Sommessa, dolorosa constatazione finale di un film, finalmente, emotivamente palpitante, caldo ed avvolgente.
Discorso completamente diverso per " I segreti di Wind River ", scritto e diretto da Taylor Sheridan, regista e sceneggiatore che ha dato il meglio di sè - dicono - in qualche serie televisiva, qui alla seconda prova per il grande schermo. Che cosa c'è che non va in questo film che pure non è totalmente disprezzabile ma non consiglierei a chi vuole limitarsi a vedere ogni stagione quei quindici-venti film che veramente valgono ? La storia non è banale ( il mistero della fuga nel gelo dell'inverno di una giovane autoctona ritrovata assiderata cui si sovrappone il doloroso ricordo della scomparsa , in circostanze analoghe, della figlia del protagonista-investigatore ) e l'ambientazione , in una riserva indiana a nord del Wyoming, alla frontiera con il Canada, anche se non nuovissima, presenta qualche profilo di interesse per i bei paesaggi innevati. Ma la pochezza degli interpreti ( Jeremy Renner è tropo inespressivo e non suscita alcuna empatia nello spettatore, la giovane attrice che fa l'improbabile agente dello FBI sembra francamente fuori parte ) non aiuta affatto una sceneggiatura discreta nella prima parte e che poi si incarta nella seconda , come se questo Sheridan non sapesse più che pesci pigliare per concludere onorevolmente tutta la faccenda. Regia così così ( quanti danni può fare la televisione a chi ne pratica troppa... ) e ingiustificato amore ( a mio avviso ) per l'onnipresente moto spazzaneve, " snowbike " o come diavolo si chiama quel veicolo a motore dal rombo che ti perfora i timpani e che il protagonista usa costantemente per spostarsi superando spaventose pendenze . Va bene che in una sorta di " western " contemporaneo ed invernale , qual'è in fondo questo film , esso sostituisce opportunamente il buon vecchio esemplare equino che, nei film d' antan , rispondeva al fischio del padrone e galoppava senza sosta. Ma a quella dannata moto che ci perseguita sullo schermo , non le finisce mai la benzina ?
La vicenda al cuore del film è così conosciuta ormai , dacchè ne hanno parlato tutti, da esimermi dal tornarvi . E del resto, come in quelli precedenti dello stesso Anderson,si può dire che il soggetto conti solo fino ad un certo punto. Più rilevanti ai fini dello sviluppo narrativo e dell'impatto che questo ha sullo spettatore appaiono infatti i tanti significati che possono essere dati alle creature frutto della sua fantasia, alle loro azioni , al loro modo di interagire. Cultore dell' ambiguità che domina gli eventi umani e dà ad essi l'inconfondibile sapore che rende, in fondo, così varia ed interessante la vita, egli adora i personaggi che sotto l'apparente linearità delle loro caratteristiche nascondono insospettate propensioni verso l'eccesso, la fuga nell'irrealtà, la sublimazione in un certo senso di quella che definiremmo una sorta di disadattabilità esistenziale. Così, ne " Il filo nascosto ", il raffinato sarto londinese Reynolds ( forse l'ultima , indimenticabile interpretazione cinematografica del grande Daniel Day Lewis ) nasconde , sotto la maschera del demiurgo freddo e sicuro di sè, una fragilità di fondo ed una dolcezza disarmata che l'incontro e l'unione con la solida ma inesperta cameriera Alma si incaricherà di portare progressivamente alla superficie. Ma la stessa Alma, tranquilla e gentile esponente di una classe sociale inferiore a quella di Reynolds, contiene poi in sè, inaspettatamente, pulsioni autoritarie e prevaricatrici che conduranno ad un apparente rovesciamento della situazione di partenza. Un punto di arrivo ( provvisorio, come tutto è transeunte per definizione ) che avrà messo a nudo i due protagonisti. Non so se li avrà anche resi più felici. Certamente li lascerà soli, isolati dagli altri, chini sull'appassionante ma a tratti doloroso confronto tra due esseri umani. Esemplare in questo senso la bellissima scena in cui Reynolds va a " recuperare " Alma nella sala da ballo in cui lei si è recata da sola per affermare la propria indipendenza. L'inquadratura ci mostra il sarto e la moglie di profilo, contrapposti, non udiamo le loro parole ma dai loro volti , dalla determinazione che vi appare, dalla posizione dei due corpi tesi l'uno verso l'altro, capiamo perfettamente le ragioni del loro confronto, l'eterna ricerca del "potere " nei confronti del partner ed il sostanziale sconforto che ne deriva per entrambi. Anche se il film offre tante piste che invitano ad essere percorse, questo della inevitabile lotta che si apre, e mai si chiude, tra due esseri che decidono di vivere insieme,mi sembra la più interessante e convincente.
Insomma,vorrei che non si giudicasse " Il filo nascosto " semplicemente come un film sulla moda, sugli " scicchissimi " anni cinquanta del secolo scorso, sul singolare ménage tra un affascinante eccentrico di mezza età ed una modesta ed inesperta giovane di più modesto lignaggio. Sì, certamente vi è anche questo nel film di Anderson e tutto esposto con rilievo plastico di eccezionale risalto. I costumi e le scenografie sono perfetti nei minimi particolari, la ricostruzione d'epoca è sorprendentemente giusta. Il dialogo, raffinato e tagliente quanto è necessario,accresce il piacere dello spettatore. Anderson regista non è poi certo secondo , qui, all' Anderson sceneggiatore. Fluido nel suo scorrimento, veloce ed ellittico nella raffigurazione dei personaggi e degli snodi narrativi, il film è potentemente suggestivo nei momenti più forti, quelli che sanno trasmetterci , questa volta senza ombra di dubbio, vere ed indimenticabili emozioni .Tanto più ambigua è la situazione descritta, tanti i significati che possono esserle attribuiti, tanto più crescono il nostro coinvolgimento , lo smarrimento emozionale , le risonanze profonde che questo bellissimo film produce in noi. Ho detto prima del mio convincimento che la caratteristica dei due personaggi ( ma anche di quello, poi, della gelida sorella di Reynolds ) sia la solitudine, l'incapacità di entrare in simbiosi con gli altri. C'è- verso la fine del film- una scena di struggente significato, a questo proposito. In una grande sala da ballo pubblica londinese Alma e Reynolds ballano al centro della pista, dapprima soli e poi circondati da altre coppie che man mano entrano nella danza. Sembrerebbe quasi un finale ottimistico,alla Fellini ( " Le notti di Cabiria " , " Otto e mezzo"). Una nota, cioè , di speranza in un mondo che- ci piaccia o no - continua a girare intorno a noi e che riesce, in fondo, a sublimare le nostre ansie e le nostre preoccupazioni. Ma il distacco , la distanza fisica, l'indifferenza che intercorre tra le varie coppie di ballerini pur nell' apparente ,ordinata armonia dell'insieme, ci rivela che, secondo Anderson, non vi può essere ponte tra individuo e individuo, non vera intesa, non unità di intenti. Sommessa, dolorosa constatazione finale di un film, finalmente, emotivamente palpitante, caldo ed avvolgente.
Discorso completamente diverso per " I segreti di Wind River ", scritto e diretto da Taylor Sheridan, regista e sceneggiatore che ha dato il meglio di sè - dicono - in qualche serie televisiva, qui alla seconda prova per il grande schermo. Che cosa c'è che non va in questo film che pure non è totalmente disprezzabile ma non consiglierei a chi vuole limitarsi a vedere ogni stagione quei quindici-venti film che veramente valgono ? La storia non è banale ( il mistero della fuga nel gelo dell'inverno di una giovane autoctona ritrovata assiderata cui si sovrappone il doloroso ricordo della scomparsa , in circostanze analoghe, della figlia del protagonista-investigatore ) e l'ambientazione , in una riserva indiana a nord del Wyoming, alla frontiera con il Canada, anche se non nuovissima, presenta qualche profilo di interesse per i bei paesaggi innevati. Ma la pochezza degli interpreti ( Jeremy Renner è tropo inespressivo e non suscita alcuna empatia nello spettatore, la giovane attrice che fa l'improbabile agente dello FBI sembra francamente fuori parte ) non aiuta affatto una sceneggiatura discreta nella prima parte e che poi si incarta nella seconda , come se questo Sheridan non sapesse più che pesci pigliare per concludere onorevolmente tutta la faccenda. Regia così così ( quanti danni può fare la televisione a chi ne pratica troppa... ) e ingiustificato amore ( a mio avviso ) per l'onnipresente moto spazzaneve, " snowbike " o come diavolo si chiama quel veicolo a motore dal rombo che ti perfora i timpani e che il protagonista usa costantemente per spostarsi superando spaventose pendenze . Va bene che in una sorta di " western " contemporaneo ed invernale , qual'è in fondo questo film , esso sostituisce opportunamente il buon vecchio esemplare equino che, nei film d' antan , rispondeva al fischio del padrone e galoppava senza sosta. Ma a quella dannata moto che ci perseguita sullo schermo , non le finisce mai la benzina ?
Che profonda e completa recensione! Complimenti, sembra di rivedere il film, condivido ogni suo pensiero! Ancora grazie e a presto!
RispondiEliminaGrazie , cara Francesca, per il Suo apprezzamento ! Che bello condividere lo stesso giudizo, le stesse emozioni !
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