venerdì 14 giugno 2019

"THE DEAD DON'T DIE " di Jim Jarmush ( USA, 2019 )

Maltrattato dalla critica internazionale in occasione della sua presentazione al recente Festival di Cannes, giudicato un tentativo mal riuscito di irruzione nel genere "horror ", questo " I morti non muoiono " ( da ieri distribuito in diverse sale della penisola ) rischia di far storcere il naso a più di un critico nostrano- quelli che sono sempre alla ricerca di " contenuti "- ed è perfino incerto se piacerà al pubblico. L'ultima fatica di Jim Jarmush, il regista americano di " Stranger than Paradise ", " Daunbailò ", " Broken Flowers ", può sconcertare equamente, infatti, sia i frequentatori di "zombie movies " ( che non apprezzeranno il suo umorismo e l'insufficienza di adrenalina ) sia gli amanti del " cinema d'autore " ( che potrebbero considerarlo una piccola scivolata in una filmografia di più alto profilo ). Io stesso ammetto di ritenerlo diseguale, trovando che la seconda parte (quando i " morti viventi ", cioè gli zombi , incominciano a moltiplicarsi) è meno interessante della prima. Ma ciò non toglie che , preso nel suo insieme, il film confermi il quarantennale assoluto talento del suo autore e possa essere un'esperienza gratificante per chi lo andrà a vedere. Unica raccomandazione, soprattutto se non sapete bene cosa fanno in genere gli zombi nonchè come vanno combattuti, e siete deboli di stomaco o di cuore, mettete in conto un certo quantitativo di immagini  cruente o leggermente disgustose : del resto, fare un film che rasenta ( o piuttosto stravolge)  un film " di genere " ben collaudato come questo senza rispettarne, almeno in parte, i codici sarebbe stato un tantino ipocrita e soprattutto poco funzionale.

Siamo nella cittadina USA di Centerville, 870 abitanti (viventi) che in realtà più " periferica " di così non si potrebbe immaginare. I tre soli poliziotti del luogo ( uno anziano prossimo alla pensione, stanco ma ancora coscienzioso,un altro giovane, belloccio ed impassibile , infine una ragazza timida e sensibile ) a parte i soliti ubriaconi da schiaffare ogni tanto in guardina e uno sfuggente " uomo dei boschi" che fa strage di polli quando scende  nottetempo in paese non sembrano avere grossi problemi nel far rispettare la legge e l'ordine . Gustatevi l'inizio,compassato e sornione, con cui Jarmush ci presenta i tre personaggi e le pochissime altre persone che circolano  nella pacifica e sonnolenta  Centerville, prototipo di una America " trumpiana " che si pasce delle proprie idiosincrasie ( i neri, la limitazione delle armi da fuoco, la teoria dei cambiamenti climatici indotti dall'uomo ). Un "incipit" esemplare per affettuosa ironia, empatia per i propri personaggi, per piccini o stupidi che  possano apparire, senso dello spazio, andamento classicheggiante. E così via fino al momento in cui, complice nientedimeno che una fuoriuscita della Terra dal suo asse, strani fenomeni incominciano a prodursi e culminano, finalmente, con l'evento che i cultori del genere attendono con impazienza. Ed anche qui debbo dire- evitando di raccontarvi il seguito -  non mi è sembrato che Jarmush, sceneggiatore e regista, indulga come si potrebbe temere in eccessivi cedimenti. Gli zombi sono quelli che sono e, come dice argutamente uno dei protagonisti, "si ha la sensazione che la cosa finirà male ". Ma l'indispensabile  ricorso ad un bel po' di emoglobina e l'intervento della temibile spada giapponese di una addetta alle locali pompe funebri, appassionata di arti marziali,  non trasforma il film in un semplice " B-movie". Forse, è vero, ci divertiamo di meno ed uno scampolo di noia  minaccia di insinuarsi qua e là. Eppure l'autore, brillantemente, riesce a mantenere il proprio approccio rigoroso ed  apollineo lungo tutto il film. 

Se questo, come ho cercato di tratteggiare,è quello che lo spettatore vedrà sullo schermo, verrebbe fatto di chiedersi dove sia il problema. Perchè Jarmush viene tacciato dalla critica  di essere stato troppo deferente verso il genere "horror " senza rivisitarlo a dovere, quasi ne subisse il fascino referenziale ? A me non sembra proprio che  le cose stiano così. Quel po' di ripetitività che caratterizza la seconda parte del film, quell'insistere sull'invasione man mano più ampia degli zombi, non tradiscono  un repentino mutamento di stile, una conversione alle esigenze di un " canone " fin troppo conosciuto . Siamo di fronte, invece, alla stessa, sconsolata, ironica ( ma tutt'altro che impietosa ) visione della nostra umanità, già posta in evidenza in altre opere di quest'autore. Una umanità che pensa di essere  in controllo della situazione e che si scopre ( diremmo quasi leopardianamente ) oggetto e  non soggetto di un universo indifferente alla nostra presenza, misterioso e pronto a deragliare senza che vi si possa opporre alcuna resistenza. Senza uscire dalle righe, con umiltà di mezzi ma anche, vedrete, qualche inevitabile ricorso alle nuove tecnologie, Jarmush è riuscito a darci con il suo film qualcosa di più di quel semplice " divertissement " cui lo si vorrebbe confinare. Certo, come più di uno ha osservato, non mancano le citazioni , le strizzatine d'occhio umoristiche dirette allo spettatore, gli " a parte " diremmo in gergo teatrale, che lo rendono  godibile e che stemperano, dove è necessario, l'atmosfera tesa ed onirica.  Ma questo, diremmo, è il "tag"  che l'autore appone alla propria opera, non l'opera stessa.

Nè mi soffermerei oltre sui significati metaforici cui pure una simile vicenda può prestarsi e che un po' tutti gli esemplari del genere zombesco inevitabilmente condividono :  eccessi della civiltà dei consumi che ottunde i sensi e la ragione dell'uomo , il quale finisce col divorare sé stesso  e via discorrendo. Andate a vedere questo film, invece, senza preconcetti. Non vi aspettate un'opera che resterà negli annali del cinema. Ma neanche un filmetto stanco che tradisce gli esiti cui Jarmush era pervenuto con i film precedenti ( a cominciare, andando a ritroso, con quell'ottimo " Paterson " di pochi anni fa e  che lo segnalava già come malinconico cantore di una piccola umanità che trova nella poesia e nel sogno il proprio effimero riscatto ). Ecco, pensate , uscendo dalla proiezione, che anche qui l'autore ha voluto scrivere, mi sento di poter dire, un nuovo capitolo di un suo " work in progress " sulla bellezza, e nello sesso tempo il rischio, di essere mortali, destinati a scomparire, ma dopo qualche attimo di piccola, magari inconsapevole felicità. Felicità anche di assaporare, nonostante i suoi difetti (ma chi non ne ha ? ) un film come questo. Avvalora l'impressione di essere in presenza di  un' opera complessiva che si costruisce tassello dopo tassello, il fatto che Jarmush ami, negli ultimi tempi, circondarsi degli stessi tecnici, spesso degli stessi attori. Da ammirare, in " The dead don't die " ( che è anche  il titolo di una orecchiabile ballata " country " che fa da motivo conduttore ) l'interpretazione di tutti. Da quella di Bill Murray e di Adam Driver( i due poliziotti ) assolutamente superbi nel mantenere la stessa cifra di recitazione lungo tutto il film, a quella delle signore : Cloe Sevigny, nella congeniale parte della timida poliziotta e Tilda Swinton come eterea ma temibilissima "samurai " del " funeral parlor ". 

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