lunedì 26 febbraio 2018

" LA FORMA DELL' ACQUA " di Guillermo Del Toro ( USA, 2017 )

Ci sono film che, mentre li vedi, fatichi un pò ad entrare nella vicenda , ad appassionarti a quello che succede sullo schermo. Magari, in un secondo tempo, ci ripensi a mente fredda e riesci,allora, a capire cosa volessero dire sceneggiatore e regista. A ricostruire insomma il mosaico di sentimenti, emozioni , idee che volevano trasmetterci. E non è detto che questi di cui parlo siano film brutti o insignificanti, che abbiano assolto male il loro dovere di "intrattenerci", che è sempre il fine ultimo, nobilissimo, cui deve tendere qualunque arte che abbia rispetto del proprio pubblico. No, più semplicemente,  sono opere spesso molto dignitose, magari da rivedere e da approfondire per gustarne allora tutto il sapore che non possono schiuderci di colpo ( io li chiamo "film freddi " ) la prima volta che assistiamo alla loro proiezione. Ognuno può, ripensandoci, trovare film che rientrano in questa tipologia sulla base della propria esperienza di spettatore. A mio avviso, senza togliere nulla alla loro grandezza, il cinema di Antonioni e , spesso, quello di Ingmar Bergman sono così.
Poi ci sono invece i film che ti prendono subito, che riconosci dopo pochi minuti come fossero vecchi amici che non vedevi da tempo e ti chiedi perchè ci abbiano messo così tanto a venire di nuovo a trovarti. Personaggi , vicenda , atmosfera che vogliono creare gli autori, significato che vuoi dargli tu : tutto è lì fin dalle prime inquadrature, chiaro, lampante, si impone alla tua mente e al tuo cuore ( soprattutto a quest'ultimo ) con una evidenza fuori discussione. Ti senti rapito, portato via nell'empireo ( ah quanto ristretto... ) in cui i tuoi sogni, i tuoi ideali, trovano nel film che stai guardando una compiuta identificazione. E sono, queste, le opere che non hanno bisogno di particolari interpretazioni, alle quali certamente tornerai dopo col pensiero ma che fin dal primo momento ti hanno detto tutto, di getto, con meravigliosa immediatezza.

A questa seconda, fortunata , categoria appartiene di diritto " La forma dell'acqua ". Vedendolo mi sono sentito subito attratto,  non tanto o non solo dalla storia e dai personaggi, quanto dalla raffinata semplicità con cui Guillermo Del Toro, sceneggiatore e regista, ci immette subito nel mondo così particolare cui intende dar vita con il suo film, al tempo stesso fiaba moderna e ricostruzione d'epoca. Fiaba che rinverdisce , in un certo senso, il mito della bella e la bestia ( o piuttosto, più in assoluto, quello dell'interazione tra l' essere umano e la dimensione a lui " altra " ed  esterna) immergendolo -  è il caso di dire visto che si parla di acqua - nel contesto di un ipotetico episodio di guerra fredda negli " States " dei primi anni '60 descritto con sarcastico distacco. Ecco, la " cifra " narrativa di Del Toro si manifesta subito come un felicissimo incrocio di elementi fantastici e di gustose notazioni satiriche, di invenzione comica e di sfrenata, visionaria effusione dei sentimenti. Davvero il film si muove su più piani stilistici, senza che l'uno prevalga sull'altro, fusi o giustapposti che siano in armonioso equilibrio espositivo. Anche l'elemento sociopolitico- sul quale molto ha insistito la critica nostrana e che pur c'è nel film, anche se a mio avviso non in misura così cospicua - non prende fortunatamente mai il sopravvento su quella che è la componente lirico-favolistica che dà a " La forma dell'acqua" il suo tono più interessante ed autentico. Film " militante ", certo, ma in nome innanzitutto dell'amore e della libertà degli esseri umani, libertà dello spirito, ed infine libertà della creazione artistica.

In un laboratorio segreto del Pentagono, situato nella periferia di Baltimora, diretto dal Colonnello Strickland ( il vero  prototipo del "white male chauvinist pig " ) viene trasportato un "mostro", una specie di umanoide con la forma di un grosso ed unghiuto lucertolone dalle paurose sembianze che Strickland stesso è andato a scovare nella jungla del Brasile e che potrebbe tornare utile, sembra di capire, per un imprecisato esperimento parascientifico, la  messa in orbita nello spazio o qualunque altra diavoleria in funzione antisovietica ( siamo nei primi anni '60, in piena guerra fredda e la psicosi del " sorpasso " tecnologico-militare tra le due superpotenze è al suo acme ). Elisa, una povera ragazza muta impegnata nelle pulizie del laboratorio ed annessi "gabinetti di decenza" è l'unica che, intravedendolo,  sia attratta dal mostro riconoscendo in lui quella scintilla di spiritualità- diremmo qui addirittura di umanità - che qualunque entità vivente possiede. Un elemento che lo accomuna, nel suo venire disprezzato e maltrattato da tutti, agli esseri  considerati inferiori, i " paria " della società di quei tempi : cioè come la stessa Elisa o  il suo amico e confidente Giles - un timido ed inoffensivo omosessuale -  o la collega pulitrice nera, o un  modesto ricercatore del laboratorio a cui nessuno dà soverchia importanza. Di qui le fantasiose ma toccanti vicende narrate nel film e che sollevano quest'ultimo, anche per la plastica presenza del simpaticissimo mostro, da semplice abbozzo, sia pure gustoso, di un  tentativo di rivolta degli " ultimi " nella scala sociale contro un  " establishment " crudele ed insensibile, al regno della pura immaginazione, del sogno liberatore ed infine, come si vedrà, della compassione e soprattutto dell'amore, quello spirituale come quello fisico: in definitiva, di quei valori umani che non vanno certo negati ai " diversi " e che tutti ci accomunano nella nostra faticosa ma esaltante esistenza.

Guillermo Del Toro, un eclettico regista e sceneggiatore messicano che molto ha operato in patria, in Spagna ( " Il labirinto del fauno " ) e soprattutto negli Stati Uniti,non disdegnando i film " di serie B " del genere fantastico ed  horror, ci dà qui senza dubbio il suo film più importante. Vincitore del Leone d' oro lo scorso anno a Venezia, ha conseguito da poco il "Golden Globe " e non ci sarebbe da stupirsi se ( meritatamente ) tra di meno di una settimana  " La forma dell'acqua " conquistasse anche l' Oscar in più di una categoria. La sua sceneggiatura è ricca di inventiva, compatta e viaggia diritta come un fuso fin dalle primissime sequenze. La regia è semplicemente superlativa, con una fluidità di inquadrature e di movimenti di macchina che danno al film un andamento sciolto, brillante, sempre sorprendente. Occhio, per chi non lo ha ancora visto, alla splendida sequenza onirica in bianco e nero ( tutto il resto del film è a colori ) in cui - omaggio alla grande commedia musicale di Hollywood- Elisa ed il mostro ballano come se fossero Ginger Rogers e Fred Astaire. In un film come questo il contributo dei collaboratori tecnici è di capitale importanza. La fotografia, così,  accentua sapientemente la diversità degli stili e dei piani narrativi attribuendo particolari e distintive tonalità alle varie ambientazioni. La musica, il suono ( mirabili i " versi " emessi dal mostro ) , le scenografie ed i costumi sono un elegante, intelligente, a tratti fastoso apporto ad un film che va ammirato in tutte le sue parti. Da ultimo ho voluto lasciare l'interpretazione perchè essa corona perfettamente un progetto tecnico-artistico di grandissima qualità. Se Il Colonnello Strickland di Michael Shannon è un personaggio di perfetta e  sinistra ubiquità, appena sopra le righe, l' Elisa dell'attrice inglese Sally Hawkins ( forse la ricorderete con Cate Blanchett in " Blue Jasmine" di Woody Allen, qualche anno fa ) fa amare incondizionatamente e rende credibile il suo non facile personaggio. In predicato anche lei per l' Oscar, ha già vinto ampiamente, almeno ai miei occhi, quello della simpatia.







1 commento:

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