domenica 20 maggio 2018

" DOGMAN " di Matteo Garrone ( Italia, 2018 )

Le scene iniziali del film si aprono su di un panorama urbano desolato. Un agglomerato di caseggiati, contemporanei eppure preistorici tanto sono fatiscenti, nella periferia o nelle vicinanze della nostra capitale. Un intero quartiere che sembra in realtà un moderno villaggio western dove , scopriremo subito, brilla l'assenza di qualunque  forma di legalità e dominano invece la violenza e la sopraffazione a danno dei più deboli. Tra questi il protagonista , Marcello, un ometto stortignaccolo e dalla faccia deragliata  che di mestiere fa il toelettatore di cani di tutte le dimensioni nel suo sgangherato locale, più antro che negozio,  sul quale campeggia la fiera scritta " Dogman ", illuminata da un pallido neon. Questo Marcello, mite di carattere, ottimo lavoratore, piccolo spacciatore per arrotondare i propri introiti quotidiani e non far mancare nulla alla figlia ancora bambina che vive con la madre da cui lui è divorziato, intrattiene un complesso rapporto con il " cattivo " della vicenda. Questi , Simone detto Simoncino , è un  autentico bestione , ex pugile, affezionato alle droghe ed assai poco al genere umano, prepotente e violento quanto basta per essere cordialmente detestato da tutti. Solo Marcello gli dimostra un pò di amicizia , anche se ne viene ripagato  con  piccole vessazioni quando non  vere e proprie angherie. Ma Marcello è incapace di concepire il male, o forse vuole solo andare d'accordo con chiunque nel proprio affannoso desiderio di omologazione  in quello slabbrato tessuto sociale  che lo circonda e che costituisce la sua unica realtà .Quindi sopporta fino all'inverosimile, probabilmente preda anche  di una sorta di  oscura attrazione verso il suo violento persecutore. Fintanto chè un episodio più grave non lo spinge ad un soprassalto di ribellione che  non potrà che avere un tragico finale.

 Ricorderete che la volta scorsa, in epigrafe al bel film di Guédiguian, " La casa sul mare ",mi ero lasciato un po' andare a deprecare l'attuale, triste situazione di un  cinema italiano per lo più  incapace di darci opere solide, di buon livello anche se non eccezionali, come spesso sanno fare i francesi. Mi è sembrato quindi doveroso non  frapporre indugio nel correre a vedere quello che molti giudicano  addirittura " un capolavoro ", e cioè questo" Dogman ", presentato appena tre giorni fà al Festival di Cannes ed, in contemporanea, sui nostri schermi. Il film è la creazione più recente di Matteo Garrone ( " L'imbalsamatore", "Gomorra" ) coadiuvato ancora per la sceneggiatura da Ugo Chiti e Massimo Gaudioso. Cito subito i due sceneggiatori perchè mi sembrano emblematici del difficile momento  vissuto da coloro che lavorano nello spettacolo in Italia: nel cinema di finzione come anche nel documentario e poi nel teatro, nella scrittura come nella messa in scena. Sono due persone non più giovanissime (il primo ha addirittura 75 primavere e il secondo 60 ) che hanno fatto un po' di tutto partendo dalla gavetta ma senza mai approdare al grande successo. Due onesti artigiani, non c'è dubbio. Ma che non mi sembrano avere quella forza e quella originalità che permisero a suo tempo  ad una Suso Cecchi d'Amico o a un Rodolfo Sonego di  scrivere già dei film importanti tra i trenta e i quaranta anni di età. E che hanno avuto la sfortuna di percorrere la loro carriera ( e qui torniamo al vecchio discorso ) in una ormai lunga fase di obiettiva stanchezza del nostro cinema e del nostro teatro . Andando a vedere la loro filmografia scopriamo infatti diverse loro collaborazioni con i filmetti di Pieraccioni,  Benvenuti, Nuti ed  altri  modesti esponenti della neo-commedia all'italiana e poco altro davvero. Le cose che hanno fatto con Garrone sono in fondo  i loro esiti migliori. Con l'avvertenza però che quei film debbono la loro riuscita più alla capacità visionaria ed affabulatrice del regista che ad una qualità di scrittura che non sempre è apparsa altrettanto eccellente.

Matteo Garrone, a sua volta, di anni ne ha cinquanta ( l'età alla quale Rossellini, De Sica, Fellini ci avevano  già dato le loro cose migliori ). Ma in fotografia non li dimostra,  con quel sorriso accattivante , come dicono a Roma, da  autentico" piacione ". Le sue qualità  artistiche  poi sono solide. Se Sorrentino si è un po' perso dopo il folgorante esordio e se  Muccino e Guadagnino - per citare registi che hanno debuttato negli stessi anni- ancora cercano un sicuro ancoraggio, lui ha già una carriera non disprezzabile alle spalle. " Gomorra ", più ancora de " L'imbalsamatore ", gli ha dato una fama internazionale ed i  successivi ma meno riusciti " Reality " e " Il  racconto dei racconti " non hanno inciso  negativamente sul credito di cui gode. Per dirvi come, nel disastrato panorama di casa nostra, egli faccia una buona , anzi un'ottima figura. Autore che ama sempre partire dal dato reale e sociologicamente preciso, il suo cinema si apre gradatamente a suggestioni più sottili ed incisive. Come , per intenderci, se i suoi personaggi e le sue storie cercassero una dimensione, un significato capace di superare gli angusti limiti della cronaca. E' la lezione questa, se ci pensiamo, del neorealismo nel nostro immediato dopoguerra e poi del cinema dei Visconti, degli Antonioni, dei Fellini. Tutti nomi con i quali Garrone, fatte le dovute proporzioni, ha senza dubbio qualche affinità. Ed anche questo odierno " Dogman " vorrebbe , in fondo, essere opera veristica ma al tempo stesso assurgere ad apologo della condizione umana, del Bene in eterna lotta col Male, pur avendo chiaro quanto sia difficile separare i buoni dai cattivi stante anche l'attrazione che a volte questi ultimi possono esercitare sui primi.  Un obiettivo, quello di  sublimare la realtà, che è di ogni vera opera d'arte. E  che richiede, per essere raggiunto,  non solo capacità tecnica ma anche robustezza di ispirazione e saldezza di disegno realizzativo.

Ecco, non mi voglio sottrarre  in conclusione al diritto/dovere di dire la mia su di un film che farà discutere ( e che, comunque, è il miglior film italiano di questa stagione ). L'ambientazione è magistrale, autentico compendio visivo dei tristissimi tempi che ci tocca attraversare e che non possiamo fare finta di ignorare. Con poche robuste inquadrature che non cincischiano ma vanno diritte a colpire il bersaglio, cioè a renderci con plastica evidenza lo squallore di esistenze  per lo più lontane da qualunque residuo di umanità, Garrone ci introduce nella vicenda con l'approccio giusto. Come nel cinema migliore, le " forme "  ( le immagini, il loro movimento,  i volti ed i corpi dei personaggi ) qui creano il "contenuto" ( le emozioni, il punto di vista morale che il film vuole trasmetterci). Sorretto da attori straordinari ( Marcello Fonte, il " dogman ", ha vinto il premio della migliore interpretazione a Cannes ) il film non fa una grinza nella descrizione visiva dei personaggi e della vicenda. Ma  è da chiedersi se riesca poi, come credo ambirebbe,  a superare il semplice fatto di cronaca ( la vicenda si ispira all'efferato delitto del " canaro " della Magliana , avvenuto trenta anni or sono ) e ad assurgere a significati più ampi. A librarsi, in definitiva, in una  atmosfera più rarefatta dove si muovono, appunto, il Bene ed il Male, la capacità di sopportazione e l'istinto di sopraffazione, il fascino della perversione e la carità cristiana . A conti fatti non  sono sicuro che ce la faccia. Questo Marcello , in fondo, non è che una  "Gelsomina " felliniana che  si fosse  violentemente ribellata al proprio " Zampanò ". Ma senza quegli echi spirituali, quella desolata eppure salvifica constatazione che dal male può nascere il bene, che vi è ne " La strada ". Resta il fatto di cronaca. Tremendo nella sua efficacia plastica e visiva, ma incapace forse di condurci ad una lezione più alta. L'ultima immagine , un poco insistita, di Marcello dopo il suo delitto, fermo, ansimante, incapace di rendersi conto di ciò che ha fatto e di cosa voglia ancora fare, è quasi una dichiarazione di impotenza. Incapacità del personaggio di comprendere la via da seguire. Ma anche impossibilità per gli autori di farci transitare ad un'altra dimensione, di fare insomma della pur perfetta descrizione di una tragica vicenda un' autentico viaggio nella nostra dolente coscienza di fragili, impauriti esseri umani.




Nessun commento:

Posta un commento