domenica 20 gennaio 2019

"La DOULEUR " di Emmanuel Finkiel ( Francia, 2018 )

I film ambientati durante la seconda guerra mondiale costituiscono, dal 1945 ad oggi, un capitolo piuttosto consistente nella storia della cinematografia occidentale. La descrizione di episodi, veri o inventati, svoltisi in quegli anni sembra attirare irresistibilmente la fantasia dei cineasti e piace, in definitiva, al pubblico. La spiegazione risiede nell'essere, quella vicenda storica, sufficientemente a noi  vicina da evocare ricordi o almeno un' eco familiare in coloro che ne hanno  sentito parlare, ne hanno letto qualcosa e ne hanno probabilmente visto già qualche trasposizione per il grande o il piccolo schermo. Nello stesso tempo quelle storie conservano il fascino del desueto, diremmo dell' "antico ma non troppo", portatrici in più del mito fondatore dell'epoca in cui viviamo ( i cambiamenti sociali e psicologici che si sono calati nei nostri comportamenti odierni, il progresso tecnologico sempre più accelerato, la sensazione di rottura con il mondo di  "prima" rimasto per troppi decenni sostanzialmente immobile).Il rischio che incombe però, in queste rappresentazioni, è l'eccessivo indugiare, spesse volte, sulle scontate descrizioni ambientali ( mobilio, arredamenti , vestiario ) trascinati dal gusto sempre incombente del " retrò ", della raffigurazione puramente decorativa nella quale finiscono col rifugiarsi gli autori a corto di fantasia. Come ricordava spiritosamente un mio amico, in film del genere si può dare per sicuro, qualora in una scena compaiano militari tedeschi, SS o semplici graduati di truppa ma sempre con bei stivali lucidi ed il classico fucile mitragliatore, che essi diano ad un certo punto secchi comandi gutturali, rigorosamente incomprensibili , e in uno sbattere di tacchi corrano ad inforcare motociclette Zundapp con l'immancabile sidecar. Scherzi a parte, l' "attrazione fatale " per i luoghi comuni e le belle ambientazioni  d'epoca, ha colpito più di una volta e ha reso il " filone " di questi film un genere abbastanza ambiguo quando, naturalmente, non sia sorretto a monte da una robusta ispirazione e da un superiore dominio della materia filmica ( " Schindler's list " di Spielberg, tanto per intenderci , non può certo essere considerato un film che indulga ai particolari d'epoca e che cada quindi nella ricerca dell'effetto decorativo mentre " Allied " di Robert Zemeckis, visto nella scorsa stagione, va ad infilarsi almeno in parte in tale trabocchetto).

Sfugge senza dubbio al rischio di cui si diceva, nonostante l'atmosfera sovente felpata e suggestiva, potenzialmente pronuba all'indugiare della macchina da presa sul " décor " della vicenda, il bel film francese dal titolo, rimasto anche nella versione italiana, di " La douleur ", ambientato appunto nell'arco temporale di due anni, tra il 1944 ed il 1946 . Tratto da un'opera - metà diario autobiografico, metà romanzo - della scrittrice Marguerite Duras, è uscito in Francia un anno fa e , per i misteri della distribuzione italiana, approda solo ora ai nostri schermi, spinto anche probabilmente dal fatto che rappresenterà i colori transalpini alla prossima corsa all' Oscar per il miglior film non in lingua inglese. Ed è una fortuna per noi perchè altrimenti, diretto da un regista interessante ma poco noto in Italia come Emmanuel Finkiel ( prevalentemente sceneggiatore ) e con una attrice nella parte pricipale, altrettanto valida ma semisconosciuta  come Mélanie Thierry, rischiava seriamente di non trovare qualcuno disposto a correre l'alea di proiettarlo. La storia peraltro, almeno per gli appassionati della Duras, è conosciuta anche da noi perchè il libro, uscito nel 1985, è stato tradotto e pubblicato lo stesso anno da Feltrinelli riportando un discreto successo. Il "dolore"  del titolo è quello che avverte costantemente, fino a diventare una sorta di morbosa ossessione, la protagonista, cioè Marguerite Duras, per l'assenza del marito, lo scrittore Robert Antelme, resistente antinazista, arrestato e deportato dai tedeschi prima ad Auschwitz e poi a Dachau, di cui  ella attende speranzosa, una volta liberata la Francia e sconfitta la Germania, un quasi impossibile, miracoloso ritorno a casa.  Nel frattempo Marguerite si adopera per avere notizie del coniuge, aiutata dai compagni della Resistenza (tra questi , Francois Mitterand, futuro presidente francese ) e protetta in un certo senso da un ambiguo, sinistro esponente della polizia francese collaborazionista, tale Rabier. E lo strano rapporto che viene ad instaurarsi tra la scrittrice, ansiosa di migliorare la condizione del marito prigioniero, ed il " questurino " interessato a giungere attraverso di lei ai vertici dell'organizzazione clandestina cui apparteneva il marito per smantellarne le fila costituisce una delle parti più drammaticamente vitali dell'intero film.

Sorretta da una ambientazione molto accurata ancorchè ( vedi sopra ) per niente soverchiante, la vicenda narrata dal film si dipana armoniosamente, con quel tanto di misterioso , di " non detto " che al cinema, come in letteratura, accresce il fascino di qualsiasi trama. E che qui- come avvertirà chi andrà alla proiezione - le conferisce echi e tonalità particolarmente ambigui e suggestive, in perfetto carattere con un momento storico, quello dell' occupazione nazista in Francia nei confronti della quale i nostri cugini d'Oltralpe non hanno mai saputo o voluto fare  sufficientemente luce . Ambiguità (l'attrazione  perversa, a tratti di sapore marcatamente erotico, che Marguerite prova per il suo pericoloso protettore ) che ritroviamo nel comportamento e nella psicologia dei personaggi . " Sei  piu' legata a tuo marito o non piuttosto al tuo dolore ? ", chiede pertinentemente a Marguerite un suo compagno nella cellula resistenziale, andando così a cogliere l'aspetto meno confessabile e sottilmente ambivalente del sentimento della scrittrice nei confronti dell'assenza del marito. E a dare volto e corpo alle ambiguità di Marguerite ed alla sua angoscia esistenziale, ecco un'attrice di notevole " charme " ( ancorchè non bellissima , del resto non lo era la Duras neanche da giovane ) come Mèlanie Thierry. " Elle a du chien ", dicono i francesi di determinate donne dal fascino forte ma non usuale, quasi " canino ", diremmo anche noi. Ed a questa onorevole categoria appartiene senz'altro la brava ed intensa attrice francese. Sceneggiatura di platino ( opera dello stesso Finkiel ) con ingegnose situazioni per illustrare l'ambivalenza e lo smarrimento della protagonista. Un pò meno convincente la regia, forse a tratti un pò lasca e meno sorvegliata di come avrebbe potuto essere, leggermente leziosa in alcuni passaggi , ma per il resto con bei primi piani e ritmo sostanzialmente sostenuto. Un bel film , dunque, che merita lo si vada a vedere per rendersi conto di come un romanzo non facilissimo da trasporre sullo schermo sia stato reso con quella intelligenza e capacità tecnica che si appalesevano indispensabili. " Qualità francese", vien fatto di osservare e mai luogo comune si rivela , come questa volta, sorprendentemente vero.




4 commenti:

  1. Ho visto il film.
    Bravissimi gli attori, fotografia sorprendente, ma non ho amato la regia. Troppo lento, la cinepresa che si sofferma lungamente su un volto, tante immagini sfocate che trasmettono confusione negli animi e nella storia così tragica e bestiale, mi ha disturbato. Questo scivolare della telecamera sul volto, la profondità di campo piccolissima, la voce che racconta la storia, che descrive i pensieri ed il dolore della protagonista, mi èapparsa slegata e troppo costruita. Il film mi ha lasciato una terribile angoscia, ed il messaggio che mi è giunto è che l’uomo è impotente di fronte alla bestiali azioni commesse ancora oggi come allora. Mi sono tornate davanti agli occhi la tragedia oggi in atto in Siria, in tanti stati africani. Ed oggi come allora l’umanità ha gravissime responsabilità.
    Ho letto più volte la sua recensione ma non posso condividerla, forse era un pomeriggio per me triste e non ero disponibile e aperta a questa pellicola. A presto, ora attendo di vedere la Favorita, in attesa sempre della sua preziosa recensione. Francesca

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  2. Cara Francesca, innanzitutto mi dispiace di non avere avuto l'opportunità di vederla in occasione del mio passaggio romano, la settimana scorsa. Partita rinviata , come si dice , a quando spero verrà a Milano per l'annuale Fiera internazionale della Fotografia.
    Dunque, " La douleur " non le è piaciuto. E fin qui nessun problema. Ci sono film che ci dicono di più di altri , che " parlano " letteralmente ai nostri sensi, al nostro cuore. Altri che restano " muti ", non ci trasmettono sentimenti, stimoli , emozioni positive. Capita anche con le persone, i paesaggi, le situazioni , le cose. Molto dipende dallo stato d'animo in cui ci troviamo in quel momento ( più o meno ricettivo, più o meno disponibile a farci sostenere il confronto con qualcosa di inatteso, di nuovo ). Lei ha tutto il diritto di non aver amato il film : non è colpa sua certamente, è il film che non ha fatto scattare in Lei la molla dell'adesione , della curiosità, dello scambio dialettico- non tutto il film , come ho cercato di chiarire, è indenne da qualche difetto pur in una riuscita, secondo me, complessivamente soddisfacente ).
    Dove ho qualche perplessità- mi perdoni - sulla sua reazione negativa è quando dice, in pratica, che non ha amato la vicenda ed il modo in cui viene raccontata ( immagini spesso un pò " flou ", senza profondità di campo,tediosità dell'impiego della voce " off " di commento alla vicenda ). Non crede, ripensandoci, che questi procedimenti fossero voluti dal regista-sceneggiatore per " distanziarsi " dalla vicenda , per far capire che tutto questo appartiene al passato, un passato evanescente e che nel ricordo diviene ancora più confuso ? ( il libro da cui è tratto il film è stato scritto dalla Duras quarant'anni dopo quegli avvenimenti : in realtà simula l'esistenza di un diario che invece l'autrice non aveva tenuto nel 1944-45 o aveva , comunque,allora soltanto abbozzato ). Voglio dire, con questo, che occorre che lo spettatore faccia suo il punto di vista della Duras. Si tratta di una storia ( molto ) dolorosa , anche perchè tinta di ambiguità ( il tradimento della protagonista proprio mentre il marito è assente ) e che deve essere rivissuta come in una specie di sogno , in cui noi stessi ci " sdoppiamo " in un certo senso e ci guardiamo agire, o restare inattivi.
    Ma capisco che quello che dico non può supplire alla mancata , giustificata, emozione susseguente alla visione. E' stata un'esperienza sfortunata, una piccola delusione per Lei- mi rendo conto - e spero che in futuro abbia migliore sorte andando a vedere i film che consiglio. Io mi affido in genere al mio gusto personale nel valutare un film ( non vi è una ricetta " scientifica " per farlo, questo è chiaro ) e può accadere che io prenda così qualche cantonata e mi piacciano film che non piacciono a nessuno, o forse a pochi. Mai come al cinema questo è del tutto normale e naturale. Con i miei più affettuosi saluti.

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  3. Grazie, non ho letto il libro della Duras, forse è così. Sicuramente non sono in un momento sereno e questo può aver contribuito al mio giudizio negativo sul film.
    In compenso ho letto il libro “la ragazzina che raccontava i film”. Un libro delizioso, colmo di poesia, una storia vera entusiasmante, che lascia un segno nel nostro cuore, ed ho pensato che potrebbe diventare un bellissimo film. Rimango in attesa, al prossimo commento e buona visione!

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