domenica 28 gennaio 2018

" CHIAMAMI COL TUO NOME " di Luca Guadagnino ( Italia/ Francia / USA , 2017 )

" Da qualche parte nell' Italia del Nord ", così avverte genericamente la didascalia apposta sul fotogramma iniziale del film, ad evidente beneficio dei pubblici stranieri. Perchè ci si immagina invece che  gli spettatori  di casa nostra possano individuare  con maggiore approssimazione quel pezzettino di pianura padana in cui si svolge la vicenda, visto che vengono menzionate  Crema e Bergamo. L'anno è quello di grazia del 1983 : nascita del pentapartito e Bettino Craxi presidente del consiglio ( citati entrambi ). Elio, virgulto diciassettenne di una ricca famiglia ebrea altoborghese italo-franco-americana, sembra annoiarsi passabilmente nella splendida villa secentesca di proprietà familiare immersa nella calura estiva. Letture eterogenee, sonate al pianoforte o alla chitarra classica, qualche goffo approccio con le giovinette localmente disponibili, con condimento di partitelle a pallavolo e di gite al fiume. Tutto ciò fino al momento in cui arriva Oliver, un assai piacente studente americano ventiquattrenne che deve completare in Italia la sua tesi di laurea in archeologia  e che è ospitato dal padre di Elio, professore universitario e sua guida nell'impresa. Da certi sguardi che si lanciano i due giovani fin dal primo incontro e dagli orientamenti amorosi ancora incerti di Elio capiamo subito che lì gatta ci cova. Non manca molto, infatti, perchè tra i due nasca una forte attrazione e poi una vera e propria  relazione omofila che ha tutti i tratti di una autentica passione, destinata peraltro a finire con la fine delle vacanze e  il ritorno di Oliver negli States. Ad Elio resterà una ferita nel cuore, la nostalgia dettata dal ricordo dell'amico ed una probabile crescita personale derivante da una esperienza così coinvolgente.

Dico subito che la storia alla base  di " Chiamami con il tuo nome ", ancorchè prevedibile nei suoi principali snodi narrativi, non è affatto male. I racconti " di formazione ", le vicende di giovani alle prese con le loro pulsioni ed i loro interrogativi esistenziali sono quasi sempre interessanti.Un pò  perchè ci rammentano  qualcosa del nostro passato e un pò perchè ci piace analizzare la traiettoria di un cuore alle sue prime esperienze sentimentali.  Il soggetto del film non è originale poichè deriva da un romanzo di un certo André Anciman che risale ad una decina di anni fa.Perchè  sia ambientato negli anni '80 non saprei dirvi, fatto sta che il film rispetta questa datazione. Ma cambia la " location " : non più la Liguria, bensì le rive del Serio ( affluente di sinistra del Po ). Anche qui non saprei darvi una spiegazione.
Ciò che conta, purtroppo, è il fatto che - romanzo o no - il modo con cui, nel film , è raccontata la vicenda e vengono tratteggiati i personaggi è assai poco convincente. Passi per i due protagonisti, Elio ed Oliver, in fondo più che personaggi reali, archetipi della bellezza giovanile maschile. E giustamente attraenti , poichè tutto il film è prima di tutto una esaltazione della bellezza : dei volti, dei corpi, ma anche degli oggetti, dei luoghi. Dalla bellezza, sembra dire Guadagnino, nasce e si alimenta il desiderio. Come facciano i brutti, i poveri di spirito ( e di risorse economiche ) ad amare ed a provare dei sentimenti " forti " , l'autore non ce lo dice. Ma , si sa , questi film  elitisti, concepiti su e per gli " happy few ", non possono porsi questi interrogativi di sociologia spicciola. E invece farebbero bene a farlo, ogni tanto , se vogliono evitare di rendersi inattendibili   come purtroppo , a tratti , mi è sembrato questo " Chiamami col tuo nome ". Situazioni al limite dell' inverosimile, personaggi secondari ( perfino i genitori di Elio, importanti nell'economia narrativa ) posticci, non un dialogo che non sappia di cattiva letteratura. La stessa ambientazione d'epoca ( non un elemento trascurabile , debbo presumere , se si è mantenuta quella del romanzo ) è molto carente. Forse , come ha rivelato Guadagnino in una intervista, il budget del film era troppo modesto. Ma possibile che le canzoni trasmesse dalle radioline sembrino tutte più anni '90 che '80 ? E perchè tutto quell'insistere sulle auto d'epoca, sbagliando peraltro assai ( la " Giulia " prima serie che si vede parcheggiata in una inquadratura, quella col cuneo sul portabagagli, era uscita di produzione dieci anni prima del 1983 ed è improbabile che ne girassero di così smaglianti ancora tanti anni dopo ). Ed è possibile mai  che la produzione non si sia pagata un buon consulente " storico " che avrebbe ricordato come , sempre nel 1983, erano già diffusi da tempo i poggiatesta sui sedili anteriori delle autovetture nonchè le cinture per i passeggeri ( qui totalmente assenti su tutti i modelli )? Sembrano inezie e forse lo sono. Ma sono anche la spia di quella che mi è sembrata una operazione raffazzonata, un progetto produttivo ed artistico intrapreso senza troppa convinzione, tanto per puntare sulla presunta scabrosità della trama e , ripeto, sulla bellezza dei luoghi e dei due interpreti principali. Ripeto,  il soggetto è valido e non credo che , al giorno d'oggi possa più offendere qualcuno. La passione è passione indipendentemente dal genere di chi, e per chi, la si prova. No, i problemi  ( non pochi ) del film stanno altrove ed attengono alla sceneggiatura, al dialogo, alla  scelta degli interpreti, perfino all'infelice doppiaggio dell'edizione italiana.

L'attrazione-esitazione iniziale di Elio per Oliver ed il giocare di quest'ultimo come il gatto col topo sono momenti del film troppo lunghi e noiosi ( diciamo che il film diventa interessante solo nella seconda metà del suo troppo lungo svolgimento, due ore e dieci per l'esattezza ). Qui il principale responsabile di tanto girare a vuoto mi è sembrato- e non temo di sbagliarmi - l'autore della sceneggiatura,cioè niente di meno che James Ivory: sì, il regista di  " Camera con vista " e " Quel che resta del giorno ", ormai novantenne ma sempre il solito freddo formalista privo del minimo, autentico slancio. E lo  si vede nel suo disperato tentativo di dare un senso, una direzione a tanto inutile " splendore ".  Dicevamo dei personaggi minori , ma non meno importanti nel film  e dei dialoghi  che sono costretti a recitare, che a volte lasciano letteralmente senza fiato. Penso al padre di Elio, improbabile archeologo ( non si capisce mai in che cosa consista esattamente il suo lavoro ) cui viene fatta pronunciare, con l'aria di stare enfaticamente insegnando qualcosa a qualcuno, un'affermazione del genere : " Prassitele, il più grande scultore dell'antichità classica", mentre dialoga con il laureando Oliver. Una banalità simile, roba da Bignami o da " Reader's Digest", un vero docente universitario non la direbbe mai e per giunta ad un " postgraduate " che non credo possa essere del tutto ignaro di una figura così fondamentale nella storia dell'arte.
La scelta degli attori non mi è parsa molto felice, anche qui- sospetto- per ragioni di risparmio e di coproduzione. Passi per il protagonista ,Timothée Chalamet : bravino, ancorchè abbastanza monocorde, la circostanza che sia candidato per l'Oscar però è incommentabile. Oliver è l'attore americano emergente, Armie Hammer. Bello lo è senz'altro  ma non mi pare fornito di memorabile arte recitativa ( ovviamente, per la serie "tanto peggio tanto meglio", anche lui, quest'anno, è candidato all'Oscar nella categoria attori non protagonisti ). L'interprete del padre,di cui qui non ricordo il nome, è francamente al di sotto del cosiddetto minimo sindacale. Fuori parte, poi,  l'attrice francese Esther Garrel che interpreta la fidanzatina mancata del giovane Elio. Non aiuta infine , questa volta, il doppiaggio italiano : voci ( ancora il personaggio del padre... ) al limite del ridicolo. E poi quel lasciare invece i personaggi popolari ( la serva ed i suoi assistenti ) confinati nel loro duro ed incomprensibile dialetto cremasco ha l'effetto- spero involontario -  di emarginarli ancora di più, a sottolinearne quasi, si direbbe, l'esclusione da piaceri tanto intellettualmente raffinati.

Freddo e formalistico per buona parte delle sue pur pregevoli inquadrature,  " Chiamami col tuo nome " si infiamma improvvisamente con l'erompere della passione amorosa tra i due giovani. E qui sa trovare, talvolta , accenti di verità e di rigore estetico. Più che le riprese notturne nella villa o la canzoncina ruffianesca che fa da leit motiv ai momenti di maggiore esaltazione ( ci credereste ? Candidata all' Oscar anche lei... ) mi sono parse suggestive e convincenti le geometrie degli sguardi e dei corpi che si cercano. Non più, finalmente, semplici figurine di una sorta di arcadico erotismo " soft " ( penso alle lesbicheggianti "jeunes filles en fleur "  riprese da David Hamilton  negli anni '70 ) Elio ed Oliver vengono improvvisamente restituiti alla loro realtà corporea, alla dura tenzone che si apre nell'incontro tra due esseri che si desiderano. Fosse stato tutto così, provvisto di coraggio ed umiltà, oggi parleremmo di un film diverso : penso ad  un inquietante, mal riuscito ma autentico film erotico come " Corps à coeur " del francese Paul Vecchiali ( 1979 ) che rimane per me una delle migliori declinazioni del tema amoroso.
In fin dei conti, quello  che salverei del film è proprio la regia.  Guadagnino, al suo terzo o quarto lungometraggio, rivela di saper stare con sicurezza dietro la macchina da presa. Buone inquadrature, senso del ritmo ( sceneggiatura sfilacciata permettendo ... ) la capacità di darci, un giorno, un buon film ce l'ha sicuramente. Se dovessi dargli un consiglio gli direi di lasciar perdere le storie troppo lambiccate, i " trattamenti " troppo asfittici, e soprattutto quella " globalizzazione " di sceneggiatori, attori, luoghi di ambientazione, che non fa certo la forza del suo cinema , come è evidente in questo film. Lui che è un bravo documentarista - e certi scorci della Padania, il paesaggio fluviale, i piccoli caffè, la gente semplice, lo dimostrano anche in " Chiamami col tuo nome " - esca di casa, ricominci a guardarsi attorno, a filmare quello che conosce. Il cinema è giusto che si sprovincializzi, che un film sia commerciabile in altri paesi e non solo in quello in cui è stato realizzato. Ma sempre partendo da una realtà ben precisa, semplice e forte quale quella che ci circonda. Il meglio dell'opera di Rossellini, De Sica, Visconti, Fellini, Antonioni, lo dimostra ampiamente.





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