Torno necessariamente, in questa puntata, su due bellissimi film che sono in questi giorni finalmente approdati sugli schermi di casa nostra e di cui , per chi mai se ne ricordasse, avevo in verità già parlato. Il primo, il russo " Loveless " ( titolo internazionale che, se non fossimo così supini all'invadenza dell'inglese, avrebbe potuto essere benissimo reso, da noi, con " Senza amore " ) venne presentato a Cannes - dove vinse il premio speciale della Giuria - e lo commentai nel mese di Giugno. Il secondo, il libanese "L'insulto " ( anche questo non è il titolo originale, ma almeno è in italiano ) è stato applaudito al'ultima rassegna cinematografica di Venezia, vincendo la coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile,e l'ho segnalato alla fine di settembre.
Se oggi sento la necessità di prenderli nuovamente in considerazione non è solo perchè " repetita iuvant " e vorrei stimolarvi a non perderli ( venendo da cinematografie poco amate dai nostri distributori ed esercenti c'è il rischio concreto che spariscano presto dal normale circuito ). Ma anche perchè , stante la loro caratura artistica ed i soggetti di bruciante attualità, questo mi permette di spezzare ancora una volta una lancia in favore di un cinema che, pur muovendo da una realtà ben precisa, fornito cioè di un solido retroterra politico-sociale, arrivi poi a verità, intuizioni, echi, di carattere meno contingente e più vicini agli interrogativi assoluti che spesso ci poniamo ( che senso ha la vita, questo conflitto permanente tra opposti interessi e sensibilità, e quale l'antidoto che può permetterci di conferire un minimo di ordine e di chiarezza ad un mondo sempre più complesso ed oscuro ? ).
Che poi, parliamoci chiaro, è perfino legittimo fermarsi all'aspetto realistico di un film , goderlo semplicemente per il ritratto che offre di una determinata situazione e non porsi troppe domande sul significato più nascosto che potrebbe o vorrebbe assumere. L'arte , e quindi il (buon ) cinema, è già sublime per ciò che rappresenta e per il modo con cui lo fa. Ma in realtà non credo vi sia opera che non abbia un secondo livello di lettura , di fruibilità. Che non abbia cioè, presa nel suo insieme, un significato " altro " e che vada più in profondo a colpire la nostra sensibilità, a scuoterci , a farci riflettere. I buoni, anzi qui occorre dire gli ottimi film, sono proprio quelli che riescono ad unire perfettamente i due aspetti. A farci apprezzare cioè una storia ben raccontata, con delle immagini incisive, un sicuro senso del ritmo, una buona recitazione. Ma poi, senza quasi che lo vogliamo, a trasmetterci un sentimento , delle emozioni che ci ricolleghino ai grandi problemi della vita, quella di sempre, indipendentemente quasi da quello scampolo di realtà che ci è stata mostrata sullo schermo. Non mi riferisco al mitico e abusato " messaggio " di cui nei vecchi cineclub andavamo alla ricerca , convinti che le opere "serie" ne dovessero tutte avere uno ( e dagli, allora, ad interpretare ogni più piccolo elemento dei film di Bergman o di Antonioni in chiave politica o filosofica ). No, qui mi voglio riferire all'istintivo, spontaneo moto dell'anima che lo spettatore prova, e non può non provare, assorbendo (non analizzando col solo raziocinio ) immagini, storie, personaggi di un film. Emozioni, anche forti, anzi fortissime, che lo pongono in comunicazione diretta - senza tanti arzigogoli - con il mondo poetico dell'autore e gli consentono di gioire o di soffrire con lui. Ed è quello che questi due film sui quali sto tornando oggi riescono ad ottenere con umile, sorprendente semplicità.
Prendiamo " Loveless ", per esempio. Ecco una vicenda di terribile, feroce " disamore " tra i componenti di una coppia che sta per divorziare e che si sbranano nel frattempo senza pietà, incuranti dei sentimenti di paura ed angoscia che così ingenerano nell' unico figlio appena adolescente, lacerato dalla prospettiva della loro separazione. Figlio che, non sostenendo più questo macigno che grava su di lui, ad un certo punto fugge di casa senza lasciare tracce che permettano di ritrovarlo. Il film è ambientato, come il precedente e bellissimo di Zvyagintsev, " Leviathan ", nella Russia di oggi, dove un relativo, improvviso ed aggressivo benessere si accoppia , per alcuni strati della popolazione, alla tradizionale deresponsabilizzazione e al vuoto spirituale della vecchia Unione Sovietica. Guardare questa coppia genitoriale e rabbrividire è tutt'uno. Belloccia, insaziabile divoratrice di piaceri dozzinali, lei. Imbelle, piagnucoloso ed ipocrita, lui che si tiene in caldo una futura seconda moglie che nell'attesa ha messo incinta. Impietoso quadro di una umanità senza ideali nè punti di riferimento, il film ci svela aggregazioni sociali dove all'indifferenza degli individui ed alla inefficienza dei poteri pubblici si uniscono, in preoccupante simbiosi, pulsioni autoritarie ( i soccorritori paramilitari che aiutano i coniugi nella infruttuosa ricerca del piccolo scomparso ) e tentativi di sterile scimmiottamento delle società più avanzate.
Ma il film è qualcosa di più - e qui vengo al punto - di una pur interessante e convincente critica della Russia post-sovietica. O di una descrizione , pur spietatamente accurata, di un sordido fallimento matrimoniale. " Loveless " scende più in profondità, facendo vibrare corde ancora più nascoste dell'animo umano, mettendoci di fronte - non è esagerato dirlo - al male. Sì, semplicemente l'antitesi del bene , cioè della mutua comprensione e della solidarietà che da quest'ultima discende. In poche parole- e qui il titolo è estremamente calzante - l'esatto contrario , anzi il nemico dell'amore tra gli esseri umani. Un mondo " senza amore " che, partendo dall'analisi della crisi di una coppia in una società spiritualmente vuota, assume significati universali e che si attagliano a tutta ( o a gran parte ) della condizione umana. " Leggere " il male, scoprirlo nei comportamenti dei nostri simili ed in quelli talvolta di noi stessi, non è mai operazione indolore. Qui la descrizione che fa Zvyagintsev della mancanza di amore ( sostituito spesso dal puro desiderio carnale spinto dall'egoismo o dall'interesse oppure da semplici rapporti di distante cortesia e di freddo " civismo " ) è semplice, lineare, chiarissima. In altre parole , cinematograficamente potente, tutta calata nelle immagini, nei volti e nei corpi dei protagonisti. Sceneggiatura di ferro, ritmo incalzante nel susseguirsi delle sequenze, interpretazione ottima. Gli ingredienti per fare un grande film ci sono tutti. Certo, non un 'opera "distensiva", Qualcosa, piuttosto, che scuote la nostra coscienza, che ci spinge ad interrogarci anche se le risposte non possono che essere necessariamente insoddisfacenti . Ma, ripeto, un grande film, che - nella giusta disposizione d'animo - converrebbe vedere.
Stesso discorso mi sento di poter fare per il film libanese , " L'insulto ". Il punto di partenza, potremmo dire, è un piccolo fatto di cronaca- tra l'altro ispirato ad una vicenda autentica - che più banale non si potrebbe : un " litigio di strada " tra il proprietario di un appartamento e il tecnico di una società incaricata dal comune di certi lavori pubblici a proposito di un tubo o di una gronda di scolo probabilmente non a norma. Il fatto, in sè, sarebbe - ripeto - di scarsissimo rilievo ma il contesto locale e la condizione dei due contendenti si incaricano subito di smentirci. Siamo infatti nel Libano di oggi , autentico crocevia di civiltà e soprattutto religioni diverse. Religioni , quella cristiano-maronita e quella musulmana - scita , che dettero luogo, nel 1975, ad una sanguinosa guerra civile durata vent'anni e che ha lasciato strascichi nelle coscienze della popolazione, aggravata dalla presenza, non certo neutrale, di una folta comunità di profughi palestinesi in grandissima parte musulmani anch'essi. E si dà il caso che il bollente proprietario, di professione meccanico di automobili, sia un fervente sostenitore del partito- nazionalista e destrorso - che sostiene la componente cristiana del Paese. Mentre l'apparentemente più mite tecnico stradale, in realtà rancoroso e frustrato, sia uno di quei profughi palestinesi che le autorità libanesi, dopo la fine della guerra civile, cercano di blandire per evitare nuove e pericolose frizioni anche se in realtà li disprezzano e non ne favoriscono l'integrazione. Accade quindi che, dietro la banalità del litigio (iniziato con un insulto ed una aggressione fisica del musulmano nei confronti del cristiano ) si schierino gli appartenenti all'uno e all'altro schieramento, soffiando sul fuoco della disputa e rischiando ( il caso nel frattempo è approdato in tribunale e gode di vasta pubblicità ) di appiccare nel Paese un incendio di ben più vaste proporzioni.
Riflettori sul Mediterraneo contemporaneo, divisioni apparentemente insanabili tra due comunità contrapposte. Ci sono gli ingredienti giusti, dal punto di vista cinematografico, per fare una bella storia di rivalità e di rancore. Un film schiettamente " politico ", sulla scia di certi film coraggiosi del passato ( quelli di Francesco Rosi, ad esempio o , in chiave minore, di Costa- Gavras ). E "L'insulto ", in gran parte, è certamente tutto questo. Ti fa capire benissimo quali sono i termini del problema , non si schiera con nessuna delle due parti ma non nasconde ragioni e torti degli uni e degli altri. Mostra i protagonisti nel loro immediato retroterra familiare e sociale, avanza con ritmo e tecnica narrativa propri di un buon film americano d'azione , senza i fronzoli e i piccoli lenocini di troppo cinema ideologico e moraleggiante oggi sugli schermi. E' vero e spietato quando occorre, delicato e sottile nel suo assunto più sotterraneo. Ed è proprio qui , nel suo significato " ultimo ", che il film si stacca decisamente dalla materia cronachistica per elevarsi ad una prospettiva più ampia e capitale, al tema cioè dell'odio che è purtroppo nella natura umana e all'amore , alla solidarietà ed alla pietosa, reciproca comprensione tra le persone che ne sono l'unico antidoto. Il film non ha nè potrebbe avere, propriamente parlando, un lieto fine , quell' ingenuo " embrassons- nous " che avremmo forse desiderato. Ma, certamente, mostra una presa di coscienza nei personaggi principali che prima faceva loro difetto. E', potremmo dire , un itinerario doloroso e necessario : verso che cosa non sapremmo dire, ma che le cose si muovano e non, per fortuna, nel senso dello scontro feroce è già un grande risultato.
Cinema di grande levatura, sceneggiatura densa ma coesa, regia sorvegliata eppur ricca di immaginazione , recitazione superba ( gli arabi, diremmo quasi questi napoletani del Vicino Oriente ). Andate a vedere " L'insulto " e vi rifarete dalle nequizie e dai facili tremori di cento " Gomorre " e " Suburre " oggi imperanti. Vita vera eguale cinema vero. In fondo la grande lezione del neoralismo, rivissuta e corretta dal cinema d'oltre oceano degli anni '60 - '70 . E scusate se è poco.
Ma il film è qualcosa di più - e qui vengo al punto - di una pur interessante e convincente critica della Russia post-sovietica. O di una descrizione , pur spietatamente accurata, di un sordido fallimento matrimoniale. " Loveless " scende più in profondità, facendo vibrare corde ancora più nascoste dell'animo umano, mettendoci di fronte - non è esagerato dirlo - al male. Sì, semplicemente l'antitesi del bene , cioè della mutua comprensione e della solidarietà che da quest'ultima discende. In poche parole- e qui il titolo è estremamente calzante - l'esatto contrario , anzi il nemico dell'amore tra gli esseri umani. Un mondo " senza amore " che, partendo dall'analisi della crisi di una coppia in una società spiritualmente vuota, assume significati universali e che si attagliano a tutta ( o a gran parte ) della condizione umana. " Leggere " il male, scoprirlo nei comportamenti dei nostri simili ed in quelli talvolta di noi stessi, non è mai operazione indolore. Qui la descrizione che fa Zvyagintsev della mancanza di amore ( sostituito spesso dal puro desiderio carnale spinto dall'egoismo o dall'interesse oppure da semplici rapporti di distante cortesia e di freddo " civismo " ) è semplice, lineare, chiarissima. In altre parole , cinematograficamente potente, tutta calata nelle immagini, nei volti e nei corpi dei protagonisti. Sceneggiatura di ferro, ritmo incalzante nel susseguirsi delle sequenze, interpretazione ottima. Gli ingredienti per fare un grande film ci sono tutti. Certo, non un 'opera "distensiva", Qualcosa, piuttosto, che scuote la nostra coscienza, che ci spinge ad interrogarci anche se le risposte non possono che essere necessariamente insoddisfacenti . Ma, ripeto, un grande film, che - nella giusta disposizione d'animo - converrebbe vedere.
Stesso discorso mi sento di poter fare per il film libanese , " L'insulto ". Il punto di partenza, potremmo dire, è un piccolo fatto di cronaca- tra l'altro ispirato ad una vicenda autentica - che più banale non si potrebbe : un " litigio di strada " tra il proprietario di un appartamento e il tecnico di una società incaricata dal comune di certi lavori pubblici a proposito di un tubo o di una gronda di scolo probabilmente non a norma. Il fatto, in sè, sarebbe - ripeto - di scarsissimo rilievo ma il contesto locale e la condizione dei due contendenti si incaricano subito di smentirci. Siamo infatti nel Libano di oggi , autentico crocevia di civiltà e soprattutto religioni diverse. Religioni , quella cristiano-maronita e quella musulmana - scita , che dettero luogo, nel 1975, ad una sanguinosa guerra civile durata vent'anni e che ha lasciato strascichi nelle coscienze della popolazione, aggravata dalla presenza, non certo neutrale, di una folta comunità di profughi palestinesi in grandissima parte musulmani anch'essi. E si dà il caso che il bollente proprietario, di professione meccanico di automobili, sia un fervente sostenitore del partito- nazionalista e destrorso - che sostiene la componente cristiana del Paese. Mentre l'apparentemente più mite tecnico stradale, in realtà rancoroso e frustrato, sia uno di quei profughi palestinesi che le autorità libanesi, dopo la fine della guerra civile, cercano di blandire per evitare nuove e pericolose frizioni anche se in realtà li disprezzano e non ne favoriscono l'integrazione. Accade quindi che, dietro la banalità del litigio (iniziato con un insulto ed una aggressione fisica del musulmano nei confronti del cristiano ) si schierino gli appartenenti all'uno e all'altro schieramento, soffiando sul fuoco della disputa e rischiando ( il caso nel frattempo è approdato in tribunale e gode di vasta pubblicità ) di appiccare nel Paese un incendio di ben più vaste proporzioni.
Riflettori sul Mediterraneo contemporaneo, divisioni apparentemente insanabili tra due comunità contrapposte. Ci sono gli ingredienti giusti, dal punto di vista cinematografico, per fare una bella storia di rivalità e di rancore. Un film schiettamente " politico ", sulla scia di certi film coraggiosi del passato ( quelli di Francesco Rosi, ad esempio o , in chiave minore, di Costa- Gavras ). E "L'insulto ", in gran parte, è certamente tutto questo. Ti fa capire benissimo quali sono i termini del problema , non si schiera con nessuna delle due parti ma non nasconde ragioni e torti degli uni e degli altri. Mostra i protagonisti nel loro immediato retroterra familiare e sociale, avanza con ritmo e tecnica narrativa propri di un buon film americano d'azione , senza i fronzoli e i piccoli lenocini di troppo cinema ideologico e moraleggiante oggi sugli schermi. E' vero e spietato quando occorre, delicato e sottile nel suo assunto più sotterraneo. Ed è proprio qui , nel suo significato " ultimo ", che il film si stacca decisamente dalla materia cronachistica per elevarsi ad una prospettiva più ampia e capitale, al tema cioè dell'odio che è purtroppo nella natura umana e all'amore , alla solidarietà ed alla pietosa, reciproca comprensione tra le persone che ne sono l'unico antidoto. Il film non ha nè potrebbe avere, propriamente parlando, un lieto fine , quell' ingenuo " embrassons- nous " che avremmo forse desiderato. Ma, certamente, mostra una presa di coscienza nei personaggi principali che prima faceva loro difetto. E', potremmo dire , un itinerario doloroso e necessario : verso che cosa non sapremmo dire, ma che le cose si muovano e non, per fortuna, nel senso dello scontro feroce è già un grande risultato.
Cinema di grande levatura, sceneggiatura densa ma coesa, regia sorvegliata eppur ricca di immaginazione , recitazione superba ( gli arabi, diremmo quasi questi napoletani del Vicino Oriente ). Andate a vedere " L'insulto " e vi rifarete dalle nequizie e dai facili tremori di cento " Gomorre " e " Suburre " oggi imperanti. Vita vera eguale cinema vero. In fondo la grande lezione del neoralismo, rivissuta e corretta dal cinema d'oltre oceano degli anni '60 - '70 . E scusate se è poco.
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