giovedì 26 settembre 2019

" LA MAFIA NON E' PIU' QUELLA DI UNA VOLTA " di Franco Maresco ( Italia, 2019 ) / " IL COLPO DEL CANE " di Fulvio Risuleo ( Italia, 2019 )

Ancora sotto l'effetto della delusione e dello sconcerto causatomi dal " capolavoro " della nostra cinematografia proiettato a Venezia ( " Martin Eden " ) di cui ho parlato due settimane or sono, sono andato a vedere il secondo dei tre film italiani in concorso alla " Mostra ", premiato con una speciale menzione dalla giuria, senza peraltro nutrire eccessive aspettative. Mi incuriosiva, in questo film , il titolo leggermente sornione ( " La mafia non è più quella di una volta " ) e la fama del regista, quel Franco Maresco, palermitano, che , insieme al conterraneo Daniele Ciprì e da qualche tempo da solo, ci ha regalato ottimi film satirici e d'inchiesta al confine tra realtà  e finzione ( o meglio, artistico infingimento ). Penso a " Totò che visse due volte " , a " Come inguaiammo il cinema italiano",a " Belluscone". Insomma, avevo bisogno di capire se nel panorama dissestato della nostra cinematografia ci sia ancora posto per un film di buona fattura, capace di appassionarti, di parlare al tuo cuore e alla tua mente senza bisogno di ricorrere ad " astratti furori " ma semplicemente sgattaiolando dall'uscio di casa, tra la gente vera, dove pulsa la vera vita, fatta di cose concrete. Ebbene, fin dalle primissime inquadrature, quest' ultimo film non può lasciarti indifferente, anzi ti prende e non ti molla fino alla fine. Merito dell'andamento serrato e dell'abilità dello sceneggiatore-regista Maresco di tenere lo spettatore continuamente desto, sul chi vive, ansioso di saperne di più. La Mafia (per passeggera e spensierata distrazione, vi assicuro,  ne ho scritto il nome con la maiuscola... ) è un argomento delicato e  appassionante, certamente. E che ha innescato opere letterarie a volte di buona fattura ed anche più di un'opera cinematografica dal non effimero successo. Per molti un soggetto di studio o di semplice conversazione, per i siciliani una realtà  quasi quotidiana e , a Palermo, in determinati ambienti, una presenza silenziosa e costante. Ma il film , lungi dall'assumere toni di condanna  declamatori e scontati, preferisce sottilmente condurci a  toccare quasi per mano cosa vuol dire , oggi, convivere con la mafia a più di un quarto di secolo dall'emblematico sacrificio di Falcone e Borsellino.

" La mafia non è più quella di una volta " ( è anche l'affermazione di un personaggio del film che se ne intende ) inizia con la sconsolata constatazione che i palermitani, quelli più umili che dalla " onorata società " hanno subito in fondo i guai maggiori , non vogliono più ricordarsi dei due eroici magistrati che caddero sull'accidentato fronte della " legalità ". Li hanno rimossi, fanno finta che non siano mai esistiti, ostili probabilmente a tutto quanto li costringerebbe a rimettere in discussione il proprio modo di pensare e di agire,  quel " farsi i fatti propri ", il  " non impicciarsi ", che sono poi  il letto di coltura di qualunque organizzazione criminosa fondata sulla paura e sull'omertà. Rimane solo il guscio vuoto delle ritualistiche celebrazioni annuali della data delle due stragi, fatte di ovvietà e di retorica, senza un autentico coinvolgimento ( dovremmo forse dire " sconvolgimento" ) delle coscienze. Troppo rapide queste ultime, dopo l'iniziale emozione, a chiudersi a difesa di una  atavica " cultura " del silenzio e del distacco. Perfino nelle  disastrate ed insidiose periferie di Palermo, ad esempio quello " Zen " che è il simbolo di tutte le sconfitte dello Stato, la ricorrenza dei due tragici attentati diventa occasione di una bizzarra "celebrazione"  a base di esibizioni di cantanti " neomelodici ", danze rock e strampalati discorsetti di maniera. Ed è qui che la sagacia descrittiva, ai confini del grottesco, di Franco Maresco ( è lui il " Virgilio" che ci conduce per mano , di cui ascoltiamo la dolce cadenza sicula ma che non vedremo mai ) dà il meglio di sé. Interviste con coraggiosi intellettuali del luogo, come la grande fotografa Letizia Battaglia, o con  personaggi incredibili , come  il pirotecnico impresario di spettacoli popolari Ciccio Marra ( tanto vero da sembrare inventato) si incrociano con inquadrature a volte inquietanti, a volte francamente assurde se non fossero autentiche, a comporre un insieme che risulta sempre vivace e significativo. Meglio di un " reportage " giornalistico o di un documentario televisivo, il film ci trasporta per soli novanta, densissimi minuti ( finalmente ! ) in un mondo sconcertante. Si ride e ci si diverte perfino guardando le immagini di un film come questo, mai noioso e costantemente sorprendente. Ma, quasi sempre, si ride amaro. Paghi, alla fine, di una creazione intelligente e artisticamente tutt'altro che banale.

In questa stessa settimana, trascurando per il momento gli spettacolari film americani da poco in programmazione,ho proseguito nell' esplorazione di quel che offre oggi il cinema italiano, " Martin Eden " a parte, e parlerò così di un piccolo film ( " piccolo " per il budget modesto e la scarsa fama degli interpreti, ma non  per il suo valore ) che  probabilmente non sarei mai andato a vedere se la valente critica del " Foglio ", Mariarosa Mancuso,non ne avesse parlato bene destando la mia curiosità . Troppo infatti  sono rimasto deluso, in passato, da film di giovani autori nostrani ( è, questo, solo  il secondo film del regista  ) che sembravano promettenti all'inizio e finivano poi col cadere nel banale o nel risaputo. Non così, invece, "Il colpo del cane ", opera  di un cineasta - sceneggiatore unico e regista - appena ventottenne (auguri per la carriera ! ) che risponde al nome di Fulvio Risuleo e di cui ignoro il primo film, che pare si chiamasse " Guarda in alto ". Scrivere un film,trovare chi te lo produca e poi dirigerlo, quando non hai un nome molto conosciuto od eccellenti credenziali che ti vengono da una lunga e positiva attività, non è così semplice. Tra tanta pellicola sprecata ( come si diceva prima dell'epoca del digitale ) imbattersi in un film italiano ben fatto, senza tante ambizioni se non quella, peraltro fondamentale, di guadagnarsi l'attenzione prima , e l'adesione poi, dello spettatore, è cosa che va sottolineata con piacere. Prima di passare ad una breve analisi dei pregi ( più d'uno ) e dei difetti ( non gravissimi ) del film, visto che in un certo senso si tratta di un " giallo ", sia pure di genere molto particolare, accennerò appena alla trama.  Dunque, da un lato abbiamo due ragazze , come tante loro coetanee in disperata ricerca di un lavoretto per tirare avanti, costrette ad improvvisarsi " dogsitter " per un intero fine settimana. Dall'altra un " capellone " rimasto senza impiego, appassionato un  pò tardivo della musica " metallica ", alle prese anche lui con il sempiterno problema di raggranellare qualche soldo. Ed in mezzo lui, il vero protagonista del film, uno splendido esemplare di bulldog francese nano, dal nome di Ugo. E la storia può partire.

Quando si dispone di una trama abbastanza esile- e questa del " Colpo del cane " lo è - due sono le vie per cavarsela con onore. La prima è dotarsi di una sceneggiatura sufficientemente ingegnosa, che spiazzi un pò lo spettatore che crede di aver già capito tutto e conduca il film su un terreno un tantino più impervio ma che gli  garantisca egualmente la necessaria coerenza. La seconda è curare al massimo l'ambientazione,in modo da conferire all'opera quel respiro, quell'ariosità che la vicenda, da sola, non saprebbe dargli. Quanto alla sceneggiatura, chi vedrà il film capirà cosa voglio dire e confermerà, spero, la mia impressione che Risuleo  è riuscito a  far ripartire bene, nella seconda parte, un film che, dopo un inizio scoppiettante, rischiava di afflosciarsi su sé stesso, Unico neo, la poca fluidità del passaggio tra i due piani del racconto che avrebbe forse necessitato un raccordo più chiaro evitando un  momento di disorientamento per lo spettatore anche il più attento.
Quanto all'ambientazione , ecco finalmente una commedia italiana collocata a Roma che non  si limita a rifare penosamente il verso alle scenette di sapore televisivo o a ripercorrere  sentieri battutissimi ma cerca di costruire un contesto per i suoi personaggi che sia sufficientemente autentico e realmente funzionale alla vicenda : non semplici " cartoline illustrate ", battute vecchissime e situazioni anche qui troppo scontate, ma personaggi veri nella dimensione giusta perchè la vicenda assuma quel tanto di spessore( ne basta poco, in fondo ) che la renda veritiera ed attraente. Operazione, nonostante piccole scivolate nel  comico o nel  patetico che rompono un pò il tono generale del film, in gran parte riuscita e non certo merito secondario di un film che, nel situare la vicenda  in una Roma abbastanza insolita e non troppo bozzettistica, acquista- quel che non è comune nel cinema italiano di oggi - un sapore finalmente non legato ad una realtà territoriale troppo precisa. Molto buona mi è sembrata la fotografia, efficace la colonna musicale. Eccellente soprattutto la recitazione di Edoardo Pesce ( il " capellone " ) che ricorderete forse come il truce antagonista del " canaro " nell'impressionante " Dogman " della scorsa stagione. Carine e a posto le due ragazze. Clamorosa e da... " nastro d'argento " l'interpretazione del piccolo bulldog Ugo. Quando si dice  " recitare da cani "   non si ha certo in mente quel bravissimo animale che gioca un ruolo non  secondario nell'economia di questo simpatico filmetto. 


3 commenti:

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  2. Caro Signor Tortora, la Sua attività è certamente utile. Ma Le pare etico venire a pubblicizzarla sul mio blog che ha tutt'altre finalità ( e poi reiterando addirittura il messaggio ! ) .Sono certo che si renderà conto di quanto sia stata inopportuna - e forse anche controproducente - questa Sua iniziativa che, sono certo, non avrà seguito in avvenire.

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