Manchester ( by the sea ) è il nome di una graziosa cittadina a trenta miglia da Boston , Massachusets. Località vocata alla pesca e al turismo, non si distingue a prima vista dai tanti altri insediamenti urbani di taglia medio-piccola che, negli anni, il cinema americano ci ha fatto conoscere nel bene e nel male che talvolta racchiudono . Se stavolta dà addirittura il titolo al film , mi vien fatto di pensare, è perché l'indicazione geografica non rappresenta più soltanto la " tela di fondo " della vicenda ma l'autentico catalizzatore dei sentimenti e delle memorie, nonchè del percorso personale dei personaggi principali, quindi l'argomento stesso dell'opera. Il luogo, insomma, che ospita i ricordi , lo scrigno dei segreti, il ricettacolo di un passato che continua nel presente..Ma anche il territorio della speranza, degli affetti familiari, di un possibile riscatto come individui proficuamente inseriti in un tessuto sociale. Non più quindi costretti a fuggire e ad annullare -attraverso il senso di colpa ed un sordo rancore verso i propri simili - la natura propria degli esseri umani ( animali socievoli, secondo i più ). Esseri umani che debbono essere capaci, alla fine, di assumere il peso dei ricordi, di accettare sé stessi e gli altri, cioè in sostanza di tornare a vivere. Manchester by the sea : perché questo ( od un altro, non importa ) è il palcoscenico dove la vita ci ghermisce, qualunque sia la nostra storia o personale condizione, questo il perimetro delle nostre emozioni, il teatro della nostra vicenda terrena. Ed anche chi ha radici poco salde, perchè è stato magari costretto presto a spostarsi e non ha avuto in sorte di restare sempre là dove è cresciuto , ha dentro di sé una città, un paese, una casa, che rappresentano idealmente il luogo dove tornare, sempre.
Con Lee, il protagonista, facciamo conoscenza all'inizio del film. Custode e uomo tutto fare di un piccolo condominio dei suburbi residenziali bostoniani, è un gran lavoratore che non si tira mai indietro ( lo vediamo eliminare i rifiuti, spalare la neve , fungere occasionalmente da idraulico o da elettricista anche se , osserva con pacata rassegnazione , "ciò sarebbe contro le regole " ). Ma quel che ci colpisce è la sua incapacità di comunicare , di entrare in effettiva relazione col prossimo, diremmo la mancanza di empatia. Perfino quando - in fondo è giovane e potrebbe passare, come si dice , per un bel ragazzo - qualche inquilina bianca o di colore, giovane o meno, ci fa su più di un pensiero . Ma lui, ce ne rendiamo conto, sembra non accorgersene affatto, sfugge sempre al contatto e alle semplici schermaglie, anche quelle amorose, con gli altri esseri umani. Depresso lo deve essere certamente, ma qual è la causa ? Scopriamo presto che il suo retroterra non è Boston ( dove è emigrato da qualche anno ) ma la piccola Manchester , dove l'improvvisa morte del fratello maggiore lo costringe al ritorno. E dove il film - nelle prime inquadrature ancora esitante e sonnacchioso - si impenna improvvisamente ed incomincia a dipanarsi sotto i nostri occhi con una evidenza ed un vigore narrativo davvero apprezzabili da chi ancora vada al cinema convinto di trovarvi soggetto, verbo e complemento oggetto : cioè una storia, possibilmente interessante e raccontata bene. Condizione che qui, diciamolo subito, viene compiutamente soddisfatta. Kenneth Lonergan , un regista sulla quarantina alla sua terza prova , è anche un apprezzato sceneggiatore ( tra i film da lui scritti menzionerei almeno i due con un Robert De Niro boss della mala e bisognoso di cure psicanalitiche, gli intelligenti e garbati " Analize This" e " Analize that"). Anche questo film lo ha scritto interamente da sé ed è, credetemi, la migliore sceneggiatura originale dell'anno appena trascorso, almeno negli Stati Uniti ( candidato all' Oscar in questa categoria ha , come principale rivale - non ci posso credere - quel " La La Land " che sarà pure un discreto "divertissement " ma , quanto a " script ", ne ha uno lacunoso e tutt'altro che solido).
Alle corte. Lee scopre che il fratello, facendo testamento , ha disposto che egli diventi il tutore del figlio ancora sedicenne ( la madre, alcoolizzata, se ne è andata da tempo ). Dopo aver cercato invano di scansare l'incarico, Lee incomincia con riluttanza ad assumere l'inattesa funzione. A poco a poco la frequentazione di un essere umano tanto diverso da lui ( il nipote è sicuro di sé , estroverso, diretto, gli piacciono le ragazze e tiene spesso testa allo zio) sembra riavvicinarlo ad una visione meno catatonica dell' esistenza, ad una diversa prospettiva con cui guardare gli altri, anche coloro, magari, che non sono pronti ad accettarci per come siamo o crediamo di essere. Il finale - come è giusto e naturale che sia - non ci dice esplicitamente se la misantropia di cui soffre Lee ( e che ha origine in un tragico episodio della sua vita ) è stata finalmente debellata. Del resto, non è questo il punto. La vita è quella che è, fatta di tanti momenti tristi ed a volte, per alcuni, anche di qualche autentica disavventura. Mitigata, per nostra fortuna, da tanti altri momenti più sereni . Forse la chiave , sembra dirci il film, è nell'accettazione di ciò che ci accade, nell' affidarci al corso degli eventi e nell' accogliere questi ultimi per l'insegnamento, la capacità di crescita che possono offrirci, nel vivere l'attimo insomma. Questo, almeno, è quello che penso possa trarsi da un racconto tutt'altro che povero nel suo sviluppo narrativo e visivo, con personaggi a tutto tondo, tosti e variegati come da tempo non se ne vedevano. Ma anche momenti di estrema, insostenibile e tagliente drammaticità giustapposti, invece,a scene di sapore intimistico, di serena contemplazione quando non, addirittura francamente comici. Come la vita, appunto, a ben guardare.
" Manchester by the sea " - meglio mettere subito in guardia - non ha un andamento cronologico, dall'istante "a", per intenderci, a quello "b" e poi allo "c" e via via in una rigida successione temporale. Si affida - il cinema può farlo e spesso vi ricorre - a continui salti all'indietro, flashback, che ci portano a rivivere momenti del passato di Lee. Poiché si tratta di un passato abbastanza recente, direi ad occhio sette-otto anni prima della vicenda che si svolge sotto i nostri occhi, non è subito agevole accorgersene. I personaggi, infatti, non sono molto cambiati nel loro aspetto esteriore ,con l'eccezione del nipote, allora ancora bambino ed infatti interpretato da un altro attore . Il racconto , la sceneggiatura, lungi dall'apparire in tal modo spezzettati - in certi film l'uso del flashback costituisce un salto non sempre giustificato ed un semplice espediente per accorciare i tempi della narrazione - ne guadagnano in fluidità ed in rigore espositivo. Quei " lampi del passato " servono ad introdurre il tema del ricordo , della persistenza di quest'ultimo nel determinare i nostri comportamenti, contribuiscono a spiegare come le nostre azioni si atteggino ed in quale direzione esse si dirigano. Il passato, ci fa capire Lonergan, vive nel nostro presente. Anzi, forse, è l'unica vera " realtà " che ci è dato di mettere a fuoco con sufficiente esattezza, sedimentata com'è nei nostri ricordi e nelle nostre emozioni più vere. Passato e presente si intersecano quindi continuamente , in un andamento ellittico che accresce la forte suggestione che il film esercita sullo spettatore. Così come si alternano nel film momenti altamente drammatici, altri elegiaci, altri francamente umoristici , senza che l'esposizione abbia a soffrirne. Anzi, la capacità di passare da un registro all'altro con scioltezza, senza forzature né arbitrio, costituisce uno dei punti di forza di " Manchester by the sea ", tale da conferirgli una leggerezza ed una fluidità che lo fanno seguire sempre con grande interesse e partecipazione.
Chiariti in tal modo i meriti di Lonergan sceneggiatore, veniamo a quelli come regista che non sono francamente da meno ( anche qui ha ottenuto una " nomination " per gli Oscar di domenica prossima ). Si è detto dell'andamento fluido del film, che non va accreditato solo ad una storia finalmente di spessore adeguato ma anche ad una macchina da presa costantemente " sul pezzo ", come si dice. Le inquadrature ( spesso in piano ravvicinato, quasi volessero braccare i personaggi, costringerli a rivelarci la loro verità ) sono sempre precise, tempestive, e contribuiscono a determinare un'atmosfera tesa e vibrante cui non è estraneo l'uso sapiente del colore e delle luci in una fotografia mai gratuita e di bell'impatto visivo. L'interpretazione di Casey Affleck nella parte di Lee è di assoluto rilievo ( Oscar in arrivo anche qui ? ). Raramente ritratto di depresso, di " umiliato e offeso " , sento di poter dire, fu altrettanto sincero ed azzeccato. E il giovanotto che interpreta il nipote ( Lucas Hedges ) sono certo che farà una bella carriera anche lui. A posto gli altri ,come si diceva una volta nelle recensioni teatrali .In definitiva un bellissimo film, come non se ne fanno più tanti ai giorni nostri. Un film che, nonostante i tragici avvenimenti che racchiude e la conseguente situazione di chiusura verso gli altri del protagonista, rasserena ed induce all'ottimismo o almeno ad una visione equilibrata della vita. Mentre nella cronaca e nell'attualità, che ogni giorno la stampa e la televisione ci propongono con assillante frequenza, ammazzamenti e turpitudini la fanno da padroni, questo piccolo gioiello si incarica di ristabilire le giuste proporzioni e ci ricorda che la vita è degna di essere vissuta di per sé più ancora che per i valori che essa sottende. Ci fosse un Oscar per il film più sereno e " paziente", penso che questo vincerebbe a mani basse.
Alle corte. Lee scopre che il fratello, facendo testamento , ha disposto che egli diventi il tutore del figlio ancora sedicenne ( la madre, alcoolizzata, se ne è andata da tempo ). Dopo aver cercato invano di scansare l'incarico, Lee incomincia con riluttanza ad assumere l'inattesa funzione. A poco a poco la frequentazione di un essere umano tanto diverso da lui ( il nipote è sicuro di sé , estroverso, diretto, gli piacciono le ragazze e tiene spesso testa allo zio) sembra riavvicinarlo ad una visione meno catatonica dell' esistenza, ad una diversa prospettiva con cui guardare gli altri, anche coloro, magari, che non sono pronti ad accettarci per come siamo o crediamo di essere. Il finale - come è giusto e naturale che sia - non ci dice esplicitamente se la misantropia di cui soffre Lee ( e che ha origine in un tragico episodio della sua vita ) è stata finalmente debellata. Del resto, non è questo il punto. La vita è quella che è, fatta di tanti momenti tristi ed a volte, per alcuni, anche di qualche autentica disavventura. Mitigata, per nostra fortuna, da tanti altri momenti più sereni . Forse la chiave , sembra dirci il film, è nell'accettazione di ciò che ci accade, nell' affidarci al corso degli eventi e nell' accogliere questi ultimi per l'insegnamento, la capacità di crescita che possono offrirci, nel vivere l'attimo insomma. Questo, almeno, è quello che penso possa trarsi da un racconto tutt'altro che povero nel suo sviluppo narrativo e visivo, con personaggi a tutto tondo, tosti e variegati come da tempo non se ne vedevano. Ma anche momenti di estrema, insostenibile e tagliente drammaticità giustapposti, invece,a scene di sapore intimistico, di serena contemplazione quando non, addirittura francamente comici. Come la vita, appunto, a ben guardare.
" Manchester by the sea " - meglio mettere subito in guardia - non ha un andamento cronologico, dall'istante "a", per intenderci, a quello "b" e poi allo "c" e via via in una rigida successione temporale. Si affida - il cinema può farlo e spesso vi ricorre - a continui salti all'indietro, flashback, che ci portano a rivivere momenti del passato di Lee. Poiché si tratta di un passato abbastanza recente, direi ad occhio sette-otto anni prima della vicenda che si svolge sotto i nostri occhi, non è subito agevole accorgersene. I personaggi, infatti, non sono molto cambiati nel loro aspetto esteriore ,con l'eccezione del nipote, allora ancora bambino ed infatti interpretato da un altro attore . Il racconto , la sceneggiatura, lungi dall'apparire in tal modo spezzettati - in certi film l'uso del flashback costituisce un salto non sempre giustificato ed un semplice espediente per accorciare i tempi della narrazione - ne guadagnano in fluidità ed in rigore espositivo. Quei " lampi del passato " servono ad introdurre il tema del ricordo , della persistenza di quest'ultimo nel determinare i nostri comportamenti, contribuiscono a spiegare come le nostre azioni si atteggino ed in quale direzione esse si dirigano. Il passato, ci fa capire Lonergan, vive nel nostro presente. Anzi, forse, è l'unica vera " realtà " che ci è dato di mettere a fuoco con sufficiente esattezza, sedimentata com'è nei nostri ricordi e nelle nostre emozioni più vere. Passato e presente si intersecano quindi continuamente , in un andamento ellittico che accresce la forte suggestione che il film esercita sullo spettatore. Così come si alternano nel film momenti altamente drammatici, altri elegiaci, altri francamente umoristici , senza che l'esposizione abbia a soffrirne. Anzi, la capacità di passare da un registro all'altro con scioltezza, senza forzature né arbitrio, costituisce uno dei punti di forza di " Manchester by the sea ", tale da conferirgli una leggerezza ed una fluidità che lo fanno seguire sempre con grande interesse e partecipazione.
Chiariti in tal modo i meriti di Lonergan sceneggiatore, veniamo a quelli come regista che non sono francamente da meno ( anche qui ha ottenuto una " nomination " per gli Oscar di domenica prossima ). Si è detto dell'andamento fluido del film, che non va accreditato solo ad una storia finalmente di spessore adeguato ma anche ad una macchina da presa costantemente " sul pezzo ", come si dice. Le inquadrature ( spesso in piano ravvicinato, quasi volessero braccare i personaggi, costringerli a rivelarci la loro verità ) sono sempre precise, tempestive, e contribuiscono a determinare un'atmosfera tesa e vibrante cui non è estraneo l'uso sapiente del colore e delle luci in una fotografia mai gratuita e di bell'impatto visivo. L'interpretazione di Casey Affleck nella parte di Lee è di assoluto rilievo ( Oscar in arrivo anche qui ? ). Raramente ritratto di depresso, di " umiliato e offeso " , sento di poter dire, fu altrettanto sincero ed azzeccato. E il giovanotto che interpreta il nipote ( Lucas Hedges ) sono certo che farà una bella carriera anche lui. A posto gli altri ,come si diceva una volta nelle recensioni teatrali .In definitiva un bellissimo film, come non se ne fanno più tanti ai giorni nostri. Un film che, nonostante i tragici avvenimenti che racchiude e la conseguente situazione di chiusura verso gli altri del protagonista, rasserena ed induce all'ottimismo o almeno ad una visione equilibrata della vita. Mentre nella cronaca e nell'attualità, che ogni giorno la stampa e la televisione ci propongono con assillante frequenza, ammazzamenti e turpitudini la fanno da padroni, questo piccolo gioiello si incarica di ristabilire le giuste proporzioni e ci ricorda che la vita è degna di essere vissuta di per sé più ancora che per i valori che essa sottende. Ci fosse un Oscar per il film più sereno e " paziente", penso che questo vincerebbe a mani basse.
Splendido film!
RispondiEliminaTutto il film é pervaso dal silenzio doloroso del protagonista, geniale il flashback che fa entrare lentamente in questa storia estremamente drammatica. É il dolore allo stato puro quale deve essere quello della perdita di un figlio, atroce e insopportabile, che annienta l'animo umano. All'improvviso la visione del mare solleva e distende il pensiero, lo scivolare della barca sul mare é un immagine colma di poesia e di riflessione. Un bel film, grazie per la recensione pienamente condivisa. A presto.
Francesca
Grazie, a mia volta, cara Francesca. Sapere che abbiamo reagito allo stesso modo a questo splendido film mi riempie di gioia !
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