venerdì 4 ottobre 2019

" AD ASTRA" di James Gray ( USA, 2019 )

Vi ricorderete, forse, di come io la pensi sul cinema di fantascienza. Ne abbiamo già parlato e non starò a dirvi un'altra volta perchè sia una categoria che mi attira poco, nonostante qualche lodevolissima eccezione  di fronte alla quale anche la mia idiosincrasia ha dovuto in passato cedere il passo. Ritengo però che con " Ad Astra ", uscito da pochissimi giorni qui da noi, siamo nuovamente di fronte ad un'opera che sfugge vittoriosamente alle costrizioni di un " genere " ormai troppo  codificato e tale da consentire difficilmente ai grandi cineasti di essere pienamente sé stessi. L'ultimo film di James Gray, il talentuoso regista americano che è senza dubbio tra i migliori eredi della tradizione degli Scorsese e dei Coppola, sposa  solo fino ad un certo punto l'architettura esteriore, quella che piacerà comunque ai patiti della " science fiction ", nonchè i moduli espressivi ed i contenuti tipici dei  film sull'esplorazione dello spazio. Ma al debole o scontato significato della maggior parte di questi ultimi riesce a sottrarsi con intelligenza.  Il fulcro del film, infatti, non è tanto la conquista dello spazio in sé quanto l'eco, la risonanza nei comportamenti e  nelle coscienze degli esseri umani che questa vivono da protagonisti e che sono stati avviati verso di essa da un mondo in cui la scienza e soprattutto la tecnologia sono gli incontrastati padroni. Eco indiretto ,risonanza psicologica, scavo delle coscienze, che già sullo schermo, parecchi anni addietro si insinuarono in un genere popolare ed amato come il " western " trasformandolo da mero catalogo di lotte e di avventure in un cinema " maggiorenne ", cioè  capace di riflettere su di sé e quindi libero di atteggiarsi secondo l'estro creativo e la sensibilità dei suoi autori . Mi sembra , in quest'ordine di idee, di poter dire  che " Ad Astra", ricollegandosi  nell'ispirazione e nell'esito ad un altro grande  film di fantascienza di alcuni anni fa, "Zardoz"  di John Boorman, si avvicini per intensità di analisi non disgiunta da grande splendore formale a quelle opere che,rompendo l'involucro ( la categoria, il genere) nelle quali rischiavano di venire incapsulate, sono riuscite a conquistare pienamente la loro autonomia artistica.

Per situarci subito nella dimensione temporale del film , sullo schermo appare, nella prima inquadratura, la dicitura sibillina " Nel futuro prossimo ", accompagnata dalla chiosa " un'epoca di intelligenza e di amore ", così tanto per renderci curiosi di vedere cosa sia questa specie di epoca dell'oro che ,inesorabile, ci attende. Ed incominciamo a scoprire il protagonista, Roy,  un'astronauta appena reduce da una  rischiosa operazione (riparare con successo un'avaria di un'astronave spaziale aggravata da una misteriosa tempesta di materiali cosmici che, diretti verso la terra , stanno ivi causando ingenti danni e molte perdite di vite umane ). Dopo pochi e reticenti elogi dei suoi superiori,  vediamo come egli venga  da costoro incaricato sull'istante di altra e ben più perigliosa  missione. Questa volta si tratta infatti di dirigersi, partendo dalla Luna, verso Marte per rintracciare una spedizione spaziale partita più di quindici anni prima per tentare di raggiungere quel pianeta e guidata da uno scienziato spaziale, McBride, da cui non si ricevono  più notizie e che potrebbe essere impossibilitata a fare rientro. Quando si pensi che McBride non è altro che il padre (peraltro molto assente ) di Roy, il quale spera  ancora che il genitore possa essere in vita, il nucleo drammatico del film è già bello e servito. Senza che vi riveli cosa succederà, se cioè Roy troverà suo padre e cosa si diranno, mette conto che si ponga attenzione invece  alla particolare atmosfera in cui si svolge la vicenda e che circonda il suo  protagonista. Di "intelligenza " l'ambiente dovrebbe essere pieno, visto che grazie ad essa l'uomo è andato nello spazio e ne ha conquistato sempre più ampie porzioni. Eppure lo sguardo ed il comportamento delle persone ( alti ufficiali o semplici assistenti ) che ruotano intorno a Roy esprimono più  pedissequa obbedienza a " protocolli " routinari, mitigata da una chiara insicurezza di fondo, che vivido fervore intellettuale. Quanto all' "amore ", non se ne vede grande traccia, sepolto dall'aridità dei rapporti umani che il gigantesco sforzo tecnologico della conquista spaziale, con la gerarchizzazione sempre più accentuata dei ruoli, ha probabilmente determinato. Insomma , o io ho capito male o lo sceneggiatore - regista Gray ci dà qui la maggiore critica riscontrabile in un film di fantascienza al sogno dell'uomo di arrivare sempre più in alto, di raggiungere traguardi iperuranei che lo facciano uscire dal nostro caro, vecchio pianeta Terra. " Ad astra ", appunto, verso le stelle. Gettando altresì , con l'occasione , uno sguardo obliquo a quella sovrastima delle conquiste tecnologiche sempre più avanzate che l'uomo pensa erroneamente possano dare risposta alla sua insoddisfazione esistenziale.

Che sia questo ciò che voleva dirci Gray è possibile, anzi probabile, vista la grande coerenza formale e contenutistica delle descrizioni ambientali, ispirate a toni plumbei, gravidi di ambiguità e di sottintesa minaccia. E tutta la vicenda di Roy alla ricerca del padre - novello Telemaco che soffre per l'assenza di Ulisse - è un pò l'epitome delle difficili relazioni  interpersonali in questa umanità del futuro : sottomessa, attenta a non turbare l'ordine costituito ma in acuta, dolorosa mancanza di reciproca " pietas ". Un paradigma molto bello, declinato da par suo da un grande cineasta come è ormai Gray. E non si storca il naso affermando che erano " meglio"  i primi film del regista ( magari " Little Odessa " o " I padroni della notte " ) perchè più articolati intorno ad  una tematica accattivante e di presa immediata ( la realtà della New York delle bande gangsteristiche degli immigrati ) che non le più recenti incursioni verso molteplici direzioni ( le spedizioni in contrade inesplorate  di " Civiltà perduta " o appunto la fantascienza di questo " Ad Astra " ). Oltre a testimoniare l'inesauribile vena artistica e la curiosità intellettuale di Gray, pronta anche a sfidare i " generi ", l'apparente erraticità del suo cinema trova un ancoraggio sicuro nelle costanti preoccupazioni dell'autore, che potremmo sintetizzare in due temi che da sempre ( e pertanto anche in " Ad Astra " ) costituiscono il nerbo concettuale delle sue opere. Da un lato il rapporto tra l'individuo e il gruppo, il desiderio di affrancarsi da parte del singolo opposto alla vischiosità dell'ambiente ove è costretto a muoversi. Dall'altra la dicotomia padre-figlio come espressione , anche qui di un vecchio mondo che deve cedere necessariamente il passo a quello nuovo. Ed a coronare il tutto la ricerca continua dell'amore come unico antidoto alle paure ed alle delusioni di una esistenza che espone l'uomo sempre di più ad una vita conflittuale, povera e alienante. Tutto questo , in " Ad Astra",  è ancora più evidente che nei film precedenti di Gray ed assume un rilievo plastico di grande forza ed intensità.
Gli adepti del genere  fantascienza  possono comunque stare tranquilli. Avranno tutti i motivi ed i passaggi narrativi classici che questo genere di film porta con sé : mistero, emozione, eroismo sapientemente dosati per consentire anche una lettura immediata e più semplice di una vicenda che , come ho cercato di dimostrare, si presta ad altra e più convincente decifrazione. Di Gray regista, creatore di forme cinematografiche piene, splendide nella loro bellezza, in questo film ce n'è quanto se ne vuole, a conferma della circostanza che , al cinema, quando si hanno le idee chiare è infinitamente più facile calarle in uno stampo esteriore di piena soddisfazione  e chiarezza per lo spettatore. Una parola sull'interpretazione. Brad Pitt ( che ha coprodotto il film ) è praticamente in scena dalla prima all'ultima sequenza. Simpatico, con un bel sorriso costantemente accennato ma pronto a trasformarsi in una smorfia di dolore, combatte vittoriosamente con un personaggio non facile, pugnace e al tempo stesso combattuto al suo interno, e ne rende convincentemente speranze e timori.



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