mercoledì 25 gennaio 2017

" Arrival " di Denis Villeneuve ( USA , 2016 )

Ho sempre avuto scarsa inclinazione per la fantascienza. Sarà un mio limite, lo ammetto. Ai racconti di " Urania ", quando ero ragazzino, preferivo " Piccole donne ". Molto più intrigante calarsi nelle vicende della quattro ragazze March , con i loro caratteri così diversi , con le loro psicologie femminili così interessanti, che perdere tempo con le storie di improbabili UFO, alieni verdognoli  ed altre orride "creature venute dallo spazio esterno ". Crescendo, ho accettato con rassegnazione  " E. T. " con la sua patetica invocazione ( " Home! , Home ! " ) gli incontri ravvicinati del terzo tipo e qualche spiritosaggine di discreta fattura come  "Mars attacks ! ". Ma niente di più. Penso che ci sia già abbastanza fantasia su questa terra per andare a cercarla altrove. So di dare un dispiacere a quanti non la pensano come me  ma non riesco a commuovermi più di tanto con le storie che ci parlano di altri mondi e  di altri esseri ( che magari esistono pure, chissà ? ) Anche perché non mi piacciono i trucchi, gli effetti speciali , le grandiose scenografie da " guerre stellari ". Qualcuno a questo punto mi ricorderà che, agli albori del cinema, il grande cineasta francese Meliès ci faceva  già  andare sulla luna, e non senza un pizzico di autentica poesia . Ma la luna era una luna di cartone , o di compensato . La fantasia dello spettatore era direttamente chiamata in causa, come è  sempre avvenuto nel  cinema onirico. Un cinema che ha trovato accoglienza nel nostro immaginario senza bisogno di tanta tecnologia . Non così , temo, per  buona parte della produzione fantascientifica di questi ultimi trenta - quarant'anni , che fa leva su di un armamentario impressionante e che quella fantasia, a parer mio, non finisce certo col solleticare. Ma, francamente, non vorrei ingaggiarmi in uno scontro con gli amanti della fantascienza al cinema dal quale, probabilmente , e per mia colpa, uscirei perdente.

Questo, in realtà, per dirvi che sono andato a vedere " Arrival " con qualche esitazione e solo perché ho sentito parlare bene del  regista, il franco-canadese Denis Villeneuve. Questi, eclettico nelle scelte, lavora ormai stabilmente per il cinema USA ( anche se il film, per motivi di budget, è stato girato a Montréal simulando lo stato del Montana ) e sta completando il " sequel " di " Blade Runner ". Insomma, un predestinato al successo di pubblico ma con un occhio attento al cinema di qualità. Buon prodotto del resto, questo " Arrival ", visivamente splendido.  Ricorda, a tratti, il cinema di Terrence Malick - quello di " Tree of life " - nell' impeto lirico e nella quiete al tempo stesso delle immagini . Soprattutto un film che racconta una storia di fantascienza ma lo fa in veste allegorica e senza abusare di effetti speciali. Un film che si affida più alla riflessione ed agli echi sottili che può suscitare nello spettatore che alla magniloquenza dell'impianto scenografico ( qui ridotto al minimo  indispensabile, tanto  per non deludere  le attese degli appassionati di " science fiction "). Una storia di alieni che con le classiche astronavi -  una via di mezzo tra un gigantesco guscio di noce e un enorme pallone da rugby - scendono verso la terra  ma non vi posano il piede ( in questo caso, come vedremo, piuttosto le zampe o i tentacoli... ) preferendo che siano i terrestri a prendere contatto con loro. Il contatto, la comunicazione quindi - visto che gli alieni sembrano emettere solo suoni inarticolati e vagamente minacciosi - presuppone  forzatamente l'assistenza di qualcuno in grado di comprendere che cosa vogliano. Ed è qui che il film comincia, raccontato in un lungo " flash back "- inframezzato da improvvisi salti nel futuro -  dalla protagonista,  una giovane donna separata dal marito e a cui è appena morta la figlia, una adolescente affetta da una rara malattia. La donna ( Amy Adams ) è una esperta glottologa che insegna all' Università, ha collaborato in passato con i servizi segreti per qualche traduzione di materiale sensibile e in virtù dei suoi precedenti viene letteralmente prelevata dalle forze di sicurezza e condotta sul luogo dove, ferma in aria  a poca distanza dal terreno, si trova un'astronave venuta dallo spazio extraterrestre contenente le misteriose "creature " di cui non si capisce quali siano le reali intenzioni ( sapremo poi che altre undici astronavi, in tutto simili alla prima,  si trovano sospese, nello stesso momento, sopra il suolo di altri undici paesi nei cinque continenti, tra cui Russia e Cina ).

L'inizio del film è perfetto. La donna è appena tornata a casa dopo una lezione nel " campus " universitario, interrotta da un allarme generale che ha fatto allontanare tutti gli studenti. Un'atmosfera irreale, fatta di sospensione e di sgomento aleggia sulle cose e la natura circostante.  Mentre lei è al tavolo di lavoro nella semioscurità, una presenza si manifesta improvvisamente nella stanza. E' un solido, massiccio colonnello afroamericano dell'esercito ( Forrest Wittaker ) venuto appositamente per condurla al campo base e da lì farla incontrare con gli alieni. Un inizio tenuto volutamente su di un registro " basso ", lontano dalla concitazione e dall'isteria cui si sarebbe prestato in una storia del genere. Una scena che ricorda il miglior Hitchcock ( ricordate gli inizi egualmente in tono minore di  "Gli uccelli " e di " Psyco " ? ) anche per la raffinata sintassi visiva ( una alternanza sapiente di campi lunghi, piani ravvicinati, primi piani, che ci introducono nella vicenda e ci presentano il personaggio principale con sobrietà ed eleganza ).Tutta l'opera , del resto, non va mai sopra le righe anche nei momenti più drammatici, sorretta - occorre dirlo -  da una recitazione quanto mai puntuale e controllata, specie per la Adams, giustamente candidata all' Oscar 2017 per questa interpretazione. Degli alieni, che la professoressa finalmente incontra , non dirò molto, anzi nemmeno quel poco perché è giusto che li scopriate da voi. I primi approcci non sono molto incoraggianti, sia per le difficoltà  di traduzione che per la vaga impressione che le strane creature abbiano un atteggiamento minaccioso verso gli umani. I primi successi della professoressa- propiziati dalla sua naturale empatia  e dal vivo desiderio di comunicare -  consentiranno, poco per volta, una migliore comprensione. Ma il tempo incalza e la Russia e la Cina sembrano voler approfittare delle circostanze per smarcarsi dalla provvisoria intesa con gli Stati Uniti, minacciando così la pace mondiale.

Il messaggio del film è abbastanza semplice  e rischia talvolta di sembrare  senz'altro semplicistico. Gli abitanti di un mondo lontano dal nostro non vanno antagonizzati solo perché diversi ( anche noi lo siamo per essi... ) ed occorre per questo un effettivo sforzo di reciproca fiducia e di mutua comprensione. Per reagire efficacemente ad una situazione nuova l'umanità deve fare fronte comune ed abbandonare gelosie , particolarismi, desideri di supremazia. Gli alieni si sono diretti sulla terra, con tutta probabilità, proprio per porre termine a questo stato di cose ed indurci ad una sorta di  grande, pacifica coalizione che ponga termine , sperabilmente per sempre, al belluino stadio del " tutti contro tutti ". Come si vede, quasi una favoletta . Graziosa , morale ed asettica, bene accetta da tutti. Questo è il limite della fantascienza. Per uscire da una situazione imprevedibile ed abnorme ( gli alieni, la guerra dei mondi, in prospettiva la distruzione del  pianeta) non c'è nelle sue storie che l'automatico ritorno - o l'approdo, come preferite - ad una sorta di età dell'oro, senza conflitti, senza guerre, senza quiproquo. Se ci accontentiamo, perché no ? Qui la sceneggiatura, a dire il vero,  non soccorre molto ( il regista non ne ha colpe, non avendovi apparentemente messo le mani ) e non riesce a dare alla vicenda uno spessore maggiore, che la mantenga sempre al livello di una autentica meditazione sulle sorti dell'umanità  e non di una semplice traccia per un nuovo videogioco quale a tratti, malauguratamente, ci appare. Per fortuna, ripeto, l'interpretazione fa miracoli nel rendere credibile personaggi e storia. E poi c'è la regia di Villeneuve. Calma, felpata nel sussurrare dove altri avrebbero urlato ma pronta ad alzare il tono dell'intero film nei momenti di " pathos ", in un registro continuamente puntuale e sapiente . Una bella prova da " autore "  in un film " di genere ", come si suol dire, e che quindi deve  rispondere a determinate attese di un determinato pubblico. Una prova che ci ricorda come il cinema sia anche spettacolo, industria dell' entertainment , e  non possa sempre e comunque rifuggire da questi parametri per confinarsi ( ancora fantascienza ! ) in una presunta  "sfera pura dell'arte". Ma non per questo si potrebbe frettolosamente concludere che  il cinema debba rinunciare  all'intelligenza, all'ispirazione, alla spontaneità creativa di chi è chiamato a farlo. In caso contrario, e questa volta per davvero, ben vengano gli alieni a salvarci da un mondo nel quale - dolorosamente - non potremmo più riconoscerci.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

5 commenti:

  1. Purtroppo non amo i film di fantascienza, non riesco ad entrare nelle storie di extraterrestri, di effetti speciali, di altri mondi immaginari. L'ultimo che ho visto é stato E.T. Sempre interessante il suo commento.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non credo che siamo in pochi a pensarla in questo modo...Poi, naturalmente ,anche un film di (moderata ) fantascienza come " Arrival " riesce a farsi vedere. Ma è l'eccezione che conferma la regola

      Elimina
  2. Anche i film di fantascienza non attirano molto ma la tua interessante critica mi spinge ad andarlo a vedere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono curioso di sentire cosa ne pensi....

      Elimina
  3. Un "a me" è rimasto nella penna, anzi nel dito.

    RispondiElimina