Il " biopic " musicale, come si usa dire , cioè la biografia di musicisti, cantanti, esecutori e via discorrendo, è sempre stato in America uno dei " generi " cinematografici più frequentati da sceneggiatori e registi. Amati dal pubblico che ha per la musica, specie quella più popolare, una passione particolarmente forte, i film di questo filone incontrano, è vero, moderato riscontro se si tratta di artisti la cui fama era rimasta prevalentemente confinata negli " States ". Ma quando vengono rappresentate esistenze, traversie e successi di personaggi mondialmente conosciuti ed apprezzati, allora anche da noi in Europa - e in particolare in Italia - il pubblico affluisce ed apprezza, a volte anche oltre il valore intrinseco delle suddette biografie filmate: tanto è il richiamo di una musica che piace, che ha contrassegnato un'epoca e tale è il ricordo, talvolta addirittura il mito, di coloro che ne sono stati gli artefici o almeno gli interpreti. Per quanto riguarda il nostro Paese, ad esempio tra pochi giorni esce sugli schermi ( e poi lo vedremo in televisione ) il film dedicato alla controversa figura di una brava e sfortunata cantante di musica leggera, Mia Martini , ed è facile pronosticare l'interesse che questa biografia potrà suscitare tra i patiti di quel genere musicale.
Nulla di paragonabile peraltro al successo davvero planetario che arrise tra gli anni '70 ed '80 dello scorso secolo al gruppo inglese di musica " rock " chiamato irriverentemente " The Queen " e al suo leader, il sulfureo cantante Freddy Mercury, tragicamente scomparso ancor giovane nel 1991. Ad essi il regista Bryan Singer ( " I soliti sospetti " e qualche film della serie " X-men " alle spalle ) ha dedicato ora, su sceneggiatura di Anthony McCarten, un film che prende nome da uno dei loro brani più famosi , " Bohemian Rapsody ", e si accentra giustamente sull' esponente del gruppo fornito di maggiore personalità.
Dotato di una voce particolarmente delicata e robusta al tempo stesso , bizzarro nelle vesti di personaggio pubblico sempre chiaccherato e discusso, Freddy Mercury non poteva passare certo inosservato. Bisessuale confesso fin dai primi anni e poi piena icona " gay " di quegli anni così capitali per i tanti cambiamenti nel comune sentire e nei comportamenti sociali, Mercury è stato anche, e glie ne va dato atto, una figura davvero importante della musica di allora, aiutando la transizione dallo stile più moderato e decadente degli epigoni dei Beatles ad uno più muscoloso e barocco, ricco di influenze anche di altri generi musicali. Questo prima che, nei successivi decenni, la musica " disco " e poi quella "tecno", più monotona e martellante, contribuissero a mettere la parola fine ad una grande rivoluzione musicale iniziata negli anni '50 ed andata via via irrobustendosi in sintonia con l'evoluzione dei costumi, delle aspirazioni e dei consumi della popolazione più giovane. Questo per dire quanto il genere musicale e l'esperienza di vita del cantante inglese , sullo sfondo delle grandi novità che investirono a quel tempo il mondo occidentale, si prestino senza dubbio ad essere rappresentati sullo schermo. A testimonianza non solo di una musica godibile e che ancora oggi solletica i nostri sensi e ci offre " buone vibrazioni ", ma anche di un'epoca variegata e ricca di tantissimi fermenti che il cinema ha più volte reso in maniera ammirevole e che si presta sempre a raffigurazioni ed approfondimenti quanto mai stimolanti. E occorre subito dire che , nella prima parte, quella antecedente al primo scioglimento del gruppo, " Bohemian Rapsody " mantiene bene le promesse di un cinema capace di cogliere e di restituirci l'atmosfera di quegli anni davvero formidabili. Veloce, a tratti giustamente umoristico e sottilmente romanticheggiante, il film scorre via senza particolari intoppi, aiutato da una ambientazione sobria ma appropriata della Londra dapprima e poi degli Stati Uniti dell'epoca, nonchè da una " resa " dei brani musicali ( credo in parte gli " originali " del gruppo, in parte forse no ) particolarmente efficace da un punto di vista anche solo squisitamente cinematografico.
Non così , purtroppo, la seconda parte di un film decisamente troppo lungo ( due ore e un quarto ! ) e che, nel dar conto della decadenza fisica ed artistica di Mercury susseguente al suo traumatico distacco dal gruppo, vira troppo bruscamente verso una descrizione assai insistita e sovrabbondante delle sue nuove frequentazioni, del disordine, delle pulsioni ed angosce di una vita baciata dal successo materiale ma povera di autentici affetti. Giusto dar conto di questo fase così complessa della parabola esistenziale del cantante, propedeutica del resto alla apparentemente salvifica ricostituzione del gruppo nel 1985 per il grande concerto benefico di Wimbledon a favore della carestia in Etiopia. Ma occorreva farlo con moduli e toni, a mio avviso , diversi : meno pesanti e scontati nel dar conto di quello che così finisce troppo con assumere l'aria di un ennesimo capitolo del logoro, abusato binomio dell' arte quale " genio e sregolatezza ", più coerenti in definitiva con i moduli narrativi della prima parte. Mi si dirà che, per l'appunto, la vita di Mercury era profondamente cambiata e bisognava quindi dare allo spettatore la piena sensazione di ciò. Ma sappiamo bene che per raffigurare la noia ( al cinema o in un libro ) non occorre proprio essere noiosi e per rappresentare la volgarità non è necessarissimo risultare anche volgari. Avremmo preferito, insomma, che il film non si perdesse in descrizioni troppo sovraccariche e che nulla aggiungono ( o sottraggono ) ad un personaggio già di per sè "sopra le righe " . Ed anche la lunga, eccessivamente lunga ricostituzione del " Live Aid " del 1985, assume troppo l'aria di un laico " cammino della croce ", teso ad esaltare e quasi glorificare la figura del protagonista alla luce della sua scomparsa, pochi anni dopo. Per fortuna, per redimere in qualche modo un personaggio che rischia di diventare " bigger than life " c'è l'interpretazione, davvero eccellente, di Rami Malek nella parte di Mercury ( somigliantissimo all'originale ) già in procinto di guadagnare numerosi e meritati riconoscimenti e che, a conti fatti, rimane del film la cosa migliore.
Sempre in tema di successi d'oltre Oceano che hanno avuto un buono , anzi un ottimo riscontro anche da noi, vale la pena di soffermarsi ora su uno dei massimi traguardi commerciali della storia del cinema, appena ammirato. Mi riferisco a " Via col vento " (" Gone with the wind " ), il mitico " Kolossal " girato alle soglie della seconda guerra mondiale. Diretto da Victor Fleming, di cui rimane il film migliore, ma profondamente influenzato dal genio produttivo di David O. Selznick, interpretato da alcuni dei migliori attori della Hollywood di quei tempi ( Vivien Leigh, Clark Gable, Trevor Howard, Olivia De Havilland ) il film è ancora oggi godibilissimo ( se ne consiglia la visione, già sperimentata in passato, in due " tranches " , vista la lunghezza record di tre ore e tre quarti) . IL DVD disponibile al riguardo si presta assai opportunamente. Corredato del doppiaggio originale - quando la scuola dei doppiatori italiani era davvero la migliore - e con una resa delle immagini in digitale assolutamente stupenda che riproduce il fiammeggiante technicolor dell'epoca poi andatosi irrimediabilmente perdendo negli anni, è una bellissima sorpresa ed una emozione estetica che consiglio vivamente. Anche per capire quale perfetto meccanismo fosse il sistema produttivo del cinema in quegli anni, vera macchina per sfornare grandi successi di pubblico. Senza, badate bene , andare necessariamente a scapito della consistenza e coerenza artistica ed offrendo sempre risultati piacevoli ed interessanti. Il film è troppo noto per tornarvi qui in sede critica, con le molte luci ed anche qualche irrimediabile ombra che esso racchiude. Mi basti rammentare l'esistenza di questo gioiello a tutti gli amanti del cinema, desiderosi di rivedere o di familiarizzarsi " ex novo " con una pietra miliare della storia di Hollywood.
Bohemian mi è piaciuto molto, anche per me la seconda parte è stata lunga, ma forse serviva per far entrare lo spettatore nella vita borderline di questo king della musica rock.
RispondiEliminaUna bella fotografia, un bravissimo attore, effetti speciali ed una sceneggiatura attenta mi ha regalato due ore piacevoli.
La scena che ho ancora negli occhi è lo stadio pieno di persone con le braccia bianche alzate che ondeggiano, ( mi hanno detto che è stata fatta in post-produzione).
Via col vento tornerò a vederlo con molto piacere, per non dimenticare gli occhi di Clark Gable e di Liz Taylor e quelli della “mama” da oscar!!! In attesa un affettuoso saluto. Francesca
Cara Francesca, comprensibile forse il Suo maggiore entusiasmo per " Bohemian Rapsody " pensando che Lei è molto più giovane di me e quindi meglio sa apprezzare atmosfere che a me sono probabilmente in parte sfuggite : per me ci sarebbe voluto una biopic su Elvis Presley o sui Beatles !
EliminaQuanto a " Via col vento " , si procuri senz'altro - se già non lo avesse - il DVD : è una festa per gli occhi. Circa gli occhi di Clark Gable anche un " etero " come me non può negare che avessero molto fascino. Quelli che Lei ricorda come di Liz Taylor ( immagino nella parte della " selvaggia " Rossella O' Hara ) erano in realtà, per dare a Cesare ( o a Cleopatra ) con quel che segue,gli occhi di di Vivien Leigh, la quale - non ricordo bene - aveva appena sposato o stava per sposare, a 26 anni, Laurence Olivier. Liz era allora , siamo nel 1939 ,solo una graziosa bambinetta di sette anni. Ma già pochi anni dopo, nel 1944, in " Gran Premio " ( visto da me a guerra finita, ovviamente )appariva già come una signorinella assolutamente ben dotata. Comunque, con sfumature di verde e di azzurro, gli occhi di Vivien e di Liz erano egualmente bellissimi ed è facile sovrapporli nel ricordo.
Ci vediamo presto a Roma, spero.