lunedì 27 febbraio 2017

" Jackie " di Pablo Larraìn ( USA, Cile, Francia, 2016 )

" Dove eravate il giorno in cui uccisero Kennedy " ? Ecco una domanda che penso si possa rivolgere a tutti coloro che quel 22 novembre 1963 avevano  almeno l'età della ragione, certi di ricavarne una reazione. E che mi sono fatto anch'io naturalmente, ricordando benissimo - come succede per le grandi date della Storia che ci è accaduto di vivere - dove mi trovassi e cosa facessi in  quel momento. Rammento lo stupore e la tristezza all'annuncio di  un avvenimento così drammatico e , almeno nelle prime ore ,  di incerta lettura ai fini del mantenimento dei delicati equilibri internazionali dell'epoca ( solo un anno prima si era sfiorata la catastrofe nucleare con la crisi determinata dal posizionamento dei missili sovietici a Cuba ). Quella data, con la improvvisa interruzione di una presidenza USA che aveva destato tante speranze ed emozioni, sembrò segnare la fine di un'era. Come se l'orologio della Storia si fosse per un attimo improvvisamente fermato. John Fitzgerald Kennedy - oggi lo possiamo dire tranquillamente - è stato un presidente controverso, non solo per la sua azione di governo  ma anche per le vicende private venute successivamente alla luce. Quanto alla prima, se pesa sul suo mandato il clamoroso errore dello sbarco nella " baia dei porci "( il maldestro tentativo di innescare una reazione popolare al regime castrista da poco al potere a Cuba ) proprio la successiva  gestione della crisi missilistica in politica estera, la promozione dei diritti civili e la " nuova frontiera " in politica interna,  ne fanno uno statista abile e coraggioso. Capace soprattutto di legare il proprio nome ad un periodo storico  breve ma di straordinaria intensità,  caratterizzato da una particolare temperie politica  altrettanto che da una irripetibile atmosfera positiva nella sfera del progresso sociale e culturale,  del desiderio di libertà e di cambiamento.
 
Dai giorni immediatamente successivi all'assassinio prende le mosse questo nuovo film del regista cileno Pablo Larraìn, autore lo scorso anno, quasi in contemporanea, di un interessante e riuscito  "Neruda " ( presentato a Cannes , mentre " Jackie " ha avuto la sua prima mondiale a Venezia ). Larrain, quarantenne, aveva esplorato  fin qui la storia politica del proprio paese nel  travagliato passaggio da una gracile democrazia alla dittatura militare prima ed al superamento poi di quest'ultima. L'odierna ed  inattesa incursione nella storia americana moderna ne conferma l'interesse per i nodi più drammatici delle vicende politiche del Novecento, l' originalità dell'approccio ed il sicuro talento nel descrivere personaggi complessi ed ambigui. Aggettivi, questi ultimi, che si attagliano perfettamente alla vedova di Kennedy.  Quella Jacqueline Bouvier, bella, colta ed elegante, regina delle cronache mondane, che fu di grande aiuto per il marito nella sua vittoriosa campagna elettorale  prima e, poi, nel  contribuire ad affermare l'immagine di una coppia quasi regale e di una " Atene sul Potomac " capace di rinverdire il mito della presidenza americana. Al tempo stesso, secondo i suoi biografi più imparziali, una donna ambiziosa, sedotta dal potere, tesa a prolungare  artificialmente il ricordo di una  "Camelot" senza più il suo re Artù. Ma anche, più semplicemente, una donna  cui , nel fiore degli anni, era stato strappato il coniuge nelle circostanze tragiche che sappiamo. Un personaggio, dunque , la cui " verità " non può essere colta da una sola angolazione e che, proprio per questo, richiede nell'essere descritto una grande attenzione alle sfumature, delicatezza di tono ma anche tratto robusto e sicuro. Un compito non facile  sia per il regista, che ha utilizzato una sceneggiatura originale non sua ma in gran parte rimaneggiata su suo consiglio, sia per l'interprete della mitica Jacqueline - " Jackie ", appunto - che qui è una intelligente e sensibile Nicole Portman ( in lizza anch'essa per l'Oscar 2017, se la dovrà probabilmente vedere con la Emma Stone di " La La Land " ).


Il film inizia ( e si chiude ) con la celebre intervista per il settimanale " Life " che Jackie rilasciò a sorpresa , appena una settimana dopo il tragico attentato, al  giornalista e politologo Theodore H. White ( sì, proprio l'autore dell' appassionante " Come si fa un presidente " , scritto due anni prima per raccontare l'ascesa di Kennedy alla Casa Bianca ). Desiderosa di raccontare la " sua " verità sul tragico evento  ma anche sull'irripetibile saga della coppia presidenziale, Jackie si abbandona ad una sorta di seduta psicanalitica in cui libera i suoi ricordi, sé stessa, le sue ansie e le sue paure. Ne esce, dall' intervista e dal film, uno straordinario ritratto di donna fragile e forte al tempo stesso, certamente ambiziosa e convinta di essere predestinata al successo, sconfitta dal destino ma disperatamente tesa nell'apologia di un sogno bruscamente interrotto. Procedendo nella narrazione per frammenti apparentemente slegati  e  continui salti all'indietro  il film  si incentra sull'attentato e sui giorni immediatamente successivi. Andiamo così dall'arrivo a Dallas e da quel maledetto corteo di macchine in cui Kennedy fu assassinato al cordoglio, in gran parte di facciata, che circondò la vedova dopo il tragico evento e al sostanziale e per certi versi inevitabile isolamento che le fu riservato dal nuovo " team " presidenziale. Il film diviene così una radiografia accattivante ( anche se non nuovissima) del potere in America e, soprattutto, del clamore mediatico che già allora circondava i personaggi resi celebri dall' immaginario collettivo. Convinta di aver dato inizio quasi ad una nuova era in cui potessero trionfare solo la bellezza , l'eleganza, lo stile, Jackie è riportata  dall'emozione del tragico istante,  dal sordo rumore degli spari e dal sangue del marito che le sporca il volto ed il vestito ( il celebre  vestitino Chanel rosa visto  centinaia di volte ) alla  ordinaria tragedia di una povera donna cui è stato strappato il suo uomo. Stremata, percossa  dal tumultuoso accadimento ma anche incredula dinnanzi alla rapidità con cui avviene il necessario " cambio della guardia ", praticamente espulsa dalla dimora presidenziale che aveva arredata lei stessa con tanto gusto e dispendio di mezzi, Jackie non vuole che , con la morte di Kennedy, scompaia bruscamente il suo mito. E si affatica a perpetuarne la memoria facendo appello a quel mito dei cavalieri della Tavola rotonda che, ripensando alla dubbia schiera di personaggi che per la verità circondavano un presidente dalla vita quantomeno  opaca e discutibile, appare oggi tutto sommato sottile e posticcio. Un mito che, sia detto per inciso, la stessa vicenda personale di Jacqueline Kennedy negli anni successivi ( il  sorprendente sodalizio con Onassis e la sua trasformazione in personaggio del " jet set ") si incaricò poi di affievolire sempre di più. Ma con questo siamo  già fuori dal film.

Larraìn si conferma con questa opera un regista dalla mano sicura e di discreta inventiva. La sua prima discesa in una storia " yankee " ( prevedo che non sarà l'ultima ) ne rivela la singolare capacità di adattamento, di  assorbimento  quasi, più che di determinati valori,  di uno stile narrativo, di un punto di vista  che  è tributario in certo modo del grande cinema americano,  per metà di inchiesta e per metà affabulatorio, da Welles a Kazan. Ma senza dimenticare  intenzioni e vigore  ideologico addirittura europei ( gli straordinari film di Francesco Rosi su Giuliano, Mattei, Luciano, che Larraìn deve sicuramente conoscere ). Film "americano " che più non si può nel ritmo sostenuto, nel nervoso susseguirsi delle inquadrature, " Jackie " ha tutte le ambizioni contenutistiche di un perfetto film  "politico " all'europea o almeno alla sudamericana : ambiguo, ricco di sfaccettature, affascinato e respinto al tempo stesso dal suo personaggio così contraddittorio, emblematico di un mondo cui ( ci scommettereste ? ) il regista guarda con  malcelato sospetto. Il risultato è un film certamente godibile, sorretto da un piglio sicuro e da una cruda densità espressiva ( quelle scene dell'omicidio, con il corpo di Kennedy riverso  tra le braccia della moglie nella limousine presidenziale, i tesi confronti tra il fratello Robert e  l'entourage del neo-presidente Johnson sulle disposizioni per i funerali di Stato ). Ma anche un film in parte irrisolto, in cui le molte contraddizioni del suo personaggio principale non riescono a fondersi ( a differenza che in Rosi ) in una visione da parte degli autori  lucida e a suo modo " definitiva " della vicenda narrata, delle sue origini, del suo significato. Voglio dire che ciò che resta nell'animo dello spettatore è la sensazione di aver assistito, tutto sommato,  ad un abile melodramma. Con i suoi quarti di nobiltà cinematografica , certo , ma in qualche modo lezioso ( ah quegli arredi dell'appartamento privato dei Kennedy alla White House, quei meravigliosi abiti e quelle acconciature di capelli così anni '60 ... ) e privo dello sguardo autenticamente ispirato che ne avrebbe fatto  altrimenti un piccolo capolavoro. Della Portman ho detto : è praticamente in tutte le inquadrature ed il film riposa spesso sulle sue gracili spalle, confortando così l'ostinazione del regista di ottenere a tutti i costi che interpretasse la parte. Bene anche gli altri, non troppo  fisicamente somiglianti agli " originali " - non lo ritengo una grave colpa, i film storici non sono un museo delle cere - ma tutti aderenti al loro personaggio. Fotografia , come spesso ormai accade, assolutamente pregevole. Per chi come me, e penso diversi tra i miei lettori, ricorda bene quei tempi, una festa per gli occhi ed una stretta al cuore nel rivivere avvenimenti tanto drammatici eppure così pregni di vita.
 
 
 



3 commenti:

  1. Interessante e profonda la sua recensione, l'attesa é sempre molto soddisfacente. Grazie per la rubrica, é una piacevole iniziativa che aiuta a capire l'arte cinematografica in particolare ai neofiti come me.
    Dopo aver letto le sue parole ho avuto quasi il desiderio di andare a vedere la pellicola?.
    Mi spiego. Ero adolescente, una bambina, il giorno dell'assassino di J.kennedy, fu un momento drammatico della nostra storia. In casa e ovunque non si parlava di altro, per noi ragazzi John Kennedy rappresentava la pace, l'evoluzione, la democrazia , il rinascimento (simbolo la foto della sua stretta di mano con Kruscev), insomma un mito. Anche se commetteva errori venivano giustificati perché il fine era comprensibilmente democratico. É poi la bella presenza di questo uomo affascinava tutti senza riserve anche i suoi nemici. Ho visto il trailer al cinema ed ho deciso di non vedere il film. Mi ha disturbato la scelta dell'attrice per me non é Jackie, uno sguardo troppo lontano, non calzante, che mi disturba non so perché . Sicuramente Natalie Portman é bravissima, ma sembra recitare. Non ha il fascino di Jackie la quale non era bella, ma raffinata ed avvolgente, non sono riuscita ad entrare nel personaggio che ho poi seguito nel corso degli anni rivelandosi

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  2. una donna triste, calcolatrice, ambiziosa ed altro.
    In attesa del prossimo commento, buona settimana. Francesca
    (É partito il post prima che avessi finito!!)

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    1. Gentile e cara amica ( grazie dei complimenti: il mio intento, creando la rubrichetta su FB e poi il blog, era proprio quello di contribuire, nel mio piccolo, a (ri)suscitare interesse intorno ad un cinema, almeno in Italia , sempre più negletto, ben lontano da quel vasto fenomeno di intrattenimento collettivo che era una volta ).
      L'interprete di Jackie- al di là della sua evidente bravura- non le è piaciuta. Penso ( non lo so per certo, è solo una supposizione)che il regista volesse proprio, in un certo senso, scegliendo un'attrice non somigliantissima e con un volto dall'espressione a volte dura ed ambigua, evitare un'eccesiva immedesimazione degli spettatori nel personaggio. Il regista ha cercato insomma di non fare un'agiografia di Jackie- né del resto di condannarla per i suoi comportamenti successivi, che nel film non si vedono. Ha voluto solo, come si dice gergalmente, "distanziarla " da noi, oggettivarla il più possibile, restituire il personaggio al suo ruolo di " vittima sacrificale " di una specie di " rito " ( qual è sempre, se vogliamo, lo spettacolo, teatrale o cinematografico che sia ). Il "rito " della messa a morte di un uomo ( Kennedy ) e delle dirette conseguenze ( sgomento, perdita di potere e degli usuali punti di riferimento ) da parte della sua donna. Il film , Lei lo ha ben compreso, non è un semplice documentario sull'assassinio di Kennedy e gli immediati dintorni ( le reazioni di Jackie ).Si tratta piuttosto- ed è questo che lo rende a mio avviso interessante- di un film volutamente non naturalistico : la sua struttura è frammentaria, l'andamento non è lineare, proprio come nei sogni, se vuole , o nelle riflessioni a briglia sciolta che qualche volta ci capita di fare. Dunque una Jackie- al di là del bene e del male che si può dire di lei- che è più frutto della mente e dello stato d'animo del regista che una " copia " fedele all'originale.
      Comunque, un buon film. Non indispensabile magari come " Manchester by the sea ": lo ha visto ?

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