Ecco due film, usciti di recente, che potremmo chiamare " da camera ", in analogia con quelle composizioni musicali affidate a pochi strumenti ed in cui la sonorità è lieve, ora triste, ora scherzosa, ma mai ponderosa e magniloquente come nelle sinfonie o nei concerti per orchestra. Se il film cinese recensito l'ultima volta ( " I figli del fiume giallo " ) aveva delle tonalità possenti, drammatiche, estreme diremmo quasi, che potevano apparentarlo in campo musicale ad un'ampia e fluente sinfonia in più " movimenti ", queste due operine - francese la prima e spagnola la seconda - assomigliano a delle delicate ed ariose "sonate" scritte per soli pianoforte, violino, violoncello, senza i più poderosi o incisivi strumenti a fiato o a percussione che contraddistinguono le formazioni musicali a pieno organico. Non che dicano cose meno gravi ed emozionanti. Al contrario. Tutti e due i film di cui mi appresto a parlare esprimono in verità situazioni, stati d'animo, sentimenti di eguale od anche maggiore spessore ed intensità. Preferiscono farlo però, senza che questo vada a scapito dell'efficacia o della vivacità, in modo più sommesso, con discrezione ed estrema semplicità di mezzi. Raggiungendo in definitiva gli stessi risultati in tema di vigore drammatico e di pathos. A riprova che il cinema, come la musica , la letteratura, le altre arti insomma, ha la possibilità di giocare su più registri, di percorrere vie diverse ma che conducono allo stesso soddisfacente risultato. " Cinema da camera ", dunque - di cui esistono nel passato numerosi ed illustri esempi - e che , come unica chiave per accedervi pienamente, richiede una libera disposizione d'animo ( prevenuti astenersi ! ) e un fiducioso abbandono al suo fascino sottile.
"L'Homme fidèle " è il secondo film di Louis Garrel, decisamente più conosciuto fin qui come attore di bell'aspetto e marito ( che fortuna ! ) di Laetitia Casta. Figlio del prolifico regista Philippe Garrel, la tentazione di passare dall'altra parte della macchina da presa era troppo irresistibile e così alla fine ci si è messo anche lui. Non conosco il suo primo lungometraggio, del resto da noi mai arrivato, ma questo è davvero interessante e più di una semplice promessa. Siamo in presenza, mi sembra di poter dire, di una vera , forte personalità di cineasta. Se per la sceneggiatura ed i dialoghi egli ha avuto l'accortezza di farsi aiutare da un veterano come Jean Claude Carrière (88 primavere ! ) la messa in scena, vivacissima e felpata al tempo stesso, è interamente farina del suo sacco e di ottima qualità. Il modo di disporre la macchina da presa, il taglio delle inquadrature, la successione delle varie sequenze, testimoniano infatti di un sicuro talento, a mezza strada tra il Truffaut cui fanno riferimento tanti giovani d'oggi e ( per rimanere in zona ) il Rohmer che molti invece hanno un po' dimenticato. Grandi maestri insomma , come è inevitabile per un autore ancora alle prime prove. Ma anche tanta sicurezza ed autonomia di sguardo da non far gridare al plagio. E, rispetto ai due citati, una personalità forse un tantino più originale e bizzarra, tale da stimolare continuamente la nostra attenzione e la nostra curiosità.
La trama non può essere raccontata perchè è bene andarlo a vedere senza saperne granchè, se si vuole gustare il modo con cui i fili della vicenda si avviluppano e vengono via via dipanati. Siamo, banalissimo ma non scontato punto di partenza , in una sorta di triangolo amoroso, con un lui ( lo stesso Garrel, ingenuo e tracotante quanto basta ) e due donzelle ( la polposa Casta ed una più snella " jeune fille en fleur ", la deliziosa Lily -Rose Depp ). E poi c'è un inquietante ragazzino ( il figlio, nel film , della Casta ) che è quasi il motore di buona parte della vicenda,più sviluppato mentalmente ed emotivamente della sua età, a meno che i ragazzini di oggi non siano tutti molto diversi da come eravamo noi e quelli prima di noi. Sbaglierebbe però chi pensasse, andando a vedere il film , di assistere ad un semplice " marivaudage " fatto di schermaglie erotico-sentimentali, di malintesi e di ripicche come in tante commediole di ieri e di oggi. No, qui c' è l'autenticità del sentimento amoroso ed una intelligente esplorazione della caducità ed, insieme, della sorprendente resilienza di quest'ultimo. Ma chi è " l'uomo fedele " di cui al titolo ? Ognuno può trovare la risposta che preferisce. Ma, attenzione alle false piste ed alle giravolte inattese di una vicenda davvero molto ben esposta. Ed ancora, personaggi e situazioni che riescono ad essere salvati dal bozzettismo caro, purtroppo, a tanto cinema d'oggi senza mai cadere nel sociologismo o nella tentazione di dipingere per forza un ritratto della odierna società della libertà dei costumi. Personaggi, in un certo senso, fuori di " un " tempo ben preciso, e quindi ancora più forti ed autentici nella loro pura e semplice essenza di uomini e donne.
Discorso analogo, e nello stesso tempo ben diverso, per " Dolor y gloria ", l'ultima fatica del grande, geniale regista spagnolo Pedro Almodovar. Presentato pochi giorni fa a Cannes in competizione per la " Palma d'oro ",il film è tornato dalla " Croisette " a mani vuote se si eccettua il pur meritatissimo premio per l'interpretazione maschile andato ad Antonio Banderas. Ma ben altri avrebbero potuto legittimamente essere i suoi riconoscimenti, a cominciare dalla regia e dalla sceneggiatura. Almeno possiamo vederlo ora sui nostri schermi ed il consiglio che do è quello di non perderlo per nessun motivo perchè non solo è il miglior film di Almodovar degli ultimi dieci-quindici anni ma anche un'opera quanto mai toccante, sensibile ed esteticamente superlativa. Analogo a " L'homme fidèle " per ispirazione ed andamento delicati e sommessi ( " da camera " appunto ) raggiunge peraltro una intensità emotiva e drammatica ben più elevata, consustanziale del resto alle caratteristiche di un autore " latino " e dalla sensitività , e sensualità, letteralmente a fior di pelle. In verità dovremmo definirlo un " melodramma " per la materia narrativa che ne è alla base. Se non fosse che l'equilibrio e la maggiore moderazione raggiunti oggi dall'autore, insieme all'ironia e alla capacità demistificatoria che ha sempre nutrito, lo sollevano sul piano di una superiore, dolente eppur serena constatazione dell'ineluttabilità del tempo che passa e ci lascia con i nostri dolori e le nostre ferite ( anche con la " gloria " del titolo, certamente, pur se questa risulta alla fine effimera e ingannevole ).
Il protagonista del film ( davvero un Banderas in stato di grazia ) è un regista in difetto di ispirazione, invecchiato, malato, volontariamente segregato per non dover rivivere ogni giorno il proprio passato . Una raffigurazione , trasparentissima, dello stesso Almodovar. Ed anche qui, un punto di partenza non nuovo al cinema : immediato il riferimento al Fellini di " Otto e mezzo" o , in un certo senso, al Woody Allen di " Stardust memories ". Ma poi lo sviluppo del personaggio e del suo doloroso eppur salvifico errare con la memoria alla riscoperta della sua infanzia e alle radici della sua natura omoerotica e della sua ispirazione di artista, sono di ben diversa natura e non si esauriscono certo in un problema di semplice e momentaneo arresto creativo. Andiamo, qui, più da vicino nell'analisi di come la nostra infanzia marchi il nostro destino, o meglio sia il rivelatore delle nostre caratteristiche più autentiche. E ci spingiamo nella rilevazione di come i grandi momenti della nostra vita ( il legame amoroso , in primis ) la condizionino a volte totalmente, lasciandoci, come residuo, il rimpianto delle occasioni perdute e l'agrodolce delle gioie e delle sofferenze che abbiamo vissuto. Tutto questo genialmente raccontato ( la sceneggiatura è come sempre sua ) e splendidamente raffigurato da un Almodovar ora affettuosamente ironico nel descrivere il proprio passato, ora sfrontatamente onesto nel mostrarci lo stato di decadenza prodotto dal momento presente. Un'autoanalisi dell'artista " da vecchio " che non cade mai nel patetico perchè continuamente riscattata dal coraggio e dalla passione per la vita e per l'arte. Sontuose le immagini , come sempre coloratissime, davvero esteticamente eccitanti, fluida ed articolata la successione delle inquadrature. Tra gli altri attori, va menzionata almeno Penelope Cruz (la madre del regista da giovane ) che sapevamo brava e bella ma che ora scopriamo anche un' autentica icona dell'immaginario creativo dell'autore. Hola, Pedro !
Che splendida recensione!!
RispondiEliminaÈ come rivedere e sentire le emozioni di questo malinconico film! Sono d’accordo pienamente e condivido la bellezza della sceneggiatura e della regia, un grande Almodovar che doveva essere premiato!!
Assolutamente d'accordo, gentile amica ! Almodovar è stato letteralmente scippato di una vittoria che, quest'anno, avrebbe ampiamente meritato ...
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