Ci sono film che, mentre li vedi, fatichi un pò ad entrare nella vicenda , ad appassionarti a quello che succede sullo schermo. Magari, in un secondo tempo, ci ripensi a mente fredda e riesci,allora, a capire cosa volessero dire sceneggiatore e regista. A ricostruire insomma il mosaico di sentimenti, emozioni , idee che volevano trasmetterci. E non è detto che questi di cui parlo siano film brutti o insignificanti, che abbiano assolto male il loro dovere di "intrattenerci", che è sempre il fine ultimo, nobilissimo, cui deve tendere qualunque arte che abbia rispetto del proprio pubblico. No, più semplicemente, sono opere spesso molto dignitose, magari da rivedere e da approfondire per gustarne allora tutto il sapore che non possono schiuderci di colpo ( io li chiamo "film freddi " ) la prima volta che assistiamo alla loro proiezione. Ognuno può, ripensandoci, trovare film che rientrano in questa tipologia sulla base della propria esperienza di spettatore. A mio avviso, senza togliere nulla alla loro grandezza, il cinema di Antonioni e , spesso, quello di Ingmar Bergman sono così.
Poi ci sono invece i film che ti prendono subito, che riconosci dopo pochi minuti come fossero vecchi amici che non vedevi da tempo e ti chiedi perchè ci abbiano messo così tanto a venire di nuovo a trovarti. Personaggi , vicenda , atmosfera che vogliono creare gli autori, significato che vuoi dargli tu : tutto è lì fin dalle prime inquadrature, chiaro, lampante, si impone alla tua mente e al tuo cuore ( soprattutto a quest'ultimo ) con una evidenza fuori discussione. Ti senti rapito, portato via nell'empireo ( ah quanto ristretto... ) in cui i tuoi sogni, i tuoi ideali, trovano nel film che stai guardando una compiuta identificazione. E sono, queste, le opere che non hanno bisogno di particolari interpretazioni, alle quali certamente tornerai dopo col pensiero ma che fin dal primo momento ti hanno detto tutto, di getto, con meravigliosa immediatezza.
A questa seconda, fortunata , categoria appartiene di diritto " La forma dell'acqua ". Vedendolo mi sono sentito subito attratto, non tanto o non solo dalla storia e dai personaggi, quanto dalla raffinata semplicità con cui Guillermo Del Toro, sceneggiatore e regista, ci immette subito nel mondo così particolare cui intende dar vita con il suo film, al tempo stesso fiaba moderna e ricostruzione d'epoca. Fiaba che rinverdisce , in un certo senso, il mito della bella e la bestia ( o piuttosto, più in assoluto, quello dell'interazione tra l' essere umano e la dimensione a lui " altra " ed esterna) immergendolo - è il caso di dire visto che si parla di acqua - nel contesto di un ipotetico episodio di guerra fredda negli " States " dei primi anni '60 descritto con sarcastico distacco. Ecco, la " cifra " narrativa di Del Toro si manifesta subito come un felicissimo incrocio di elementi fantastici e di gustose notazioni satiriche, di invenzione comica e di sfrenata, visionaria effusione dei sentimenti. Davvero il film si muove su più piani stilistici, senza che l'uno prevalga sull'altro, fusi o giustapposti che siano in armonioso equilibrio espositivo. Anche l'elemento sociopolitico- sul quale molto ha insistito la critica nostrana e che pur c'è nel film, anche se a mio avviso non in misura così cospicua - non prende fortunatamente mai il sopravvento su quella che è la componente lirico-favolistica che dà a " La forma dell'acqua" il suo tono più interessante ed autentico. Film " militante ", certo, ma in nome innanzitutto dell'amore e della libertà degli esseri umani, libertà dello spirito, ed infine libertà della creazione artistica.
In un laboratorio segreto del Pentagono, situato nella periferia di Baltimora, diretto dal Colonnello Strickland ( il vero prototipo del "white male chauvinist pig " ) viene trasportato un "mostro", una specie di umanoide con la forma di un grosso ed unghiuto lucertolone dalle paurose sembianze che Strickland stesso è andato a scovare nella jungla del Brasile e che potrebbe tornare utile, sembra di capire, per un imprecisato esperimento parascientifico, la messa in orbita nello spazio o qualunque altra diavoleria in funzione antisovietica ( siamo nei primi anni '60, in piena guerra fredda e la psicosi del " sorpasso " tecnologico-militare tra le due superpotenze è al suo acme ). Elisa, una povera ragazza muta impegnata nelle pulizie del laboratorio ed annessi "gabinetti di decenza" è l'unica che, intravedendolo, sia attratta dal mostro riconoscendo in lui quella scintilla di spiritualità- diremmo qui addirittura di umanità - che qualunque entità vivente possiede. Un elemento che lo accomuna, nel suo venire disprezzato e maltrattato da tutti, agli esseri considerati inferiori, i " paria " della società di quei tempi : cioè come la stessa Elisa o il suo amico e confidente Giles - un timido ed inoffensivo omosessuale - o la collega pulitrice nera, o un modesto ricercatore del laboratorio a cui nessuno dà soverchia importanza. Di qui le fantasiose ma toccanti vicende narrate nel film e che sollevano quest'ultimo, anche per la plastica presenza del simpaticissimo mostro, da semplice abbozzo, sia pure gustoso, di un tentativo di rivolta degli " ultimi " nella scala sociale contro un " establishment " crudele ed insensibile, al regno della pura immaginazione, del sogno liberatore ed infine, come si vedrà, della compassione e soprattutto dell'amore, quello spirituale come quello fisico: in definitiva, di quei valori umani che non vanno certo negati ai " diversi " e che tutti ci accomunano nella nostra faticosa ma esaltante esistenza.
Guillermo Del Toro, un eclettico regista e sceneggiatore messicano che molto ha operato in patria, in Spagna ( " Il labirinto del fauno " ) e soprattutto negli Stati Uniti,non disdegnando i film " di serie B " del genere fantastico ed horror, ci dà qui senza dubbio il suo film più importante. Vincitore del Leone d' oro lo scorso anno a Venezia, ha conseguito da poco il "Golden Globe " e non ci sarebbe da stupirsi se ( meritatamente ) tra di meno di una settimana " La forma dell'acqua " conquistasse anche l' Oscar in più di una categoria. La sua sceneggiatura è ricca di inventiva, compatta e viaggia diritta come un fuso fin dalle primissime sequenze. La regia è semplicemente superlativa, con una fluidità di inquadrature e di movimenti di macchina che danno al film un andamento sciolto, brillante, sempre sorprendente. Occhio, per chi non lo ha ancora visto, alla splendida sequenza onirica in bianco e nero ( tutto il resto del film è a colori ) in cui - omaggio alla grande commedia musicale di Hollywood- Elisa ed il mostro ballano come se fossero Ginger Rogers e Fred Astaire. In un film come questo il contributo dei collaboratori tecnici è di capitale importanza. La fotografia, così, accentua sapientemente la diversità degli stili e dei piani narrativi attribuendo particolari e distintive tonalità alle varie ambientazioni. La musica, il suono ( mirabili i " versi " emessi dal mostro ) , le scenografie ed i costumi sono un elegante, intelligente, a tratti fastoso apporto ad un film che va ammirato in tutte le sue parti. Da ultimo ho voluto lasciare l'interpretazione perchè essa corona perfettamente un progetto tecnico-artistico di grandissima qualità. Se Il Colonnello Strickland di Michael Shannon è un personaggio di perfetta e sinistra ubiquità, appena sopra le righe, l' Elisa dell'attrice inglese Sally Hawkins ( forse la ricorderete con Cate Blanchett in " Blue Jasmine" di Woody Allen, qualche anno fa ) fa amare incondizionatamente e rende credibile il suo non facile personaggio. In predicato anche lei per l' Oscar, ha già vinto ampiamente, almeno ai miei occhi, quello della simpatia.
In un laboratorio segreto del Pentagono, situato nella periferia di Baltimora, diretto dal Colonnello Strickland ( il vero prototipo del "white male chauvinist pig " ) viene trasportato un "mostro", una specie di umanoide con la forma di un grosso ed unghiuto lucertolone dalle paurose sembianze che Strickland stesso è andato a scovare nella jungla del Brasile e che potrebbe tornare utile, sembra di capire, per un imprecisato esperimento parascientifico, la messa in orbita nello spazio o qualunque altra diavoleria in funzione antisovietica ( siamo nei primi anni '60, in piena guerra fredda e la psicosi del " sorpasso " tecnologico-militare tra le due superpotenze è al suo acme ). Elisa, una povera ragazza muta impegnata nelle pulizie del laboratorio ed annessi "gabinetti di decenza" è l'unica che, intravedendolo, sia attratta dal mostro riconoscendo in lui quella scintilla di spiritualità- diremmo qui addirittura di umanità - che qualunque entità vivente possiede. Un elemento che lo accomuna, nel suo venire disprezzato e maltrattato da tutti, agli esseri considerati inferiori, i " paria " della società di quei tempi : cioè come la stessa Elisa o il suo amico e confidente Giles - un timido ed inoffensivo omosessuale - o la collega pulitrice nera, o un modesto ricercatore del laboratorio a cui nessuno dà soverchia importanza. Di qui le fantasiose ma toccanti vicende narrate nel film e che sollevano quest'ultimo, anche per la plastica presenza del simpaticissimo mostro, da semplice abbozzo, sia pure gustoso, di un tentativo di rivolta degli " ultimi " nella scala sociale contro un " establishment " crudele ed insensibile, al regno della pura immaginazione, del sogno liberatore ed infine, come si vedrà, della compassione e soprattutto dell'amore, quello spirituale come quello fisico: in definitiva, di quei valori umani che non vanno certo negati ai " diversi " e che tutti ci accomunano nella nostra faticosa ma esaltante esistenza.
Guillermo Del Toro, un eclettico regista e sceneggiatore messicano che molto ha operato in patria, in Spagna ( " Il labirinto del fauno " ) e soprattutto negli Stati Uniti,non disdegnando i film " di serie B " del genere fantastico ed horror, ci dà qui senza dubbio il suo film più importante. Vincitore del Leone d' oro lo scorso anno a Venezia, ha conseguito da poco il "Golden Globe " e non ci sarebbe da stupirsi se ( meritatamente ) tra di meno di una settimana " La forma dell'acqua " conquistasse anche l' Oscar in più di una categoria. La sua sceneggiatura è ricca di inventiva, compatta e viaggia diritta come un fuso fin dalle primissime sequenze. La regia è semplicemente superlativa, con una fluidità di inquadrature e di movimenti di macchina che danno al film un andamento sciolto, brillante, sempre sorprendente. Occhio, per chi non lo ha ancora visto, alla splendida sequenza onirica in bianco e nero ( tutto il resto del film è a colori ) in cui - omaggio alla grande commedia musicale di Hollywood- Elisa ed il mostro ballano come se fossero Ginger Rogers e Fred Astaire. In un film come questo il contributo dei collaboratori tecnici è di capitale importanza. La fotografia, così, accentua sapientemente la diversità degli stili e dei piani narrativi attribuendo particolari e distintive tonalità alle varie ambientazioni. La musica, il suono ( mirabili i " versi " emessi dal mostro ) , le scenografie ed i costumi sono un elegante, intelligente, a tratti fastoso apporto ad un film che va ammirato in tutte le sue parti. Da ultimo ho voluto lasciare l'interpretazione perchè essa corona perfettamente un progetto tecnico-artistico di grandissima qualità. Se Il Colonnello Strickland di Michael Shannon è un personaggio di perfetta e sinistra ubiquità, appena sopra le righe, l' Elisa dell'attrice inglese Sally Hawkins ( forse la ricorderete con Cate Blanchett in " Blue Jasmine" di Woody Allen, qualche anno fa ) fa amare incondizionatamente e rende credibile il suo non facile personaggio. In predicato anche lei per l' Oscar, ha già vinto ampiamente, almeno ai miei occhi, quello della simpatia.
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