giovedì 9 maggio 2019

" LA DONNA ELETTRICA " di Benedikt Erlingsson ( Islanda, 2018 ) / " VINCITORI E VINTI " di Stanley Kramer ( USA, 1961 )

Halla ( questo il nome del personaggio femminile de " La donna elettrica " ) è sulla cinquantina , splendidamente portata, e vive a Reykjavik in Islanda. Direttrice di un coro amatoriale alla luce del sole - tantissima in estate a quelle latitudini - si dedica, di notte o quando nessuno è nei paraggi, a danneggiare sistematicamente, con primitivi arco e frecce o più spesso con  banali ma efficaci esplosivi, i tralicci dell'alta tensione che conducono l'energia ad un nuovo impianto siderurgico situato nei dintorni della capitale. Da buona militante ambientalista, essa ritiene infatti che quella produzione vada contrastata perchè, con le sue scorie ed emissioni, altera il delicato equilibrio ecologico del paese e contribuisce così a quei pericolosi cambiamenti climatici che, a lungo andare, sembrano destinati a modificare irrimediabilmente le condizioni di vita sul nostro pianeta. Ispirandosi a Gandhi e a Mandela , i cui poster fanno bella mostra nell'ordinato salottino di casa sua( ma nè l'uno nè l'altro, detto per inciso, ci sembra incoraggiassero forme di " resistenza " tanto drastiche ) diventa una specie di ignota "primula rossa " cui la polizia dà la caccia senza successo e che tenta di conquistare alla giusta causa, con il proprio muscoloso esempio,  la bonaria ed inerte popolazione dell'isola. Fino al giorno in cui, appreso che una sua domanda di adozione di una bambina ucraina è stata dopo alcuni anni finalmente accolta, messo a segno l'ultima impresa ecoterroristica, parte per la disastrata regione del Donbass , prende con sè la piccola orfana destinata altrimenti ad un incerto futuro e si appresta, tornando a casa, ad un nuovo impegno civile ed umano ( ma è da scommettere che non metterà del tutto in soffitta la propria spericolata passione ambientalista... ).

Ho riassunto la trama del film - in verità molto più ricca di accadimenti e di  colpi di scena -  per mettere in risalto come si tratti di un film che,  pur prendendo le mosse da una tesi   ben precisa, oggi largamente diffusa e descrivendo con tratti semidocumentaristici l' odierna società irlandese e la quasi-incontaminata natura nella quale è immersa, assume in definitiva toni volutamente irreali e a tratti quasi fiabeschi. Toni che danno al film una cartterizzazione piuttosto accattivante per lo spettatore stanco di film che, nella loro pretesa totale aderenza al " reale ", sembrano piatti e prevedibili reportage televisivi. E che conferiscono all'intera vicenda una dimensione quasi allegorica, da apologo del XXI° secolo, tale da renderla simpatica e degna di essere seguita anche  da chi, magari non è del tutto convinto che i cambiamenti climatici siano massimamente imputabili alle attività umane. Perchè poi non è qui il punto : se cioè realmente le cose stiano come le vede Halla e se sia quindi giusto ricorrere alla violenza per evitare un pericolo tanto maggiore. Ciò che conta è, indipendentemente dalla verosimiglianza di personaggi e situazioni, questo bellissimo ritratto di donna " unidimensionale " ( che vive , ama e lotta  in tutte le sue manifestazioni per uno stesso ideale umanitario e sociale ) che il film ci offre e  persegue, qui sta il suo principale merito, con grande coerenza contenutistica e formale. Lungi dall'apparire un rifugiarsi nel " privato ", la scelta finale di Halla di liberarsi dalla stretta delle autorità del suo paese che l' hanno ormai individuata e di dedicarsi alla piccola orfana ucraina appare infatti come un orgoglioso e consapevole nuovo " engagement " che la porta ancora una volta a dedicarsi a qualcosa di utile e di appagante, soprattutto di non rinviabile e non delegabile: " qui ed ora ", verrebbe fatto di dire come monito per ognuno di noi. 

L'ultima sequenza, con Hanna, la bambina e gli altri viaggiatori dello scassatissimo pulmino ucraino diretto all'aeroporto, costretti a scendere e a proseguire a piedi sulle strade completamente inondate per le abbondanti piogge fuori stagione, non solo riporta lo spettatore alla minaccia ambientalista globale contro cui ha combattuto la " donna elettrica " e che aveva aperto il film. Ma , nell'inquadratura finale degli stessi viaggiatori che stringendosi gli uni agli altri si danno la mano procedendo titubanti nel paesaggio quasi apocalittico, ci restituisce l'immagine di una umanità che si salverà- se vorrà farlo - soltanto attraverso uno sforzo collettivo e solidale che la sollevi dalle tante miserie e delusioni che l'affliggono. Bel modo davvero di concludere un film che dice cose gravi e degne di attenzione ( non importa  poi quanto completamente condivisibili  ) e le dice, si badi, senza mai venir meno all'imperativo categorico di non annoiare lo spettatore, non volergli imporre una tesi preconcetta che non trovi nella rappresentazione , nelle immagini stesse prima ancora che nelle parole o nelle idee, la propria consistenza e la propria intima ragion d'essere,. Drammatico ma anche apertamente sentimentale, "politico" ma facendo appello più all'emozione che alla ragione, brillante nella propria  ricca e variegata sceneggiatura, " La donna elettrica " appassiona e, se non convince sempre, almeno commuove. Ben diretto con mano sicura e grande senso degli spazi, ritmo sostenuto ed incalzante, si raccomanda per la magnifica interpretazione di Halla, affidata ad un'attrice islandese dal nome impossibile a memorizzarsi ma bella, intensa, un grande omaggio alla componente femminile del genere umano. Occhio alla musica ( un accompagnamento dai suoni  nordici bizzari ed a tratti ironici , doppiati da un coretto di tre ragazze ucraine in costume tipico e che allude, strizzando l'occhio, alla " fuga " della protagonista nel Dombass ). Musica e " vocals ", però, non fuori inquadratura come in un normale film , ma  simpaticamente visibili al suo interno, sorta di quasi onnipresente " coro greco " chiamato, brechtianamente se volete, a commentare  azione e stato d'animo del personaggio principale. Dimenticavo, presentato a Cannes la primavera scorso anno in una sezione parallela con buon riscontro di pubblico e di critica, gira in Italia dal mese di dicembre ( principalmente, ahimè, nei cineclub ) ed il suo titolo internazionale è - per chi interessato a conoscerlo - "Woman at war ".

Nell'autunno del 1961 uscì in Italia " Vincitori e vinti ", ovvero " Judgement at Nurenberg ", di Stanley Kramer, il produttore-regista americano che l'anno prima ci aveva dato il " pamphlet" antinucleare " L'ultima spiaggia " ed ancora dirigerà fino alla fine degli anni settanta. Scarsamente amato dalla critica internazionale  per il suo procedere contrapponendo sempre i buoni-buoni ai cattivi-cattivi, senza cioè sfumature di sorta ( un critico francese lo definì " cineasta fatto  di cemento armato") viene oggi cautamente rivalutato per il suo afflato sinceramente " liberal ", in una Hollywood che si stava appena riavendo dalle emozioni della " caccia alle streghe " maccartista, e per la capacità di dar vita a superproduzioni  di impeccabile fattura e con grandi attori al loro meglio. Questo " Vincitori e vinti ", che non mette in scena il " grande" processo di Norimberga intentato subito alla fine del secondo conflitto mondiale ai capi del nazismo , bensì uno dei tanti processi " minori " ( ma non meno significativi ) celebrati dai vincitori negli anni immediatamente successivi ( qui siamo nel 1948 ) a carico di categorie di funzionari, militari, magistrati che pur eseguendo ordini impartiti attraverso la catena gerarchica si resero responsabili di crimini contro l'umanità. Il "giudizio " cui sono chiamati qui, nella celebre aula del Tribunale di Norimberga, i "vinti " della Storia, prima ancora che della guerra, riguarda quattro alti magistrati tedeschi che avevano anteposto la loro cieca fede in Hitler e  nel partito nazista al principio di legalità e di un equo processo attraverso le pesantissime condanne da essi inflitte ad ebrei ed oppositori del regime. Impossibile dar conto qui, anche succintamente, della quantità di interrogativi, di dubbi e di certezze ( almeno provvisorie ) cui dette luogo quel processo e che il film fa sue con grande abilità drammatica e, come è stato riconosciuto , " non senza sottigliezza ". Rivisto dopo quasi sessant'anni grazie ad una benemerita proiezione pubblica organizzata in ambito extraccademico dall' Università Cattolica di Milano ( in un'abile versione antologica, stante la lunghezza di tre ore dell'intero film ) il film mantiene tutta la sua potenza narrativa ( è giustamente considerato uno dei migliori "court movies " di sempre ) mentre emerge con forza il suo contenuto " politico " che non ha perso, purtroppo, nulla della sua tragica immanenza alla luce dei troppi crimini contro l'umanità che continuano a perpetrarsi nel mondo. Se vi capita, vi consiglio di vederlo : come si dice, "cibo per il vostro intelletto ".


2 commenti:

  1. I film saranno esattamente ciò di cui saremo stufi, poiché gli attori https://eurostreaming.fyi fanno sentire bene il pubblico...

    RispondiElimina