mercoledì 15 febbraio 2017

" Silence " di Martin Scorsese ( USA, 2016 )

Ci sono film, a volte, che ti spiazzano. Eri andato al cinema pensando di vedere una certa cosa -  nel caso di specie una sorta di " western " ambientato nel Giappone del XVII ° secolo, magari con i missionari cattolici nella veste dei "nostri" e gli "indigeni" come nemici  -  e te ne ritrovi improvvisamente una tutta diversa. Diciamo subito che " Silence " , l'ultima fatica di Martin Scorsese - e qui il termine  "fatica " ci sta tutto per il dispendio di energia, di ingegno e di appassionata partecipazione profuso dal regista - è un gran bel film. E che il suo assunto, il suo significato, la sua ragion d'essere , vanno  al di là del semplice racconto di avventure o del film storico,  anche se queste due categorie sono qui egualmente ben rappresentate . In realtà mi è apparsa come un'opera di alto sentire , di tormentata riflessione sui problemi della Fede, della Grazia e della Misericordia, quale non avevo  letto né visto  dai tempi di Bernanos e di Bresson. Due nomi che non faccio a sproposito : li ha evocati o almeno non li ha respinti, quasi ad  indicare le proprie credenziali, lo stesso Scorsese in una lunga ed esemplare intervista con i gesuiti de " La civiltà cattolica " che, se avrete tempo, vi invito a leggere nella sua versione " breve " sul web ( laciviltàcattolica.it, 9 dicembre 2016 ). Film  "religioso",  dunque. O, meglio, " sulla " religione . In tempi e circostanze , oggi,  piuttosto lontani da una prospettiva ultramondana, un film  tale da spiazzare veramente,  da prendere lo spettatore non prevenuto a contropelo, da lasciarlo per ben due ore e venti in balia delle proprie emozioni , dei propri sentimenti profondi, delle riflessioni che sorgono spontanee mentre scorrono le immagini sullo schermo. Sensazioni ed introspezione che si fanno più vive ed acute a proiezione terminata quando, senza più quella boa di salvataggio che in fondo è il film  nel suo oggettivo dipanarsi,  si è lasciati soli a  decantare ciò che si è visto, ciò che si è sentito. E se questo accade, se questo lavorio interno lo avvertiamo, possiamo essere sicuri di aver  assistito ad una opera non effimera ma destinata ancora a vivere in  noi.
 
Veniamo alla vicenda. Due giovani gesuiti portoghesi - siamo nel 1633 - Padre Garrupe ( Adam Driver ) e Padre Rodríguez (Andrew Garfield ) ottengono, vincendo la riluttanza dei superiori, di essere inviati in Giappone sulle tracce della loro guida spirituale, Padre Ferreira . Questi, partito per convertire le popolazioni locali alcuni anni prima, non ha da tempo più dato notizie di sè. Potrebbe essere morto, forse ucciso dalle autorità di quel paese, vivamente ostili alla penetrazione del Cristianesimo. Ma si vocifera anche che egli, per qualche ignota ragione, abbia abiurato la propria fede e viva ora completamente integrato nell'ambiente e nella cultura giapponese. Già questo inizio, confesso, mi è subito piaciuto ed ho ammirato la sceneggiatura ( cui ha lavorato lo stesso Scorsese, traendolo da un romanzo giapponese apparso nel 1966 ) per darci subito, fin dalla prima scena, il  "plot ", l'essenza stessa della trama. Senza troppi passaggi a vuoto, senza quei tentennamenti iniziali che spesso si notano nei film di oggi, esitanti ad entrare in argomento , quasi "si cercassero" - come si suol dire - o fossero piuttosto tristemente alla ricerca di una storia ( la storia che sono supposti raccontarci e che purtroppo o non c'è o è debole , sfilacciata, talvolta esangue ). E poi, ammetterete, quella intrigante analogia con  il nucleo centrale di " Cuore di tenebra " di Conrad ( che al cinema, ricorderete, ha ispirato " Apocalypse Now "  ) con il mistero di Kurz scomparso nel fondo dell'Africa mi è subito piaciuta ed ha aguzzato i miei sensi. Dunque, i due gesuiti giungono fortunosamente in un isola del Giappone, prendono contatto con i pochi abitanti cristianizzati e per questo ferocemente perseguitati dalle autorità locali. Costretti a vivere la vita grama e semiclandestina dei poveri contadini che li stanno aiutando  a ritrovare l'amico Ferreira , i due religiosi incominciano - tra il continuo rischio di essere scoperti  e la difficoltà di orizzontarsi in un mondo così diverso - ad interrogarsi sulla profondità della loro fede e sulle loro possibili reazioni di fronte ai pericoli mortali ai quali si sono volontariamente esposti .  Il successivo incontro  con le forze incaricate di reprimere la diffusione del cristianesimo, la loro cattura da parte di queste ultime, la prospettiva di ritrovare in qualche modo le tracce del gesuita scomparso, conducono i due protagonisti  ( e lo spettatore ) ad un diapason di emozioni e sospingono il film verso il suo nucleo centrale. Fedele alla consegna  che mi sono data, non andrò più oltre nel raccontarvi la vicenda.

Del resto - anche se " Silence " , vi assicuro, riserva fino alla fine ancora molte sorprese ed ingegnosi passaggi narrativi - qui incomincia  ( o piuttosto si irrobustisce, perché in fondo si può dire che sia stata presente fin dall'inizio ) la  sua dimensione filosofico- spirituale. Fino a che punto la nostra fede, sembra chiedersi Scorsese, deve prevalere su qualunque  necessità con cui entri in occasionale conflitto , fosse pure la salvaguardia di altre vite umane ? E' lecito , per affermare la nostra adesione ad un " credo " ( badate bene, esso potrebbe anche non essere puramente religioso ) porre a repentaglio altri valori e disconoscere, soprattutto, le specificità, noi diremmo " le ragioni " di un paese , di una cultura  completamente diversa e refrattaria a quel credo ? Esistono valori assoluti, questo è vero ( pensiamo, anche, in un altro registro, alla libertà e alla giustizia ) ma se l'altra parte non li riconosce come tali  possiamo in casi di forza maggiore  dismetterli pubblicamente e , conservandoli nel nostro foro interiore, preservare quei valori per tempi migliori e salvare al tempo stesso la nostra anima ? Interrogativi possenti ed ai quali non credo sia facile rispondere con sicurezza. E che potrebbero dare l'impressione, così come io sto cercando di esporli, di un film che dopo una prima parte movimentata , avventurosa , a tratti  picaresca, viri  improvvidamente verso un film statico e verboso. Nulla di tutto questo, vorrei rassicurarvi. Tutti questi interrogativi nascono sempre  da situazioni altamente drammatiche e tutte " visive ", cinematografiche fino al midollo, rese da splendide immagini,  condotte con grande sapienza, ed appaiono  assolutamente funzionali allo sviluppo narrativo del film stesso. Le " idee ", in buona sostanza, sono il carburante di cui si alimenta la storia raccontata e , al tempo stesso, il punto di arrivo di una vicenda esposta con una chiarezza, un nitore espressivo che davvero ci riporta a Bresson. O, forse, senza varcare l' Oceano, ci ricollega idealmente ai  migliori film proprio di Scorsese. E qui viene subito in mente   "L'ultima tentazione di Cristo"  ( 1988 ) cioè l'opera più marcatamente rivolta a quella tematica che , sia pure in forme diverse, costituisce oggetto dell' odierno " Silence ". Ed anche, direi,  il meno lontano " Kundun ", in un registro anch'esso " asiatico-religioso ".

Ma, a ben guardare , è tutto il cinema di Scorsese - almeno nelle opere principali -  a trovare ispirazione negli stessi temi. Fin dai film ambientati nel microcosmo italo-americano di New York ( da cui Scorsese proviene ) il regista si è posto il problema del peccato. della colpa e della  redenzione  , della responsabilità verso gli altri, tutte tematiche intrise dei valori propri di un cattolicesimo ancestrale al quale egli  aveva appartenuto e  da cui , per sua propria ammissione, non è mai uscito anche quando non era più né praticante né, in un determinato periodo della sua vita, intimamente credente. Letti così , " Mean Streets " , " Taxi Driver " e " Toro scatenato " acquistano una dimensione non più soltanto storico-sociologica ma anche  mistico-filosofica, connaturata del resto alla natura e alle predilezioni dell'uomo e dell'artista Scorsese.  In " Silence "  ( un " silenzio " che può stare ad indicare quel silenzio che è in noi ,cioè l'incapacità di udire la voce della nostra coscienza che ci guida verso il Bene, ma anche - più desolantemente - il " silenzio di Dio "  ,ovvero l'impossibilità di dialogare con una divinità dai disegni imperscrutabili  ) a questi temi si unisce il concetto della Grazia, il bene di Dio che si effonde a volte sull'uomo e ne guida il cammino ( quella grazia che nel film, probabilmente,  induce Padre Gutierrez alla decisione destinata a  cambiare il corso della sua vita  ). Ed ecco ancora, ad informare di sé l'intera ultima parte della vicenda, il concetto di Misericordia : quella di Dio verso gli uomini, di cui è specchio l' amore che dobbiamo avere verso i nostri simili che ci induce ad anteporre ai nostri stessi ideali il valore supremo della vita. Sicchè, in una conclusione quasi circolare del film stesso, partiti da un atto di affetto verso " una " persona ( il Padre Ferreira scomparso che i due gesuiti decidono di ritrovare) approdiamo ad una conclusione che rappresenta una più ampia manifestazione di amore verso una intera comunità ( quella dei contadini cristianizzati ). E, aggiungerei, verso gli stessi " persecutori" giapponesi.

Giacchè il film - mi sembra doveroso precisarlo per coloro che, a questo punto, possono pensare che si tratti di un film " schierato ", di pura propaganda religiosa - non sposa programmaticamente la dottrina cattolica né si pone in una visuale unilaterale ( gesuiti e cristiani " buoni " , funzionari giapponesi " cattivi " ). Gli uni e gli altri hanno solide, obiettive motivazioni per fare ciò che fanno e se questo sia un bene od un male solo la misericordia divina ( e, aggiungerei " laicamente ", la nostra coscienza ) potranno dirlo. Si dirà , con queste premesse,  che  sembra un film difficile, scabro, di argomento troppo elevato per un po' più di due ore di spettacolo. Sarebbe un peccato se questi timori trattenessero gli amanti del cinema dall'andarlo a vedere. Gli argomenti religiosi ( ma pensate per un momento che invece di gesuiti portoghesi del Milleseicento il film parli di rivoluzionari sudamericani, un Che Guevara in Bolivia, venuto per  sollevare i poveri campesinos e catturato dalle autorità... ) sono distillati in un contenitore ( lo spazio filmico ) di assoluta suggestione, dinamicità e ritmo ,  tipici dei più bei film  di Scorsese, accanto ai quali non sfigura. Detto che il film ha solo qualche momento di stanchezza e di ( innocua ) ripetitività nell'ultima parte ed un lieve eccesso di brutalità e di violenza ( ma si sa che anche questi sono temi che da sempre affascinano il regista ) per il resto non posso che tesserne le lodi. Il " décor " è del grande Dante Ferretti ( almeno una gloria nazionale ! ), la fotografia è splendida, la musica ( dell'altrettanto grande Miklos Rozsa ) sublime, la recitazione più che corretta. La regia mi ha fatto nuovamente catturare dal fascino di Martin Scorsese. Un regista che , negli ultimi tempi, mi era sembrato troppo diseguale. E che ora , a settantadue anni suonati, mi pare più giovane e più saldo in sella di tanti altri che da poco si sono accostati alla macchina da presa. Uscito dal cinema, nella pioggia e nel vento dei giorni scorsi a Milano, ho continuato a lungo a pensarvi. Se non sembrassi blasfemo, e spero che anche i non credenti mi perdoneranno, ho pensato che un lieve tocco  di Grazia sia sceso su Scorsese, questa volta, ed anche su di noi spettatori.  

6 commenti:

  1. Caro Paolo, come sempre hai esposto a parole la confusione delle mie sensazioni alla fine della proiezione. Questo è un film che potrebbe essere discusso a lungo tra amici come quando da studenti si discuteva di filosofia. Gli spunti sono molti. Personalmente lo rivedrei subito per soffermarmi su aspetti che ho lasciato passare, mentre ero "presa dalla parte visiva" che è magistrale.
    Imma

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    1. Cara Imma,
      ( intanto grazie di rompere il ghiaccio per prima , qui sul blog : non molti lo hanno fatto in passato... )
      Hai colto nel segno. Questo è un film certamente ambizioso nelle preoccupazioni filosofico-religiose che lo animano ( non tutte chiarissime , ti dò ragione , e del resto lo stesso autore ha confessato in varie interviste, che si possono dare varie interpretazioni di questo o quell'episodio basandosi su indizi quantomeno ambigui ). Ma , come tu hai colto perfettamente, la parte visiva è talmente bella che ci si può anche dimenticare delle implicazioni filosofiche.
      Mi fa molto piacere che tu abbia visto il film . Il cinema ( quello buono )è veramente aria fresca in una atmosfera ( quella che respiriamo oggi ) a tratti soffocante !

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  2. Non capisco, all'improvviso cancella ció che scrivo!

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  3. Finalmente ho visto Silence! Un bellissimo film. Condivido pienamente le sue impressioni profonde e precise. Il film corre veloce, la fotografia é stupenda, (bellissima la scala bianca di marmo con i tre gesuiti che scendono con le tonache nere davanti alle loro ombre, ripresa dall'alto con un drone), le nebbie che avvolgono molte scene fanno avvicinare ai sentimenti teologici filosofici di cui é pervaso tutto il film. Per quanto mi riguarda il ritmo é incalzante e porta lo spettatore ad analizzare la linea sottile che divide il bene dal male, ció che é giusto o sbagliato. Quando Padre Gutierrez grida:'é solo una tavoletta!' rivolgendo si all'immagine di Cristo affinché i poveri contadini perseguitati potessero salvarsi, é un grido religioso di amore che tende a far riflettere. Questa storia potrebbe essere applicata a qualsiasi religione, cristiana, buddista, islamica o altro. Uscendo dal cinema mi sono posta tante domande ma le risposte non ci sono. Grazie per la segnalazione molto interessante. A presto

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    1. Cara Amica, sono lieto che il film Le sia piaciuto ! Ne ero sicuro.
      " Tante domande ma le risposte non ci sono " : non pensa che , in fondo, le domande che ci poniamo sono molto più rivelatrici ( di un interesse, un'esigenza veritiera, profonda che ci portiamo dentro e che vive in noi ) che non le risposte che possiamo darvi ( spesso provvisorie , frettolose, magari insincere cioè date per liberarci del problema che ci assilla... )?

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  4. Verissimo, fermarsi, riflettere, pensare è segno di esistere. A presto.

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