lunedì 26 marzo 2018

" GLI UCCELLI " di Alfred Hitchcock ( USA, 1963 )

Il marinaio Ismaele ( la " voce narrante " del " Moby Dick " di Melville ) quando voleva scacciare la malinconia  si rimetteva a navigare al più presto. Diversamente da lui, se io incomincio ad avere pensieri un pò tetri, mi rivolgo piuttosto ad un buon film ( non necessariamente uno leggero od allegro ma che sia  una storia forte, narrata bene, con stile ed intelligenza ). Questo pomeriggio - ora è sera- mi sono regalato, dopo tanto tempo che non l'avevo più fatto, la visione di un  bel film di Hitchcock. Non sono andato al cinema, purtroppo non siamo a Parigi dove i grandi film del passato vengono regolarmente mostrati sugli schermi delle sale, e ho dovuto far ricorso ad un DVD di resa comunque più che soddisfacente, proiettato sul televisore domestico. Ho scelto "Gli uccelli" ( " The birds " ) perchè qualcuno di recente ne aveva tessuto l'elogio e questo mi incuriosiva. Ho già detto altre volte tutto il bene che penso del Maestro inglese e non starò a ripetermi. Tra tutti i titoli della sua filmografia però proprio questo, pur apprezzandolo ( ci sono forse  film di "Hitch " che possano non piacere neanche un pò ? ) non l'ho mai considerato un'opera di primissima grandezza alla stregua di " La donna che visse due volte ", " L'altro uomo ", " Il peccato di Lady Considine " (ovvero " Under Capricorn ", il film con cui incominciai quasi due anni or sono questa rubrichetta ). Ricordo che la prima volta che vidi " Gli uccelli ", era uscito da poco in Italia, rimasi  leggermente deluso . Tutta quella prima parte, che avevo preso per una banale commedia leggera, prima che incominciassero finalmente gli attacchi dei volatilii, mi aveva sconcertato per la sua lunghezza e per la mancanza- così mi sembrava - di una vera tensione che preparasse la somministrazione della abituale dose di "suspense",  quella sensazione di pericolo e di minaccia che rende così inquietanti ed  appassionanti tutte le sue opere. Film " minore " , anche se figurativamente impeccabile, ben riuscito esercizio  di stile ma privo di quella carica "sulfurea " che contraddistingue quasi tutto il cinema di Hitchcock del periodo americano. Così lo giudicavo. E le riletture successive ,a partire dal momento in cui il film - scomparso come altri per vent'anni - fu di nuovo visibile, se avevano contribuito a correggere quelle mie prime impressioni non mi avevano ancora dischiuso una vera, piena comprensione del film ed il suo riconoscimento come un capolavoro assoluto.

E' quanto mi e' invece capitato adesso. Un  film struggente, pieno di sottile poesia, di inquietudine mitigata all'ultimo da una tregua precaria ma pur sempre tregua, interruzione dello sforzo e della lotta. E poi , come già altre volte , una grande lezione di cinema da vedere e rivedere ( sceneggiatura di ferro e regia che sa perfettamente tradurla in immagini in movimento ). Quella prima parte che allora trovai troppo lunga , una sorta di " sophisticated comedy " un pò fuori luogo in quello che comunque veniva presentato come, e doveva pur essere, un "thriller ", mi ha fatto ora capire quanto geniale sia stato anche qui Hitchcock con l'ausilio del granitico copione di Evan Hunter. Quei ghirigori, quella sorta di gioco del gatto col topo ( ma chi è il gatto e chi il topo ? ) tra la ricca ed oziosa Melanie Daniels e l'avvocato Mitch Brenner nelle vie, nei condomini e nei negozi di ornitologia di San Francisco , quella improvvisa decisione della ragazza di andare nella piccola località marina di Bodega Bay per portare in regalo due pappagallini alla sorellina di Mitch che compie gli anni ( ma in realtà per rivedere , sedurre , impadronirsi dell'aitante giovanotto ). Quel fortuito incontro con la maestra di scuola Annie Hayworth, che non si fatica a capire quanto abbia cercato invano di diventare lei la ragazza stabile di Mitch , e che  guarda Melanie con sospetto intuendo le sue  mire. Il successivo incontro, a casa dei Brenner, con la madre di Mitch, Lydia,rimasta vedova e perciò gelosa del figlio che teme, sposandosi, possa abbandonarla e con la figlia minore di lei, la deliziosa undicenne Cathy. Le prime schermaglie tra i due giovani reciprocamente incuriositi ed   attratti .  La piccola comunità di Bodega Bay che tanto ricorda nella sua deliziosa, pigra semplicità quella di Santa Rosa (geograficamente vicina ) dove Hitchcock aveva girato vent'anni prima " L'ombra del dubbio." Tutto questo quadro ambientale, saporitamente descritto ma senza mai sconfinare nel triviale, nell'ovvio, prepara in realtà perfettamente il drammatico sviluppo della situazione. Si comprende così come all'intreccio dei rapporti che si stabiliscono tra i vari personaggi, relazioni lievi ma pur dense di implicazioni psicologiche anche dolorose, possa sovrapporsi, con tutta  la repentina imprevedibilità del caso,una sfida che cala una incomprensibile- e perciò tanto più angosciosa-  minaccia sui personaggi, ponendo a rischio la loro stessa esistenza. "Commedia " , certo, questa prima parte de " Gli uccelli " ma, oltre che di alta qualità, ricca di quell'umorismo e di quel " pathos "  sempre presenti in Hitchcock , preparazione magistrale, nei tanti "segnali di pericolo " che il regista dissemina nelle varie situazioni, al successivo sviluppo narrativo. Non dunque " film nel film ", avulso dal principale nodo espositivo come mi era sembrato all'inizio, ma necessaria fase prodromica all'imprevisto e  misterioso attacco degli uccelli  verso la  comunità degli umani..

Precedute da segni premonitori disseminati qua e là con perizia nelle prime sequenze, le aggressioni degli uccelli, prima isolate o in piccoli gruppi e poi in numeri davvero devastanti, pongono una forte sfida ai personaggi, al contesto in cui essi si muovono, ma anche a noi spettatori. Nel cinema di Hitchcock, che  il pericolo sia individuale ( un killer psicopatico, come ne " L'altro uomo " ) o sia rappresentato invece da una vera e propria organizzazione ( i filonazisti di " Notorious " o di "Sabotaggio ", i terroristi di " Intrigo internazionale " ) occorre farvi fronte, in genere,  superando una vera e propria prova ( il rischio della vita o il semplice abbandono delle proprie certezze e delle proprie  abitudini ). I protagonisti , quando vi riusciranno, non saranno più quelli di prima. Cosi' la viziata Melanie avrà conosciuto il pericolo ed il sacrificio e sarà degna di ricevere l'affetto di Mitch e dei suoi familiari. I personaggi dei film del Maestro- come in questo " Gli uccelli " - "crescono " attraverso le peripezie che sono chiamati ad attraversare. Nascono, in un certo senso, una seconda volta  incontrando il Male e riuscendo a non farsi da esso sopraffarre. Sono storie che potremmo ben definire  di iniziazione ad una superiore qualità e consapevolezza di vita. Altro che semplici congegni per farci paura e provocare così quel brivido epidermico da tradizionale " romanzo giallo " ! Anche lo spettatore, ovviamente, è messo alla prova , costretto quasi a fare i conti con la propria coscienza , con le proprie debolezze ,con le proprie sensazioni più nascoste. Hitchcock psicanalista " del " e " al " cinema ? Perchè no, se questo significa aiutarci a fare  i conti con quello che si agita dentro di noi e che non riesce sempre a venire alla superficie. Alla fine, malconci e profondamente segnati nella loro essenza ma vittoriosi prima di tutto su sè stessi, i personaggi profittano di una tregua negli attacchi degli uccelli e riescono a sfuggire all'assedio cui erano stati condannati. Forse,noi  non possiamo saperlo, è solo un modesto intervallo prima di altre più difficili prove, ma l'umanista Hitchcock è riuscito intanto a riaffermare ancora una volta la propria speranza e la propria " pietas " verso gli esseri umani.

Se dal punto di vista della vicenda e dei suoi significati " Gli uccelli " è uno dei film  meno ambigui ed indecifrabili di Hitchcock ma al tempo stesso  più densi ed articolati, la sua  qualità figurativa è davvero sorprendente. La fluidità delle immagini, la perfetta fusione tra i sentimenti che agitano i personaggi , la severa, trattenuta bellezza del paesaggio e la minaccia che su di esso incombe ( all'epoca poteva pensarsi forse alle inquietudini della "guerra fredda ", oggi le nostre paure si sono purtroppo assai diversificate ) contribuiscono a fare del film un'opera indimenticabile ed uno dei punti più alti raggiunti dal cinema occidentale. Oltre alla regia di Hitchcock , ricca di inquadrature " parlanti " nella loro plastica evidenza, il  merito va riconosciuto , come abbiamo più volte ricordato, ad una sceneggiatura perfetta negli snodi narrativi e che serve perfettamente le idee messe in campo dal regista stesso. Tenue, ma delicatissima nelle sfumature pastello del colore,la fotografia del grande Robert Burks .All'epoca fece molto discutere la questione degli uccelli impiegati nel film. Il ricorso a tre tipologie diverse ( uccelli " veri ", uccelli ammaestrati e uccelli finti, ricostruiti questi ultimi mediante un particolare procedimento tecnico- fotografico) fa sorridere nell'era del digitale ma riconferma ancora oggi tutta la sua validità artistica. Agghiaccianti le strida degli uccelli stessi ( il supervisore del suono era Bernard Hermann... ). L'interpretazione, infine, è di primissima classe . Se Rod Taylor ( Mitch ) ha trovato qui un ruolo perfetto che Hollywood non saprà più offrirgli in futuro, l'esordiente Tippi Hedren ( Melanie ) è molto convincente nella sua algida bellezza venata da evidenti pulsioni erotiche. Molto brave anche la  Lydia della veterana Jessica Tandy e la spigliatissima Cathy della piccola Veronica Cartwright. Ma la vera rivelazione del film , a mio avviso, è l'allora venticinquenne Suzanne Pleshette. Una bruna di non eccelsa statura ma di elegante, sensuale bellezza, dalla recitazione intelligente e sensibile nella parte della sfortunata maestrina Annie. Un'attrice, purtroppo,  cui la " fabbrica dei sogni " hollywoodiana non ha più saputo offrire, dopo questo film , una parte altrettanto interessante. Gli interpreti , come sembra si sia espresso una volta lo stesso Hitchcock , saranno anche " bestiame " da sottoporre alla volontà del regista-demiurgo. Ma senza di essi e le suggestioni che emanano dal loro solo apparire sullo schermo, ombre fuggitive in un sogno che continuamente ci appare e svanisce ad ogni proiezione, cosa resterebbe di quelle immagini che si imprimono così vivide nel nostro ricordo ?

1 commento:

  1. Tenue, ma delicatissima nelle sfumature pastello del colore,la fotografia del grande Robert Burks?

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