giovedì 2 novembre 2017

" VITTORIA E ABDUL " di Stephen Frears ( Regno Unito, 2017 )

Tra i film attualmente in programmazione, questo " Vittoria e Abdul " mi è sembrato così, ad occhio e croce, uno che andandolo a vedere non potesse poi  deluderci del tutto . Anzi, che fosse perfino in grado di riappacificarci con un cinema di qualità ma  senza troppe ambizioni ( non si può  mirare sempre a fare il capolavoro di cui parleranno un giorno le storie del cinema ) e con il regista, il britannico Stephen Frears. Forse ricorderete che costui ci deluse, lo scorso anno,  col ruffianesco e mal riuscito "Florence ", la storia della miliardaria che si ostinava a credere di essere una grande cantante, interpretato (ahimè) da una eccessiva Merryl Streep. Autore particolarmente interessante a cavallo tra gli anni '80 e '90, libero e corrosivo , si è poi lasciato riassorbire dal cinema più commerciale, continuando a darci , quà e là , qualche titolo interessante  ( " The Queen " , " Tamara Drewe " ). Fino all'infortunio  di " Florence " appunto, dove alle prese con una  " success story " tipicamente americana, con due attori  che gli avevano troppo preso la mano ( a dar la replica alla Streep era il bolso Hugh Grant ) Frears non è stato capace di tirarne fuori un film autenticamente personale : solo un pallido " divertissement ", insomma, che mal sfruttava un soggetto tutt'altro che scialbo e che nelle mani di un regista di casa - un Clint Eastwood ad esempio - sarebbe forse  diventato una storia interessante, non priva di evidenti risvolti drammatici.
Mi attirava poi il fatto di vedere, ancora una  volta in un film di Frears, la più grande attrice inglese,   "Dame " Judi Dench, oggi ottantatreenne ma sulla breccia più che mai. Una garanzia, si capisce. E poi, terza ed ultima ragione per andare abbastanza sul sicuro con questo " Vittoria ed Abdul ", il fatto che al centro della vicenda c'è un personaggio come la Regina Vittoria, con la quale proprio la Dench si era già misurata alcuni anni or sono. Un grande monarca, che ha regnato su un autentico impero per quasi sessantaquattro anni e che ha dato il suo nome ad una intera epoca che si voleva ispirata da forti valori morali e che propiziò l'ascesa, quasi dovunque in Europa,  della borghesia produttiva. Un tipetto oltretutto abbastanza tosto, capace di confrontarsi con le  altre teste coronate della sua epoca e con la stessa corte d' Inghilterra, non proprio un giardino d'infanzia.

Qui la trama è, ancora una volta, una storia vera. Una storia  già nota a suo tempo ma che la scoperta, pochi anni or sono, dello scambio epistolare  avvenuto  tra Vittoria  e questo Abdul, un giovane indiano mussulmano diventato cameriere ed in seguito segretario particolare e confidente della regina  ultrasessantenne ( siamo nel 1987, l'anno del giubileo del suo regno )  ha arricchito di nuovi particolari permettendo di meglio caratterizzarla. Proiettato un pò dalla mera casualità e un pò dal suo spirito di intraprendenza a stretto contatto con la sovrana, Abdul riesce ad attrarre prima la curiosità di costei per il mondo culturalmente così diverso da cui egli proviene . Poi a far nascere nei suoi confronti, sempre da parte di Vittoria, un complesso sentimento   che oscilla da una specie di protettivo paternalismo ad una vera e propria dipendenza psicologica cui non è estranea probabilmente , ancorchè rimanga inespressa, una forma  di attrazione fisica e , conseguentemente , di natura sentimentale. Ormai personaggio imprescindibile dello stretto " entourage " della regina, Abdul  diviene inevitabilmente il bersaglio dell'astio e dell'invidia  degli altri membri della Casa reale i quali cercano di disfarsi di lui con tutti i mezzi più o meno leciti. Vittoria resisterà peraltro a tutte le pressioni volte ad allontanare Abdul e lo terrà con sè fino alla sua morte, avvenuta quindici anni dopo. L'attrazione reciproca ed il frastagliato rapporto tra i due , cementato dal desiderio di evasione di una donna stanca dei vincoli cui è assoggettata per i doveri del suo stato e, per converso, dallo spirito di avventura di un giovane straniero, povero ed ambizioso, avranno dunque avuto partita vinta sulle regole di un mondo ingessato nelle sue forme e nei suoi pregiudizi.

Libertà e costrizione. Sono questi i due poli, l'alfa e l'omega tra cui si muove una vicenda senza dubbio affascinante e ricca di chiaroscuri. Vi è dentro lo stato d'animo di una donna non più giovane, rimasta vedova e sola negli affetti più elementari, l'attrazione tra due esseri così  diversi, l'esotismo di un mondo colonizzato ma ricco di una prorompente spiritualità, il fascino che esercitava indubbiamente il dominio britannico sui sudditi di paesi lontani ( Abdul è galvanizzato, all'inizio del film, dall'idea di  poter andare in Inghilterra per consegnare una medaglia commemorativa a colei che è anche imperatrice dell' India ). Nasce così, tra i due personaggi della vicenda, un sentimento che acquista forza crescente man mano che il nuovo vincolo di amicizia si precisa sempre di più. Una amicizia, sia pure diseguale, che sorta inizialmente , nell' animo della sovrana, come curiosità e  quasi capriccio da soddisfare , trova dall'altra parte una reazione di riconoscenza e di affetto per vedersi elevato ad un ruolo così prominente. Sentimenti cui peraltro non è estraneo -  come riusciamo ad intravedere -  un umanissimo calcolo di convenienza sociale ed economica che conferisce al personaggio di Abdul  un pizzico di ambiguità e di cinismo che sfugge alla stessa Vittoria.
Ed è qui che il film , godibilissimo nella descrizione dell'ambiente reale, con un Frears tornato caustico ed irriverente quanto basta, avrebbe potuto arricchirsi di una ulteriore ed ancora più coinvolgente dimensione, se gli sceneggiatori ed i registi lo avessero voluto. Vittoria ed Abdul, prigionieri l'una dei riti della Corte e l'altro della sua condizione di suddito colonizzato, cercano entrambi nel loro legame la possibilità di sfuggire alle imposizioni, di  autodeterminarsi, di vivere il destino cui si si sentono sollecitati. Ma così facendo si affidano, in un certo senso, ad una nuova costrizione che li rende psicologicamente e materialmente dipendenti l'una dell'altro e quindi , irrisoriamente, non più liberi di quanto non fossero prima. Suprema ironia - verrebbe fatto di dire - della condizione umana che più cerca di sbarazzarsi dei suoi  condizionamenti e più ricade in nuove forme di sudditanza. Tema,  come vedete, che era già  " in re ipsa", nel legame così singolare che si stabilisce tra i due personaggi, ma che il regista ha solo sfiorato, pago probabilmente della buona, puntuale  trattazione  dell'ossatura centrale, diciamo così , della vicenda  e della pittura d'ambiente, come dicevo, sempre vivida e accattivante per lo spettatore . Il Frears di trent'anni fa probabilmente avrebbe scavato più a fondo. Quello di oggi si accontenta di rimanere alla superficie, peraltro perfettamente levigata e resa scintillante dalla mano  di un professionista consumato.


Se questa è la ( piccola ) riserva di fondo che mi sento di fare ad un film  che , almeno nella seconda metà, cade a tratti in un eccesso di sentimentalismo  ed appare un pò troppo " politically correct ", assolutamente evidenti sono comunque i suoi non pochi meriti . A cominciare da una fluidità di narrazione, specie nella prima parte,  che va tutta accreditata al  regista. Si vedano le scene dell'arrivo presso la Corte inglese  di Abdul e del suo compagno grassottello, la sequenza del banchetto reale durante il quale avviene l'incontro tra Vittoria ed il suo futuro confidente indiano ( un capolavoro , questa, di intreccio tra piani medi, primi piani e piani lunghi  che " spiegano " molto meglio di qualunque dialogo ). Si scorge qui l'abilità - e perchè no l'ispirazione - di un vero uomo di cinema. Continuando, la cura con cui sono stati arredati gli ambienti in cui si svolge la vicenda, la magnificenza e la precisione dell'abbigliamento costituiscono particolari di grande importanza in un film che voglia porsi come una fedele ricostruzione di un'epoca , non per sfuggire al suo assunto principale  ma per cogliere meglio le implicazioni di carattere storico-ambientale che quel nucleo centrale, quel " focus " del film ( il legame che si stabilisce tra due esseri tanto diversi ) fanno emergere con ancora maggiore evidenza drammatica . Per concludere poi con l'interpretazione, davvero superlativa. Qui , a differenza che in " Florence ", Frears ha avuto la fortuna di avvalersi di un'attrice molto sorvegliata nell'incarnare un personaggio che pur si sarebbe prestato a  qualche deprecabile  gigioneria . L'interpretazione della Dench è un miracolo di sottigliezza,  orgoglio e malinconia, illusione e disincanto di un personaggio regale che è prima di tutto una donna sola e destinata, fondamentalmente, ad essere ingannata, l'epitome della condizione femminile stessa di quegli anni, che si nascesse regina o semplice borghese. A Dame Judi basta socchiudere gli occhi, piegare leggermente il capo, accennare una frase ( che splendida voce, andate, se potete, a vedere il film in versione originale ) per evocare tutto un mondo, tutta una gamma di sentimenti che richiederebbero molti maggiori sforzi ed impegno da parte di regista ed interprete se non ci fosse lei, con la sua meravigliosa capacità di calarsi perfettamente nel personaggio, senza nulla togliere e nulla aggiungere. Mirabile Judi ! Ce la farà questa volta a conquistare l' Oscar per la migliore interpretazione da protagonista che le sfugge da tempo ?. Ne prese uno, quasi vent'anni fa, come " best supporting actress ", per " Shakespeare in love ". Sarebbe ora che ne avesse uno che suggellasse in modo degno una carriera esemplare.       



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