lunedì 12 marzo 2018

" LADYBIRD " di Greta Gerwig ( USA, 2017 )

Dicevamo qualche tempo fa che i film sull' apprendistato della vita, equivalenti in sostanza a quello che è il " bildungsroman " in letteratura ( la " formazione " di un giovane protagonista attraverso varie esperienze esistenziali ) sono sempre interessanti di per sè . Soprattutto , almeno potenzialmente , rappresentano una formula di successo. Piacciono al pubblico perchè lo stimolano a cercare di intuire come andrà a finire e in più, indirettamente, lo pongono di fronte ai propri personalissimi ricordi, alle speranze e alle delusioni del passato di ognuno. Ecco perchè il cinema ci ha prodigato numerose  opere di questo filone, alcune pregevolissime , altre meno. E continuerà a darcene, state pur certi. 
Sulla stessa lunghezza d'onda ci arriva ora dagli Stati Uniti, a qualche mese di distanza dalla  uscita, questo " Ladybird ". Film scritto e  diretto da una donna, Greta Gerwig, anche attrice ( forse l'avrete vista in " Frances Ha " di Noah Baumbach ) non ancora trentacinquenne ma già considerata più di una semplice speranza per il cinema americano.  Il film, a casa sua, ha nettamente diviso critici e pubblico. Alcuni sostenendo che è un film non privo di grossi  difetti, immeritevole di venire candidato agli Oscar in due o tre categorie ( tranquilli, non ha vinto nulla ). Altri lodandolo invece come "una piccola gemma purissima ". Poi, naturalmente, ci si è messo anche il fatto che il regista è una donna e voi sapete come le questioni " di genere " siano diventate spinosissime al di là dell' Oceano. Essere donna , in questo clima esasperato, può essere un vantaggio per l'effetto- simpatia che può determinare nei due sessi finalmente uniti. Ma anche un handicap perchè fa planare il sospetto che si è andati avanti solo per questa specifica caratteristica (orrore!) .Vediamo allora,  senza pregiudizi, di capire quanto valga il film.

Siamo a Sacramento  ( California ). La città non sarebbe  male : molto verde, ampi spazi, bella situazione geografica, come tante altre  città americane di media grandezza. Solo che la protagonista, una ragazza di diciassette anni, morde il freno perchè  lì non ci si può proprio più vedere e medita , finita la scuola superiore ( è all'ultimo anno in un istituto di stretta osservanza cattolica ) di andare al " college " a New York o comunque sulla costa orientale, terra di libertà , di cultura e di anticonformismo ( o così almeno la vede lei ). Angosciata da una famiglia di origini modeste, senza grandi possibilità economiche, in perenne conflitto con la madre ( un'infermiera che si ammazza di lavoro e che le rimprovera la poca concretezza ed un vago  ribellismo ) cerca faticosamente di trovare una via di crescita personale che la affranchi, almeno emotivamente, dal contesto ambientale. La vicenda è collocata temporalmente nei primissimi anni di questo secolo- le torri gemelle e l'invasione dell' Irak - e segue tutto l'anno scolastico di Ladybird ( il nomignolo infantile , equivalente al nostro " coccinella ", con il quale Christine, la  protagonista, pretende di farsi ancora chiamare da tutti, genitori, amici ed insegnanti , in un ostinato rifiuto di accettare la sua crescita e di affrontare pienamente l'impegnativa realtà della vita che la attende ormai dietro l'angolo ). Amicizie adolescenziali che si annodano e si disfano, piccole vicende in classe e fuori, prime esperienze sentimentali e sessuali, conflitti nella e con la famiglia. Poi ll sospirato diploma e  Ladybird ( l'insetto ) si trasforma in  una crisalide,spicca il volo e , ad un certo punto, diventa finalmente Christine. La sua maturazione si è così completata.

Ho voluto riassumere la trama del film perchè mi sembra rivelatrice della ( legittima ) ambizione che guida l'autrice. Non solo cioè descrivere un ambiente provinciale con tutto il suo " charme "  e le obiettive limitatezze, tracciando un ritrattodi giovane donna che è attratta e intimorita al tempo stesso dal futuro  verso il quale è diretta. Ma anche- e forse di più- regolare i conti con la propria personale esperienza adolescenziale ( la vicenda è in gran parte autobiografica, come si intuisce dal fatto che anche la Gerwig è nata  a Sacramento e che gli anni della sua personale formazione sono quelli che vive Ladybird- Christine ) ed inoltrarsi così sul sentiero dei rapporti genitori-figli. Sentiero già molto battuto  in letteratura e al cinema, ma sempre impervio da percorrere se non si è  in possesso di finezza di analisi e di qualità di scrittura cinematografica. Bene, tenere insieme questi due obiettivi non è sempre facile. Mentirei se dicessi che la Gerwig eccelle, qui,  nel perseguire entrambi. La parte descrittiva è molto ricca- forse c'è troppa carne al fuoco - e non è tutta felicissima ( penso ad un film senza pretese come " Picnic " di Joshua Logan  che era però magistrale nella raffigurazione della società semi-rurale di quegli anni ). Certe sequenze sono divertenti e perfino interessanti nella loro scioltezza  ed originalità,  ma ci si perde un pò, specie all'inizio, in un sovraccarico di notazioni abbastanza abusate senza che il film prenda  un colpo d'ala e si sollevi a qualcosa  di meno scontato. Meglio, tutto sommato, il parallelo tentativo dell'autrice di affrontare il tema della conflittualità con la madre che però rimane anch'esso troppo in superficie, senza che si scavi veramente a fondo sulla inevitabile rivalità tra le due generazioni e le connesse, più o meno sotterranee,  correnti di affetto e di volontà di sopraffazione al tempo stesso che percorrono rapporti così delicati e complessi. In definitiva diciamo che "Ladybird" promette molto, ci lusinga , ci dispensa qualche ottimo momento ma non riesce poi a valorizzare tutto il materiale di cui si è servito.

Sceneggiatrice un pò troppo sicura di sè ( ma oggi, si sa, tutti ambiscono ad essere " autori" esclusivi ) la Gerwig  mi è sembrata tutto sommato migliore sul terreno della regia. Certe inquadrature, il taglio di alcune scene, la fluidità dei raccordi, in breve " il linguaggio ", sono spesso pregevoli e fanno del film un prodotto che spicca e che giustamente ha attirato l'attenzione dei giurati dell' Oscar ( che però poi, come ho detto, non gli hanno conferito alcun riconoscimento ). Merito anche di una bella fotografia che rende omaggio alla solarità dei luoghi ( la California non si riduce solo a San Francisco o a Los Angeles... ) ed accarezza  con proprietà le mezze tinte degli interni. Scenografia, arredamento, costumi, testimoniano della consolidata meticolosità anglosassone che tanto rende gradevole la superficie  dei film d' Oltreoceano ( perchè poi un film dovrebbe essere esteticamente sciatto , anche quando non è un capolavoro ? ). Parlo alla fine della interpretazione perchè mi pare che nei due personaggi femminili (Christine e la madre ) stia tutto il meglio - ed anche però l'irrisolto - del film. Se Saoirse ( pronunciare " sciorsc " , è gaelico ... ) Ronan è certamente brava nel ritratto ingrato di una giovinetta tutto sommato antipaticuccia ma di cui non vengono esplorate tutte le potenzialità, davvero eccellente è la veterana Laurie Metcalf nella parte altrettanto ostica della madre. Duro, rigoroso con sè e con gli altri , il personaggio si porta dietro il ricordo di una esistenza grama e la paura di un futuro economicamente incerto. Nei suoi occhi, taglienti come lame e sempre prossimi al pianto, si intravede a tratti quel difficile rapporto genitori-figli, l'animosità e la " pietas " che ne sono l'humus sotterraneo e che il film  ( timido ? incerto ? ) sfiora solamente, donandoci egualmente verso la fine un sottile, rinfrescante brivido di inquietudine.








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