Film molto importante, questo " The square ". Vincitore della Palma d'oro a Cannes , la scorsa primavera. Forse non mancavano film in concorso che avrebbero avuto maggiore diritto a quel premio, a cominciare dal russo " Senza amore " che sta per uscire nelle sale italiane e di cui vi parlai a suo tempo. Ma bene fecero allora i giurati a segnalarcelo mediante il massimo riconoscimento. Privo di elementi esteriori di immediata presa sul pubblico ( attori famosi, una vicenda attraente e facilmente " classificabile "- film drammatico, o brillante, storia d'amore ecc. - una cospicua campagna pubblicitaria ) avrebbe rischiato altrimenti di passare inosservato. O di venire relegato nella categoria delle opere " eccentriche ", da lasciare ai cinefili incalliti o al pubblico dei festival. Mentre invece è un'opera che non può lasciarci indifferenti, noi che apparteniamo al genere umano di questo primo ventennio del ventunesimo secolo. E che - a non essere prevenuti - non risulta neanche particolarmente sconcertante od oscura. Con l'unica avvertenza, diceva un mio caro amico, di non andarlo a vedere dopopranzo. Potrebbe infatti risultare un tantino indigesto, suscitare qualche senso di colpa, far sobbollire il fondo della nostra coscienza . Tutto ciò, peraltro, attraverso una semplicità espressiva (niente inutili virtuosismi di regia ) che è da ascrivere a grande merito di questo regista e sceneggiatore svedese di poco più di quarant'anni di età, Ruben Ostlund, già autore tre anni fa di un ragguardevole " Force majeure " o " Snow therapy " come da qualche parte è conosciuto quel film.
Lo " square " del titolo, è una piazza ma ,volendo, anche un quadrato in uno dei diversi significati di questo vocabolo. Ed è, nel film , il nome di una " installazione " ( quelle cose fatte di tubi, di luci o di materiali grezzi che ormai, nell'arte contemporanea , sempre di più prendono il posto delle vecchie tele o delle sculture ) che il protagonista, Christian, direttore del Museo Reale di Stoccolma, orgogliosamente presenta al pubblico per celebrare non ricordo più quale anniversario. Quella " opera d'arte ", nelle intenzioni dell'autore e dei committenti, dovrebbe simboleggiare " un luogo di amore e di fratellanza, aperto a tutti e dove tutti abbiano gli stessi diritti e gli stessi obblighi ". Insomma, una trasparente metafora del mondo cui aspiriamo e che alcuni ritengono addirittura sia già stato realizzato qui in Occidente o almeno nei ricchi ed egualitari paesi dell' Europa del Nord. Se non fosse che, complice la crisi economica di questi ultimi anni e soprattutto il progressivo inaridimento del sentimento di solidarietà, della tolleranza e del rispetto reciproco, resta un paradigma puramente ideale dal quale ci stiamo in realtà allontanando. Ed il tema centrale del film di Ostlund è proprio l'ipocrisia di una società, la nostra, che a parole predica bene ( l'onnipresente " politically correct " ! ) ma che, nella attività quotidiana, finisce con lo smentire clamorosamente il progetto verso cui si illude di tendere. Ecco allora, invece, l'aridità nei rapporti interpersonali, la paura e il pregiudizio nei confronti di coloro che non sono come noi (ad esempio intellettuali benestanti, magari con belle case, belle automobili e molti " gadget " che rassicurino una traballante identità ). E soprattutto, ci ricorda l'autore, la fuga dalle responsabilità individuali , una volta che si è trovato comodo delegare ad altri se non addirittura al gruppo - cioè in pratica a nessuno- il compito di difendere i nostri valori, indignarsi , reagire quando necessario. Altrettante situazioni che leggiamo agevolmente nei comportamenti del protagonista e che, complice un iniziale banalissimo episodio di un subìto furto con destrezza ( sì, anche nella civilissima Svezia ) conduce quest'ultimo ad una serie di scelte ( o non-scelte ) più sbagliate le une delle altre e che sconvolgeranno il suo " delizioso " tran-tran. Insomma, la " piazza " ( luogo di libertà, di incontro e di scambio ) rischia di trasformarsi in un sempice e chiuso " quadrato " , una gabbia nella quale prevenzioni ed oscuri timori, incomprensioni e mancanza di dialogo, minacciano di tenerci segregati gli uni nei confronti degli altri.
Che mondo ci siamo costruiti, sembra chiedersi polemicamente l'autore, questo mondo in cui vi è un così grande distacco tra i nostri buoni propositi ed una realtà fatta di indifferenza, di crescente divario tra i vari strati della società, di repressione dei nostri stessi sentimenti, in poche parole di mancanza di quell 'amore - laico o cristiano poco importa - che è l'unico lievito per una esistenza autenticamente serena e fruttifera ? Io non credo che il film di Ostlund sia , come qualcuno ha detto, una requisitoria nei confronti della " borghesia capitalista ". Può benissimo esistere,e non solo nei sogni , un capitalismo compassionevole e cosciente dei propri limiti come, per converso, un socialismo spietato e nemico dell'uomo ( che , del resto, abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi cento anni di storia ) . Penso invece che il significato del film sia altrove. Nella condanna, cioè, di una società meccanicistica, disumanizzata, fatta di tante stupide regolette ma - qualunque sia la formula politica in cui essa si iscriva - incapace di provvedere agli autentici bisogni degli esseri umani e di creare uno spazio di pacifica ed armoniosa convivenza. Mi confortano in questa percezione del significato del film le scene desolanti in cui viene mostrata l'incapacità del protagonista di stabilire un autentico rapporto da eguale ad eguale con le persone con cui entra in relazione ( la giornalista intervistatrice con cui ha una fugace avventura, l'assistente di colore, il ragazzino che si ritiene da lui diffamato, i suoi stessi figli ) e quelle , forti e quasi insostenibili nella loro durezza, in cui il mondo cui appartiene Christian è confrontato a sentimenti ed istinti genuini ancorchè " primitivi " e quindi dimenticati ( la lunga sequenza dell' aggressivo uomo scimmia al banchetto offerto dal museo ed ancora il confronto tra Christian stesso ed il ragazzino che gli chiede di riparare alle disastrose conseguenze della iniziativa da lui posta in essere per recuperare gli oggetti che gli erano stati sottratti nello scippo iniziale ). Ed in un siffatto contesto, la stessa arte- per accennare ad un importante " sottotema " del film - che era nata per dare conforto e dignità a noi umani, sembra aver ormai largamente abdicato alle proprie funzioni originarie.Se l'artista era prima un mediatore tra la società del suo tempo e le forze oscure e vitali della creazione, quasi sempre di immediata comprensione e fruibilità, oggi si è trasformato in un " performer " che si limita spesso a cogliere l' " aria che tira " e a riprodurla in forme talvolta oscure o risibili. Ne sono prova quelle " creazioni artistiche " che lo stesso Christian ospita nel proprio museo ma non sa bene nemmeno lui cosa vogliano dire e se abbiano un valore che trascenda la mera circostanza di essere conservate in quel luogo.
Non vorrei peraltro che i pochi lettori che mi seguono traessero da tutto questo l'impressione che si tratti di un film plumbeo, quasi disperato, un tantino deprimente. Se l'assunto è quanto mai serio e non molte sono le faglie di speranza che esso ci lascia intravedere per una condizione umana gravemente compromessa ( i diseredati di oggi, consapevoli che non hanno nulla da perdere ? I più giovani che possono puntare, nel lungo periodo, ad un mutamento di rotta ? ) non per questo, andando a vedere " The square ", rischiamo di annoiarci o di rattristarci ulteriormente. Si tratta fondamentalmente di un dramma , ma che scivola spesso nella commedia e non pochi sono i momenti in cui si sorride o francamente si ride dinnanzi a situazioni di irresistibile umorismo. Proprio come nella vita , verrebbe fatto di dire. A contribuire a questo tono così variegato, ad un ben dosato cocktail di sensazioni e di emozioni , contribuiscono- l'abbiamo già detto - una regia mai invadente o declamatoria ed una recitazione , complessivamente, di livello assai buono. Ho visto solo l'edizione doppiata in italiano- di usuale, elevato livello professionale - ma ho ragione di ritenere che anche la versione originale lasci soddisfatti. Claes Bang, un attore danese, conferisce solido rilievo al non facile personaggio di Christian, il direttore del museo. Bene anche gli altri, compresi i giovanissimi. Menzione particolare, tra i comprimari, all'attrice americana Elizabeth Moss, che mostra un volto espressivo ( e non solo ) nell'interpretazione della giornalista.
Cosa manca, infine, al film per essere un capolavoro e per non restare invece solo ( ma non è poco ) tra i film interessanti di questa stagione e sicuramente da andare a vedere ? Probabilmente gli fanno difetto quelle immagini ( una breve sequenza, un volto, chessò ? ) che ci facciano intravedere- al di là dello stesso assunto del film - l'impronta del genio. Quei fotogrammi, quei brevi attimi di assoluta felicità creativa insomma, che ad un Rossellini o ad un Bergman o ai fratelli Dardenne hanno consentito di travalicare la stessa grave ed importante materia trattata e di assurgere alle vette sublimi dell'arte cinematografica. Ma non è certo un motivo per perdere l' occasione di vedere un film così coraggioso e convincente come questo e che quindi caldamente, ancora una volta, consiglio.
Lo " square " del titolo, è una piazza ma ,volendo, anche un quadrato in uno dei diversi significati di questo vocabolo. Ed è, nel film , il nome di una " installazione " ( quelle cose fatte di tubi, di luci o di materiali grezzi che ormai, nell'arte contemporanea , sempre di più prendono il posto delle vecchie tele o delle sculture ) che il protagonista, Christian, direttore del Museo Reale di Stoccolma, orgogliosamente presenta al pubblico per celebrare non ricordo più quale anniversario. Quella " opera d'arte ", nelle intenzioni dell'autore e dei committenti, dovrebbe simboleggiare " un luogo di amore e di fratellanza, aperto a tutti e dove tutti abbiano gli stessi diritti e gli stessi obblighi ". Insomma, una trasparente metafora del mondo cui aspiriamo e che alcuni ritengono addirittura sia già stato realizzato qui in Occidente o almeno nei ricchi ed egualitari paesi dell' Europa del Nord. Se non fosse che, complice la crisi economica di questi ultimi anni e soprattutto il progressivo inaridimento del sentimento di solidarietà, della tolleranza e del rispetto reciproco, resta un paradigma puramente ideale dal quale ci stiamo in realtà allontanando. Ed il tema centrale del film di Ostlund è proprio l'ipocrisia di una società, la nostra, che a parole predica bene ( l'onnipresente " politically correct " ! ) ma che, nella attività quotidiana, finisce con lo smentire clamorosamente il progetto verso cui si illude di tendere. Ecco allora, invece, l'aridità nei rapporti interpersonali, la paura e il pregiudizio nei confronti di coloro che non sono come noi (ad esempio intellettuali benestanti, magari con belle case, belle automobili e molti " gadget " che rassicurino una traballante identità ). E soprattutto, ci ricorda l'autore, la fuga dalle responsabilità individuali , una volta che si è trovato comodo delegare ad altri se non addirittura al gruppo - cioè in pratica a nessuno- il compito di difendere i nostri valori, indignarsi , reagire quando necessario. Altrettante situazioni che leggiamo agevolmente nei comportamenti del protagonista e che, complice un iniziale banalissimo episodio di un subìto furto con destrezza ( sì, anche nella civilissima Svezia ) conduce quest'ultimo ad una serie di scelte ( o non-scelte ) più sbagliate le une delle altre e che sconvolgeranno il suo " delizioso " tran-tran. Insomma, la " piazza " ( luogo di libertà, di incontro e di scambio ) rischia di trasformarsi in un sempice e chiuso " quadrato " , una gabbia nella quale prevenzioni ed oscuri timori, incomprensioni e mancanza di dialogo, minacciano di tenerci segregati gli uni nei confronti degli altri.
Che mondo ci siamo costruiti, sembra chiedersi polemicamente l'autore, questo mondo in cui vi è un così grande distacco tra i nostri buoni propositi ed una realtà fatta di indifferenza, di crescente divario tra i vari strati della società, di repressione dei nostri stessi sentimenti, in poche parole di mancanza di quell 'amore - laico o cristiano poco importa - che è l'unico lievito per una esistenza autenticamente serena e fruttifera ? Io non credo che il film di Ostlund sia , come qualcuno ha detto, una requisitoria nei confronti della " borghesia capitalista ". Può benissimo esistere,e non solo nei sogni , un capitalismo compassionevole e cosciente dei propri limiti come, per converso, un socialismo spietato e nemico dell'uomo ( che , del resto, abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi cento anni di storia ) . Penso invece che il significato del film sia altrove. Nella condanna, cioè, di una società meccanicistica, disumanizzata, fatta di tante stupide regolette ma - qualunque sia la formula politica in cui essa si iscriva - incapace di provvedere agli autentici bisogni degli esseri umani e di creare uno spazio di pacifica ed armoniosa convivenza. Mi confortano in questa percezione del significato del film le scene desolanti in cui viene mostrata l'incapacità del protagonista di stabilire un autentico rapporto da eguale ad eguale con le persone con cui entra in relazione ( la giornalista intervistatrice con cui ha una fugace avventura, l'assistente di colore, il ragazzino che si ritiene da lui diffamato, i suoi stessi figli ) e quelle , forti e quasi insostenibili nella loro durezza, in cui il mondo cui appartiene Christian è confrontato a sentimenti ed istinti genuini ancorchè " primitivi " e quindi dimenticati ( la lunga sequenza dell' aggressivo uomo scimmia al banchetto offerto dal museo ed ancora il confronto tra Christian stesso ed il ragazzino che gli chiede di riparare alle disastrose conseguenze della iniziativa da lui posta in essere per recuperare gli oggetti che gli erano stati sottratti nello scippo iniziale ). Ed in un siffatto contesto, la stessa arte- per accennare ad un importante " sottotema " del film - che era nata per dare conforto e dignità a noi umani, sembra aver ormai largamente abdicato alle proprie funzioni originarie.Se l'artista era prima un mediatore tra la società del suo tempo e le forze oscure e vitali della creazione, quasi sempre di immediata comprensione e fruibilità, oggi si è trasformato in un " performer " che si limita spesso a cogliere l' " aria che tira " e a riprodurla in forme talvolta oscure o risibili. Ne sono prova quelle " creazioni artistiche " che lo stesso Christian ospita nel proprio museo ma non sa bene nemmeno lui cosa vogliano dire e se abbiano un valore che trascenda la mera circostanza di essere conservate in quel luogo.
Non vorrei peraltro che i pochi lettori che mi seguono traessero da tutto questo l'impressione che si tratti di un film plumbeo, quasi disperato, un tantino deprimente. Se l'assunto è quanto mai serio e non molte sono le faglie di speranza che esso ci lascia intravedere per una condizione umana gravemente compromessa ( i diseredati di oggi, consapevoli che non hanno nulla da perdere ? I più giovani che possono puntare, nel lungo periodo, ad un mutamento di rotta ? ) non per questo, andando a vedere " The square ", rischiamo di annoiarci o di rattristarci ulteriormente. Si tratta fondamentalmente di un dramma , ma che scivola spesso nella commedia e non pochi sono i momenti in cui si sorride o francamente si ride dinnanzi a situazioni di irresistibile umorismo. Proprio come nella vita , verrebbe fatto di dire. A contribuire a questo tono così variegato, ad un ben dosato cocktail di sensazioni e di emozioni , contribuiscono- l'abbiamo già detto - una regia mai invadente o declamatoria ed una recitazione , complessivamente, di livello assai buono. Ho visto solo l'edizione doppiata in italiano- di usuale, elevato livello professionale - ma ho ragione di ritenere che anche la versione originale lasci soddisfatti. Claes Bang, un attore danese, conferisce solido rilievo al non facile personaggio di Christian, il direttore del museo. Bene anche gli altri, compresi i giovanissimi. Menzione particolare, tra i comprimari, all'attrice americana Elizabeth Moss, che mostra un volto espressivo ( e non solo ) nell'interpretazione della giornalista.
Cosa manca, infine, al film per essere un capolavoro e per non restare invece solo ( ma non è poco ) tra i film interessanti di questa stagione e sicuramente da andare a vedere ? Probabilmente gli fanno difetto quelle immagini ( una breve sequenza, un volto, chessò ? ) che ci facciano intravedere- al di là dello stesso assunto del film - l'impronta del genio. Quei fotogrammi, quei brevi attimi di assoluta felicità creativa insomma, che ad un Rossellini o ad un Bergman o ai fratelli Dardenne hanno consentito di travalicare la stessa grave ed importante materia trattata e di assurgere alle vette sublimi dell'arte cinematografica. Ma non è certo un motivo per perdere l' occasione di vedere un film così coraggioso e convincente come questo e che quindi caldamente, ancora una volta, consiglio.
Ho scritto ma é scomparso.....
RispondiEliminaCaro Paolo,
RispondiEliminaintanto grazie per condividere le tue impressioni e le emozioni che può dare un buon film.
Ho visto "the square" domenica scorsa, senza saperne granchè, seguendo l'invito di una coppia di amici che amano il cinema.
Sono rimasto colpito e, come succede per i film che lasciano il segno, continuo a ripensare alle tante scene, alle bellissime immagini contrapposte al sottile spessore umano del personaggio principale, Christian.
Di fronte a lui, il bambino che rivendica le scuse è un gigante!
Queste riflessioni post visione, unite alla condivisione e discussione con gli altri che hanno visto il film, hanno reso possibile una spiegazione di certe scelte del regista anche se ne restano oscure alcune.
Provo ad elencarle per per allargare la discussione e tentare di ottenere risposte.
La scena iniziale, in cui la statua equestre di bronzo cade per palese imperizia
La presenza del gorilla in casa della giornalista
La parte dell'"uomo primitivo" nel salone della festa (per me eccessivamente lunga)
La scena degli insulti sessisti nella conferenza con l'artista
contemporaneo
Che ne pensi tu? E voi seguaci del blog?
stefano
La statua che cade non so, il gorilla forse è l’anima bestiale che é dentro di noi, che appare quando Cristian é solo nella sua casa e solo a lui. Lo stesso appare nel salone della festa dove nessuno reagisce e si subisce la provocazione. Certamente le immagini rimangono negli occhi in modo superbo, confermo la mia ammirazione per il film. Penso che se ne parlerà a lungo. Francesca
RispondiEliminaCaro Paolo, mi è piaciuta molto la tua lettura e in particolare modo quella osservazione sulla delega come artificio inconcludente (utile, infine solo a sé stessi e quindi come anti-delega, in fin dei conti). Anche a me il lungo messaggio che il protagonista lascia in segreteria alla famiglia del malcapitato bambino è sembrato la migliore ’chiave’ per comprendere il film. Film che tuttavia ho interpretato come un discorso, quasi giuridico, sui 'contro limiti’: e cioè come un discorso sulle limitazioni alle limitazioni della sovranità espresse da un particolare ordinamento (il tempo presente).
RispondiElimina.
RispondiEliminaDunque, premetto però che non ho risposte per tutti i dubbi sollevati. Ma, e qui pongo io la domanda,è indispensabile alla nostra comprensione e al nostro godimento che , in un 'opera d'arte ( film, quadro, romanzo, poesia, brano musicale ) tutto ci risulti chiaro e si riesca a dare un senso compiuto a tutti gli aspetti , i particolari dell'opera stessa ? O ( senza portare , si intende, tutto questo all'estremo ) non dovremmo forse dare per scontato che l'autore possa anche sottoporre al nostro sguardo, al nostro orecchio, alla nostra riflessione critica,talune immagini, taluni suoni, financo talune parole, che non sono immediatamente identificabili come " coerenti " con il contenuto complessivo? Elementi che evidentemente l'autore ha " sentito " come necessari ed urgenti secondo il proprio personalissimo punto di vista- forse addirittura senza volerl loro attribuire un significato compiuto, di chiara decifrabilità - e che non stonano comunque con il " tema " ( cinematografico, narrativo, poetico, musicale ) dell'opera. Esempi di questo tipo , se ci pensiamo, sono rinvenibili in tante creazioni artistiche e su di essi poi si affaticano gli interpreti. Ma , ripeto, non penso che a tutto debba essere trovato una spiegazione razionale, purchè naturalmente la presenza di questi " punti oscuri " non stoni con il carattere dell'opera stessa ma anzi serva a rafforzare il particolare " clima" che l'autore intende creare.Venendo al caso concreto, non trovate che in un film sottilmente inquietante, beffardo e sconsolato come " The square " uno scimmione nel salotto ( vero od immaginario ) ci stia benissimo come ulteriore suggello dell'irrazionalità - ma anche della mancanza di sentimenti - che aleggiano disperatamente su tutto il film ?
Mi scuso per questa lunga premessa e, scimmione a parte , provo comunque a dare una risposta a taluno degli interrogativi di Stefano.
La statua di bronzo che cade nella sequenza iniziale potrebbe significare o la vanità di tutte le cose ( una statua eretta per celebrare un re o un condottiero e quindi per sfidare i secoli che cade miseramente per l'imperizia - o la malizia ? - dei posteri ) o anche la truce bestialità di chi fa tabula rasa del passato per sostituirvi un elemento di " contemporaneità ", anche risibile o di poco conto, come l'installazione pseudoartistica denominata appunto " The square " sulla piazza del museo .
L'uomo primitivo nella lunga scena del banchetto ( " insopportabile " perchè lo stesso spettatore , e non solo gli invitati sullo schermo, si debbono sentire a disagio, impauriti ed irritati al tempo stesso ) rappresenta secondo me la " primitività " dell'essere umano, almeno del maschio ( aggressivo e predatore ). Una primitività che la " civiltà " si è incaricata di circoscrivere, tenere a freno, sublimare, tutto quello che vi pare. Ma che non possiamo del tutto eliminare e che dovremmo essere disposti ad accettare ( pur controllandola ). Anche perchè è comunque migliore di tanta ipocrisia e perbenismo che rischiano di ottundere definitivamente le nostre capacità di reazione, di spontaneità e genuinità, quelle caratteristiche cioè che il protagonista , Cristian, ha perso completamente.
Sullo scimmione, credo di aver detto. Gli insulti sessisti non me li ricordo più molto bene, dopo due settimane. Ma la scena della conferenza stampa in cui Cristian viene letteralmente " scorticato " dai giornalisto " politically correct " è divertente e sconfortante al tempo stesso.
Concludo. Mi fa piacere che questo film abbia suscitato tanto interesse, anche necessariamente qualche perplessità. Prova che il cinema ( quello buono... )ha una forza evocativa e una capacità di porci degli interrogativi particolarmente robuste e salutari. Grazie a tutti e a risentirci !