martedì 16 gennaio 2018

" TRE MANIFESTI AD EBBING, MISSOURI " di Martin McDonagh ( Usa, 2017) / " MORTO STALIN SE NE FA UN ALTRO " di Armando Iannucci ( Regno Unito, 2017 )

Il grottesco è un genere difficile ,nel cinematografo più ancora che nella letteratura o a teatro. La dismisura,  l'eccesso programmaticamente ricercato per significare l'assurdità di certi aspetti della nostra vita, come l'ingiustizia o il predominio del caos, non riesce  a calarsi facilmente nelle immagini e nei dialoghi di un film . Occorre, paradossalmente, molto equilibrio e molta misura nella mente dell'artista che voglia percorrere una strada che  per lui presenta almeno due rischi. Da un lato quello di cadere nel ridicolo, cioè di risultare enfatico e ridondante, quindi poco credibile sul piano narrativo. Dall'altro quello di perdere di vista il proprio assunto iniziale (la critica di un certo tipo di mentalità o di costume) e di  indugiare troppo sulla superficie delle cose, senza menare l'affondo con il necessario vigore.  A ciò aggiungeteci la circostanza che in alcuni Paesi, ed il nostro è uno di questi, premere il pedale del grottesco al cinema per  provocare effetti drammatici e comici al tempo stesso (una specialità anglosassone e dell' Europa centro orientale) non incontra spesso particolare favore. A noi, insomma, piace il dramma, quello senza tante intromissioni di segno diverso. Se non addirittura il melodramma, genere  che  ovviamente rifugge dal grottesco pena la rottura di quell'incantesimo da cui trae la sua forza. Oppure, al lato opposto, ci attira il comico  puro e semplice, quello che suscita il riso anche se poi, nelle sue espressioni migliori ( da Totò a Jerry Lewis) riesce talvolta a farci riflettere. Come eccezione alla regola potrei citare alcuni titoli della "commedia all'italiana ", ad esempio " I mostri " ( 1963 ) che sul grottesco insisteva non poco.  Ma che il pubblico a suo tempo accolse con favore più  per i suoi aspetti irresistibilmente ludici, senza troppo soffermarsi sulla graffiante, dolorosa satira di costume suggerita da  quelle immagini, a tratti così violente e  deformate della realtà.

Due film visti a Milano la settimana scorsa mi inducono a questa riflessione. Ed il fatto che uno , il più bello  ( " Tre manifesti... " ) sia stato accolto bene dalla critica nostrana ma giudicato per lo più un film drammatico senza cogliervi  la presenza di una componente volutamente grottesca , e l'altro ( " Morto Stalin ...") che più apertamente utilizza quel registro non abbia avuto grandi accoglienze, mi corroborano nel convincimento che ho appena enunciato. No, l'Italia non ama questo modo di raccontare al cinema. E quindi facciamocene una ragione. Voi però che mi seguite ed un poco mi fate fiducia non fatevi scoraggiare. Andate a vedere due film intelligenti come questi. Forse , ancora una volta, non saranno due capolavori ( la mente , qui, prevale sul cuore per  tutti e due i rispettivi sceneggiatori-registi e voi sapete come io deplori, nell'arte, la scissione tra questi due elementi ) ma essi battono di gran lunga tutto il resto che è appena entrato in programmazione .
Veniamo al primo, quello che è destinato comunque a restare più a lungo, io credo, sui nostri schermi. E che ha vinto, pochi giorni or sono, il prestigioso " Golden Globe ", cioè il premio per il miglior film drammatico del 2017 in lingua inglese, che è un pò, negli USA,  l'anticamera degli Oscar del prossimo Marzo ( vedremo adesso, a partire dalle " nominations ", come si piazzerà ma tutti dicono che è accreditato per la vittoria anche lì). Il  suo regista e sceneggiatore, anche se è appena al terzo film  in più di dieci anni, non è uno sconosciuto. Martin Mc Donagh, inglese di origine irlandese, è soprattutto un ottimo commediografo e lo si capisce subito per le battute fulminanti, al vetriolo, di cui è costellato questo film. Ma è anche un eccellente sceneggiatore e le sue storie non fanno una grinza, ben costruite e  perfettamente funzionanti ( tant'è che a Venezia , dove " Tre manifesti ... " era stato presentato in concorso, ha vinto il " Leone d'oro " proprio in quella  categoria ).  Come regista, infine, ha al suo attivo un film bizzarro,  che non  sarebbe dispiaciuto ad Harold Pinter, il drammaturgo inglese del teatro dell'assurdo e della minaccia incombente , " In Bruges ", storia di due sicari persi nelle nebbie e nei canali di quella città.

Alle corte. La vicenda di " Tre manifesti ... " può anche apparire drammatica ( ed a tratti sinceramente lo è ) mettendo in scena una " mater dolorosa " cui hanno ucciso barbaramente la figlia. Stufa della scarsa solerzia della polizia che, dopo mesi, non ha trovato il più piccolo indizio per risalire all'autore di quel terribile omicidio , la madre in questione decide di dare una scossa alle indagini affittando tre giganteschi cartelloni pubblicitari appena furi della città sui quali affigge manifesti che stigmatizzano in pochi  ma incisivi interrogativi l'indolenza degli investigatori. Di qui le reazioni, per lo più negative, di questi ultimi e dell'intera , conformista cittadina ( non cercate Ebbing sulle carte geografiche perchè ovviamente non esiste... ).La vicenda, grazie al'inventiva e alla bravura di Mc Donagh, corre a perdifiato con scoppi improvvisi di violenza e frequenti colpi di scena, come un cavallo imbizzarrito ma teso a raggiungere egualmente il traguardo : nel nostro caso un epilogo sornione e beffardo che è anche però una attestazione, dopo tanto odio e rancore, della superorità dell'amore  e della reciproca " pietas " tra gli esseri umani. Un finale che un critico buontempone milanese ha definito ( scusatemi ) " una paraculaggine ".  Ma  che invece, a mio avviso,è semplicemente un ingegnoso e convincente snodo narrativo. Altrimenti, seguendo il singolare ordine di idee di quel mio collega blogger,  anche Shakespeare e Dickens, maestri  nell'imprimere svolte improvvise nelle storie che raccontano, finirebbero nella simpatica schiera dei "mistificatori " alla McDonagh ...

Se la storia raccontata da "Tre manifesti... " è drammatica ( le aggressioni, i tentativi di giustizia sommaria, la violenza verbale sembrano farla da padroni lungo tutto il film  ) non meno evidente mi sembra  il grottesco di tante situazioni, dei personaggi e dei dialoghi. La comicità si unisce spesso alle situazioni più tese, " dinamitandole " dall'interno, rivelando l'assurdità ed il disordine del finto perbenismo di una sonnacchiosa cittadina alla periferia dell' impero americano nonchè , più in generale , la caducità  dei " miti " su cui si è costruita la  fortuna  stessa del cinema americano. Ecco allora, brevemente rivisitati nel film, i generi classici delle " motion pictures " : dal poliziesco, al noir, al western, al film di denuncia politico-sociale. Altrettanti petali di stile narrativo che Mc Donagh, da europeo critico ma che rispetta, pur non amandola, la grande tradizione di Hollywood, sfoglia con ironico ma partecipe affetto. Ne viene fuori un gran bel film , pieno di echi e di dissonanze , bizzarro ed intelligente come certe opere  dei fratelli Coen( non a caso Frances McDormand, l'interprete principale, è la moglie proprio di uno di costoro ).
Se la sceneggiatura- come già ricordato- è di prim'ordine, anche la regia non scherza : ritmo teso, susseguirsi di inquadrature particolarmente suggestive, di taglio sempre molto indovinato, immagini a tutto tondo. Di solida fattura la  fotografia ed il sobrio, ma incisivo, commento musicale. Veniamo all'interpretazione , la parte più difficile per i continui cambi di registro- dal drammatico all'ironico e comico e viceversa - a volte  dello stesso personaggio nella stessa scena. Frances McDormand è semplicemente superlativa ( sicura finalista agli Oscar, ha appena vinto anche lei un " Golden Globe " ). Bella donna vicina ai sessanta, è ancora viva e guizzante, strepitosamente calata nel non facile ruolo della madre. Tra gli altri, tutti bravissimi, da citare almeno il poliziotto psicopatico ( Sam Rockwell ) che è una creazione veramente di alto profilo. Film da vedere, da meditare, da discutere, non lascia indifferente lo spettatore.

" Morto Stalin se ne fa un altro " ( cervellotica traduzione del sobrio  titolo originale " La morte di Stalin " ) il registro del grottesco, invece, lo cavalca in pieno. E per questo rischia, da noi,  il disfavore di una parte della critica e del pubblico.Come , d'altra parte,  non essere tentati di descrivere la crudele dittatura staliniana , assurda, ingiusta ed oltraggiosa, proprio attraverso la chiave di lettura del  genere grottesco, come se fosse uno di quei brutti sogni senza capo nè coda,  in cui notazioni tragiche si intrecciano con elementi  farseschi ? Ci provò, con l'hitlerismo, tanti anni fa , il grande Lubitsch ( " Vogliamo vivere ", cioè " To be or not to be" ) e gli andò da grande. Questo film , scritto e diretto da Armando Iannucci, britannico di ascendenza italo-scozzese , noto fin qui per alcune serie televisive di successo, non vale quanto quello di Lubitsch. Ma è solido, ben scritto. Gli episodi susseguenti alla morte del dittatore georgiano e la lotta per la successione che arrise al furbo Kruscev aderiscono abbastanza alla verità dei fatti, almeno per quanto mi ricordi. Soprattutto ha ritmo, almeno quasi sempre, ed interpretazioni di grande bravura ( su tutte quella di Steve Buscemi nella parte proprio di Kruscev, di grande finezza )  Talvolta queste possono sembrare un pò troppo sopra le righe, ma il grottesco lo impone  : esemplare in questo il personaggio Beria, temuto capo della polizia, divenuto poi ministro dell'interno, burattinaio  di tante vicende oscure ma , a sua volta, patetica ancorchè buffonesca vittima delle sue stesse macchinazioni .
Ne consiglio la visione, in barba ai critici nostrani che lo hanno piuttosto maltrattato, a coloro che amano divertirsi in modo intelligente e che non disdegnano, come più volte ricordato, la commistione di elementi diversi e dissonanti tra loro.  Ma non è questa poi, alla fin fine, la caratteristica principe della nostra stessa  esistenza ? Si ride e si piange, si lotta per raggiungere un qualunque obiettivo senza pensare al " dopo "... Grottesco, non vi pare ?







4 commenti:

  1. Ciao. In pochi giorni sono riuscita a vedere entrambi i film che hai qui commentato. Beh...incredibile se penso alla mia vita attuale. Mi sono entrambi piaciuti ma ti confesso che non sono riuscita a cogliete davvero il grottesco in Tre manifesti mentre l'ho apprezzato molto nell'altro. Ne parleremo la ptossima volta che passo da Milano. Buonanotte

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    1. Ciao Alessandra ! Lietissimo che tu sia riuscita a vedere " Tre manifesti... " e " Morto Stalin ... " e che ti siano piaciuti.
      Il secondo è , come hai visto, interamente giocato sul filo del grottesco. Il primo, evidentemente no : Si tratta senz'altro di un film drammatico ma che , qualche volta, utilizza i moduli del " grottesco " .Pensa al personaggio del poliziotto psicolabile , Dixon, e in particolare alla scena in cui letteralmente defenestra l'impiegato dell'agenzia di pubblicità ( incredibile che questi non ci rimetta la pelle ). Qui il fatto è talmente " fuori misura ", assurdo e direi quasi comico per le modalità di svolgimento da risultare certamente drammatico, disgustoso per tanta bieca violenza. Ma anche al tempo stesso ( e qui è il " grottesco " )tale da suscitare un senso di bizzarra euforia nello spettatore, un pò come quando da bambini si assisteva alle bastonature negli spettacoli di marionette, con un sentimento di paura, cioè , misto a eccitazione e , perchè no, un sano e liberatorio desiderio di mettersi a ridere per l'inverosimiglianza e l'eccesso della situazione.
      Non so se ti ho convinto , ma ripensa a quella scena e ad altri momenti del film ( anche l'incendio del posto di polizia da parte di Mildred è francamente " sopra le righe ", sembra - ma è tutt'altro che un rimprovero che muovo al film -una sequenza da fumetto, volutamente eccessiva, proprio per passare dal semplice registro drammatico " classico " ad una tonalità più fragorosa ( è proprio il caso di dire ... ) e più schiettamente bizzarra.Uno dei meriti del film , secondo me, è proprio questa capacità di passare da un registro all'altro, non finendo mai di spiazzare lo spettatore.
      Il seguito ( se ne avrai voglia ) al prossimo incontro milanese ( o , perchè no, bresciano ):

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  2. Grazie per i consigli originali! Un saluto, Flavia Foresti

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    1. Cio Flavia ! Mi fa molto piacere che segui il mio blog. Spero che tu riesca ad andare spesso al cinema : il cinema non è tutto, nella vita, ma è una delle cose belle di quest'ultima . E so che ne siamo entrambi convinti !

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