giovedì 5 ottobre 2017

" " L'INSULTO " di Ziad Doueiri ( Libano, 2017 ) " LES BIENHEUREUX " di Sofia Djama ( Algeria, 2017 ) " LE FIDELE " di Michael Roskam ( Belgio , 2017 )

Tre film della imperdibile rassegna  milanese " Le vie del cinema ", visti la settimana scorsa,  mi inducono a qualche riflessione sulla qualità di alcune cinematografie " marginali ", tali cioè rispetto a quelle imperanti sul  mercato ( voglio dire l'americana,  la francese  e, visto che siamo in Italia, quella di casa nostra ). Sono tutte e tre opere che si giovano  di capitali e, talvolta,  di contributi tecnici di una cinematografia maggiore,  in questo caso la francese. Ma sono,in massima parte, frutto di  idee, di esperienze di vita vissuta e di contesti artistici  genuinamente autoctoni. Libano, Algeria , Belgio. Ecco tre Paesi, tre situazioni ambientali non prive di problemi. A cominciare da quelli linguistici e di " identità " nazionale , relativamente al primo e all'ultimo. Per andare poi a quelli politici, religiosi e di sicurezza interna , prevalenti nella ancor giovane repubblica magrebina. Sulla carta, sono  tutte situazioni quanto mai interessanti.
Il cinema, lo abbiamo sostenuto altre volte, ha il diritto di affrontare o anche solo sfiorare temi di una maggiore consistenza " civile " o francamente politica che non quelli più "personali ", ad esempio i classici rapporti di coppia o di ambito familiare ( tutt'altro  che trascurabili, questo va da sé,  per i loro potenziali connotati drammatici e che ci hanno spesso dato opere memorabili ) . Deve farlo però non da semplice " comiziante ", se mi permettete il termine un tantino desueto ma che spero renda l'idea. Piuttosto da artista, preoccupandosi cioè di rivestire le proprie idee - condivisibili o meno , giuste o sbagliate che possano sembrarci - di una forma autenticamente " cinematografica ". Che soddisfi cioè i nostri sensi, non solo la nostra mente, e giustifichi quindi il fatto di essere andati al cinema invece di essere rimasti a casa a leggere un libro o un articolo di giornale.  Con questo voglio dire che un film, come qualunque opera d'arte, può avere un contenuto, di per sè,  intellettualmente attraente e stimolante quanto si vuole. Ma poi bisogna saper fornire a questo contenuto una veste consona al mezzo con il quale vogliamo trasmetterlo all'esterno. E che, sempre nel caso del cinema, arte eminentemente visiva, richiede maturità espressiva e capacità di dare vita ad una creazione che si regga sulle proprie gambe grazie alle cose che " mostra " e non solo a quelle che " dice ".

Fortunatamente per noi spettatori è, proprio in pieno, il caso dei primi due film in argomento, il libanese e l'algerino.  Diretti da registi che per varie ragioni, personali ed artistiche, passano entrambi buona parte della loro esistenza all'estero, in particolare in Francia, ma non per questo non riflettono fedelmente lo stato delle cose dei loro rispettivi Paesi di origine. Direi anzi che, come succede talvolta per molti " esiliati ", volontari o meno, il loro coinvolgimento spirituale negli ambienti e nelle situazioni da cui sono fisicamente lontani è ancora più forte di quello di chi ci vive in mezzo tutto il tempo.
" L'insulto " è scritto e diretto da Ziad Doueiri. Non più giovanissimo ( 53 anni ) ha già al suo attivo almeno due o tre lungometraggi, visti nei festival ma che hanno circolato poco nel circuito commerciale. Il suo modo di fare cinema è  influenzato, con tutta evidenza,  dai film d'azione americani. Diplomato in California, assistente e operatore  in passato di Quentin Tarantino , Kubrick  è per lui un'altra fonte di ispirazione , considerando il vigore polemico del suo approccio all'argomento trattato e la forza delle immagini cui fa ricorso. Ma chissà che non abbia visto, per venire ad influenze più mediterranee, anche i film di Costa- Gavras sulla Grecia dei colonnelli e quelli del nostro Francesco Rosi degli anni '60-70 ( " Le mani sulla città ", " Lucky Luciano " , " Il caso Mattei " ).  Il suo, insomma, è cinema sanguigno ma politicamente avvertito, improntato a valori di mutuo rispetto e di solidarietà contro tutti i settarismi, religiosi e politici, che da sempre minano la pace e i delicati equilibri di una tormentata regione come il Medio Oriente. Mussulmano di origine, ha sempre contestato - tra l'altro - la situazione di non guerra e non pace del proprio Paese nei confronti di Israele, posizione abbastanza scomoda e invisa all'ufficialità del Libano. Nel settembre di quest'anno è stato perfino brevemente arrestato ( poi rilasciato ) al ritorno in patria da Venezia per aver girato il suo precedente film proprio in Israele contravvenendo così al divieto per i cittadini libanesi di viaggiare  in quel Paese. Situazioni che per noi possono sembrare difficili da accettare ma che in quella regione sono purtroppo all'ordine del giorno.

La trama è molto semplice. Il punto di partenza è un banale litigio di strada come  ne potrebbero avvenire dovunque ( insulti e percosse ) tra un focoso meccanico e un capomastro che, sotto casa sua,  stava eseguendo certi lavori  per conto del comune. Il litigio finisce addirittura per due volte in tribunale tra l'imbarazzo dei giudici che non sanno bene,nella circostanza, come dividere la ragione dal torto. Già, anche perchè siamo nel Libano che ancora sconta la tragedia di una guerra civile quasi ventennale tra milizie " cristiane " da un lato, mussulmani e palestinesi dall'altro. E perchè si da il caso che il meccanico sia un fervente sostenitore del partito cristiano ed il suo antagonista un  orgoglioso rifugiato palestinese. Materia incandescente, capirete bene, per un ambiente così facile al continuo rinnovarsi degli odi settari. Ci si mettono quindi anche la politica ed i media a cavalcare le emozioni delle due opposte fazioni, fino alla decisione finale dei giudici che qui non vi dirò. Mi rendo conto che così riassunto il film può lasciare un tantino dubbioso un potenziale spettatore occidentale abituato a sapori più forti e a vicende più sottili ed articolate. Sarebbe però un vero peccato tralasciare un film che non solo vi fa capire in poco più di novanta minuti quali sono le passioni che agitano quella bella e sfortunata regione meglio di tanti saggi che potreste aver letto in argomento. Ma che , soprattutto, è una vera lezione di cinema. Drammatico, teso, girato con mano esperta da un regista che sa il fatto suo, autore anche della sceneggiatura ( finalmente una che sia  convincente nello sviluppo narrativo) " L'insulto " è interpretato da attori sorprendenti per tipologia umana e capacità recitativa, a cominciare  da Kamel El Basha che interpreta il palestinese e che, per questo,  ha avuto il premio a Venezia. Ma sono tutti bravi. Menzione particolare per l'istrionico attore che interpreta l'avvocato difensore del meccanico e per la bellissima  Rita Hayek che fa ( con apprezzabile intensità ) la parte della moglie del meccanico. A questa flessuosa bruna mediterranea, già celebre in Libano, sembra facile- tra l'altro - pronosticare una bella carriera anche all'estero.

Con  " Les Bienheureux " ( titolo evidentemente ironico, che noi potremmo tradurre con " Beati e contenti " ) Sofia Djama ci trasferisce in Algeria . Dal Medio Oriente al Magreb, dunque, un salto di qualche migliaio di kilometri. Ma la situazione politica presenta qualche analogia con quella descritta ne " L'insulto ". Traumatizzate da una  sanguinosa rivolta terroristica a sfondo islamico-integralista durata più di quindici anni e che ha richiesto una repressione altrettanto violenta, le autorità - un tempo fiere della struttura laica del loro Stato - non sembrano oggi contrastare a sufficienza una nuova e strisciante deriva a sfondo religioso della società algerina. Persistente autoritarismo pubblico e perdurare di una arretrata mentalità  nei rapporti familiari creano un'atmosfera soffocante che induce alcuni, giovani e meno giovani, a prendere in considerazione la "fuga " all'estero come unica soluzione. Un paese un tempo orgoglioso di essersi liberato da solo del giogo coloniale, imbevuto di ideali solidaristici, dubita ormai di sè stesso e sembra bloccato nel suo sviluppo civile e sociale. Questa la tela di fondo sulla quale  la regista ( qui anche autrice di una sceneggiatura nel complesso coesa e coerente )  colloca la vicenda del film . Vicenda attraversata da tensioni ed incomprensioni familiari e interpersonali ma anche da momenti di tenerezza, di abbandono, di speranza venata da sconforto per un passato che non può tornare e da timore per un futuro ricco di incognite. Questo registro così vario e ricco di sfumature, difficile da modulare con piena padronanza per una regista esordiente ( Djama è al suo primo film ) viene invece utilizzato con maestria , senso del ritmo cinematografico, giustezza di accenti. Ne esce non solo un ritratto interessante di un Paese in fondo poco conosciuto ma anche uno " spaccato " familiare e sociale molto accattivante nella sua convincente descrizione e che si guarda con piacere e sincera partecipazione emotiva. Grande merito va, anche qui, non solo alla regista ma ai bravissimi interpreti, tutti molto espressivi. Menzione particolare alle due interpreti femminili ( le donne sono la vera speranza del mondo arabo, suprema ironia per un mondo ancora in gran parte maschilista... ) e cioè la giovanissima Lyna Koudri ( la ragazza amica del poliziotto ) e la splendida, solare Nadia Kaci ( la moglie del medico ). Davvero un film che emoziona e fa riflettere al tempo stesso. Libano, Algeria : sono davvero così lontani dalla nostra prospettiva o quelle storie e quei personaggi non hanno forse qualcosa da dire anche a chi abita sulla sponda opposta del Mediterraneo?

Situazione completamente diversa per " Le fidèle " di Michael Roskam, l'ultimo film di cui parliamo oggi.Qui siamo in Belgio, il ricco, gaudente Belgio che nuota ancora spesso nel benessere, la spensieratezza, il soddisfacimento dei sensi. Ma Anche il Belgio del malessere sociale crescente, dell'ipocrisia e del crimine. Un Paese molto meno scontato di come ce lo presentano i dépliants turistici e che, in fondo,  aspetta ancora il suo Bunuel o il suo Losey per essere raffigurato al cinema con  tutte le sue luci e le sue ombre. Un Paese che tutti conosciamo almeno attraverso la capitale, Bruxelles. Tra l'altro una città " cinematografica " come poche, con la sua particolare atmosfera, le case sofisticate, l'abbondanza di parchi e di giardini.  Ero andato  a vedere il film sperando di rivedere almeno tutto questo, dopo tanto mondo arabo di oggi splendidamente reso sullo schermo. Niente di ciò, purtroppo : amara delusione quindi per un film che , ancorchè ambientato a Bruxelles e immediati dintorni, potrebbe esserlo sulla luna senza che avessimo a stupircene. Trama e personaggi sembrano collocati in uno spazio asettico, privo di connotati di immediata riconoscibilità, tanto da suffragare la tesi un pò cattiva di chi sostiene che il Belgio, alla fin fine , è solo "un grande incrocio autostradale". Non sto a raccontarvi la trama per non deprimervi. Siamo in pieno nel fumetto ( quello alla " Diabolik", ma lì almeno i disegni erano migliori ) anche se il regista , autonobilitandosi, preferisce parlare di " melodramma ", credo senza capire di cosa stia  parlando.  Cafoni arricchiti, corse automobilistiche ( che ci regalano sequenze stucchevoli e risapute, senza alcuna valenza ai fini della vicenda ) delinquenti dal cuore tenero, ragazze disinibite e sventatelle, sparatorie e grandi lacrime. Il tutto senza coerenza narrativa ( ahi quei registi che non sanno scrivere i loro film ! ) e scarsa preoccupazione estetica ( l'uso troppo frequente dei primi piani e dei piani ravvicinati è per lo più sbagliato o inespressivo ). Insomma , un pasticcio incredibile che regala a " Le fidèle " ( " fedele " non so a chi, " infedele"  però al cinema appena decente e ai diritti degli spettatori ) la palma di peggior film del 2017 tra quelli che mi è capitato di vedere. Peccato davvero. Se questo fosse un esempio probante di "cinematografia belga " ci sarebbe da che essere preoccupati per il destino artistico del Reame ( per fortuna qualche discreto regista, fiammingo o vallone , esiste ). Pensando ad una delle caratteristiche che più colpiscono il visitatore quando mette piede per la prima volta a Bruxelles, cioè il bilinguismo quasi paritario ( in una città peraltro per più di due terzi assolutamente francofona ) c'è un solo momento simpatico in tutto il film .  Quello quando il rapinatore in banca , prima di impartire i suoi perentori ordini alla spaventata cassiera, si informa, " politically correct, " in quale delle due lingue  preferisce ascoltarli : "francais ou flamand ? " ( " francese o fiammingo " ? ). Un briciolo di forse involontario umorismo che è anche la spia della circostanza che no, non siamo sulla luna ma in Belgio, anno di grazia 2017. Pasticciata la regia, poco credibile la sceneggiatura, anche l'interpretazione è scarsa . Matthias Schoonaerts  mi è sembrato non all'altezza di un personaggio che dovrebbe essere il fulcro della vicenda . Adèle Exarchopoulos, strappata alle vicende pruriginose de " La vita di Adele ", è solo una bambinona inespressiva e leggermente sovrappeso. Temo che il film , visto che c'è un pò di sesso e un pò di violenza, non faticherà troppo, qui da noi, a trovare un distributore. E " L'insulto " e i " Bienheureux " ( qualunque sia il titolo che vorranno dargli)  ce la faranno ad arrivare sui nostri schermi ? Chi vivrà vedrà.

4 commenti:

  1. Ciao Paolo come stai? Spero che L' insulto passi nelle sale bresciane. Dopo la stupenda esperienza di lavoro in Libano non perdo un film che mi riporti a quel mondo. Un abbraccio. Alessadra

    RispondiElimina
  2. Alessandra, sai che ho pensato a te quando ho visto il film ? Fortunata te che hai vissuto quell'esperienza libanese ! Come avrei voluto andarci anch'io ! I libanesi ( cristiani e mussulmani ) mi sono piuttosto simpatici e penso che il loro Paese sia una specie di ( forzato ) laboratorio, con qualche successo e non pochi fallimenti, di un complesso " vivre ensemble " cui, anche in Europa, saremo sempre di più confrontati in avvenire. Se non lo facessero a Brescia , ti avvertirò per vederlo a Milano. Ma non lo do per certo...

    RispondiElimina
  3. Pomeriggio di natale al cinema. Ho finalmente visto l'insulto che mi è veramente piaciuto. Impeccabile come sempre il tuo commento. Credo che dovresti pensare prima o poi di raccogliere le tue recensioni in un libro...magari da regalare agli amici a Natale! A proposito: ho un saggio su cinema e scuola per te curato da un collega ds con la tua stessa passione. Quando vengo a milano te lo porto. Buone feste.

    RispondiElimina
  4. Grazie del tuo commento , Alessandra ! Mi fa piacere che sia piaciuto anche a te , questo bel film ! Aspetto il libro di cui mi parli !

    RispondiElimina