Che si deve fare, quando ci si chiama Steve McQueen e si lavora nel cinema, per evitare incresciosi " qui pro quo " e correre il rischio di sentir dire " come, adesso fa anche il regista, ma non era morto ? ". Fare io credo, come stà facendo in effetti, dei gran bei film con cui ritagliarsi un posto tutto suo nella cinematografia mondiale. Anche perchè, di somigliante al carismatico attore americano dagli occhi cerulei scomparso nel 1980, Il nostro McQueen non ha proprio nulla. Britannico di nascita e di nazionalità, nero e cicciottello, la sua storia è tutta diversa. Artista polivalente in linea con le tendenze più contemporanee , fotografo e scultore, da una decina d'anni bazzica anche il cinema dandoci film di folgorante bellezza anche se non del tutto identici per compattezza e vigore drammatico. I suoi primi due lungometraggi ( " Hunger ", su di un militante separatista nordirlandese impegnato in un lungo e tragico sciopero della fame, e " Shame " su di un uomo ancora giovane e completamente roso dall'ossessione del sesso inteso come unica ragione di vita ) erano due autentici pugni nello stomaco.Tesi come lame di coltello, supportati da due interpreti eccezionali ( Daniel Day Lewis per il primo e Michael Fassbender per il secondo ) rivelavano un regista capace di dominare perfettamente l'ingrata materia trattata rivestendola di forme plastiche di grande potenza drammatica. Un pò meno rigoroso e coerente, anche se capace di tenere costantemente svegli i sensi dello spettatore più smaliziato, " Twelwe years a slave ", sulla drammatica vicenda di un nero americano libero e benestante della metà dell' Ottocento che viene rapito e condotto a lavorare come schiavo in una piantagione del Sud, confermava nondimeno la vocazione di McQueen per le storie " forti " e la descrizione di personaggi al di fuori del comune, succubi di una condizione umana "borderline " e costretti per ciò ad una impari lotta con il fato che incombe su di loro. Proprio l'ultimo film, forse anche per l'assunto antirazzista, ha riscosso il maggior successo tra questi tre , conquistando un paio di Oscar e consacrando definitivamente il suo autore come uno dei maggiori cineasti della " nuova Hollywood ".
Intenzionato a non riposare sugli allori ma ad evitare nel contempo di rifare lo stesso film e quindi desideroso di spaziare in ambienti sempre diversi, questa volta Mc Queen si rivolge nuovamente agli " States " ( dove ormai vive da alcuni anni ) andando però ad esplorare il variopinto e sinistro mondo criminale di Chicago, una delle più violente città americane, dove la comunità nera nel bene e nel male è adeguatamente rappresentata. E lo fa ispirandosi, con l'aiuto della sua compagna di vita Gillian in veste di cosceneggiatrice, ad una serie televisiva che egli seguiva con passione da ragazzo , " Widows " ( Vedove ) incentrata su alcune mogli di gangster defunti che continuano le attività criminali dei mariti dimostrando non poca perizia nel nuovo e periglioso lavoro. Tema senza dubbio originale ma che non solleverebbe di per sè il film dal rango di un film- come si suol dire - di genere, quasi una sorta , a tratti, di " B-movie " come se ne facevano a dozzine negli anni '40-'50, se non fosse per la messa in scena, di cui poi diremo, e la presenza ancora una volta di quei temi ispiratori che fanno la singolarità e la forza del cinema di questo artista angloamericano. Anche qui siamo di fronte, come già, soprattutto, in " Hunger " e poi in "Shame ", a personaggi che assomigliano a quelli di una tragedia greca. Guidati da un destino che non dà loro scampo, costretti ad assumere fino in fondo il loro ruolo, sino all'autodistruzione o comunque ad uno scioglimento " obbligato " della loro vicenda, morte od amara vittoria. Così non solo la protagonista ( interpretata dalla vincitrice di uno degli Oscar dello scorso anno ed intenzionata con questo film a fare forse il bis , cioè la bravissima afroamericana Viola Davis ) ma anche le sue due colleghe bianche e gli stessi " villain ", cioè i cattivi di turno : un padre ed un figlio , politicanti dai sordidi affari, adusi a sguazzare nella corruzione, incapaci di uscire dalla loro condizione e votati al sacrificio supremo ( due interpretazioni " minori " per durata nell'economia complessiva del film ma di grande spessore, ad opera rispettivamente del veterano Robert Duvall e del più giovane ma altrettanto abile Colin Farrell ).
Raccontare la trama del film è fortemente sconsigliabile, visti i continui colpi di scena, la tensione drammatica che tiene desta l'attenzione dello spettatore proprio per seguire l'evoluzione di una vicenda forse poco verosimile ma di grande fascino estetico. I film di Mcqueen- e qui la sua felice frequentazione di altre arti visive e plastiche lo aiuta non poco - sono sempre " oggetti " molto belli da ammirare ed assaporare da parte dello spettatore con un piacere quasi sensuale. Non mi riferisco solo alla messa in scena vera e propria ( grandi movimenti di macchina, arditi movimenti di gru e folgoranti carrellate , volti ad imprimere un andamento sontuoso e " lirico " al dipanarsi del filo conduttore dell'opera e a preparare , in un certo senso, la sorpresa finale ). Ma alla capacità di McQueen di rendere con pochi tocchi, un'ambientazione perfetta, e la creazione di autentiche " forme " cinematografiche - non mere immagini illustrative- una situazione, uno stato d'animo, un desiderio, un rimpianto. Si pensi, a questo proposito, alla bellissima scena d'amore tra Viola Davis ed il marito nella finzione cinematografica, l'intenso Liam Neeson, e poi al ricordo fisico che la protagonista ha, nella prima parte, del defunto : inquadrature cosi' belle , di un erotismo sottile e potente al tempo stesso, capaci di descriverci il carattere ma, in un certo senso, anche il " fato " che incombe sui due personaggi, non si vedono al cinema tutti i giorni. E poi, considerato che in questi giorni si celebrano le donne e si condannono tutte le violenze su di esse, diciamo anche che " Widows " è un'autentica, affettuosa, ode alla forza, alla pazienza e all'intelligenza di tutto il genere femminile di fronte ( a volte ) alla crudeltà e alla stolta esaltazione di sè della " gens " maschile.
Se " Widows ", pur meritevole di essere visto, non è il capolavoro che avrebbe potuto essere il difetto sta forse in una sceneggiatura troppo ricca e sovrabbondante, non chiarissima in ogni snodo narrativo, un pò troppo indulgente verso qualche " luogo comune" dei film di gangster ( la violenza, il sadismo di alcuni personaggi marginali ) e , in definitiva, con qualche lungaggine che poteva essere evitata conferendo al film maggiore compattezza e rigore narrativo. Qualità invece , le ultime due, di un bellissimo ( questa volta sì ) film francese di cui vi ho già parlato quando fu presentato a Cannes la scorsa primavera : " En guerre " ( "In guerra" , il titolo italiano ) di Stéphane Brizé ( andate a cercare la mia recensione , se vi va, nelle puntate di giugno della rubrichetta ). Teso, coerente in ogni fotogramma, la descrizione degli accesi dibattiti tra " management " di una multinazionale e la commissione interna di una fabbrica che deve essere chiusa nell' Ovest della Francia, avrebbe molto per essere considerato un film noioso per la sua trama così monocorde e " respingente " per una tranquilla serata al cinema. Ma il modo - anche qui - con cui il regista ha messo in scena una situazione dolorosamente drammatica ma di palpitante vitalità, la sceneggiatura perfetta e senza alcuna smagliatura, lo raccomandano ad una visione di tutti coloro che amano il cinema. Lo segnalo ancora una volta con convinzione perchè temo che stia per uscire di programmazione e sarebbe un peccato perderlo !
Nonostante la scelta e la discussione dei https://altadefinizioneita.co/poliziesco/ film, ci sono quelli che sono buoni.
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