domenica 15 ottobre 2017

"Il COLORE NASCOSTO DELLE COSE " di Silvio Soldini ( Italia, 2017 )

Vi piacciono , al cinema, le storie romantiche ? L' amore che nasce tra due esseri che si sono appena conosciuti, le piccole e grandi difficoltà cui costoro vanno inevitabilmente incontro per le differenze che sempre esistono nella natura umana ? Temi che sembrano ormai frusti, abusati, visti mille volte, letti o ascoltati fino alla noia. Eppure, ogni volta ( almeno certe  volte ) capaci ancora di destare in noi un sentimento, un'emozione particolare. Come se quella storia fosse la nostra. Come se fossimo ancora pronti ad  innamorarci ed a mettere in gioco la nostra stessa esistenza per raggiungere la felicità...
Se, come credo, la risposta è sì, allora andate a vedere di corsa - prima che sparisca dalla ordinaria programmazione - questo " Il colore nascosto delle cose ", uscito sugli schermi ai primi di settembre senza troppo rumore pubblicitario. Per la verità era stato presentato, negli stessi giorni, a Venezia in occasione del Festival. Ma, come si dice, fuori concorso e quindi non destinato ad attirare su di sè l'attenzione della critica. Peccato perchè , dell'intera gamma italiana,  era probabilmente la cosa migliore ed almeno un premio per l'interpretazione femminile lo avrebbe francamente meritato. Il titolo, per la verità, può sembrare un pò concettoso. Ma il suo significato si chiarisce subito quando ci si rende conto, dalle prime inquadrature, che il personaggio femminile è una cieca e quindi  persona ricca di sensibilità e  capace di " vedere ", di intuire ciò che è dietro la superficie delle cose, appunto.  Non però un personaggio dotato di particolari poteri sensoriali, una specie di superdonna in grado di far fronte a biechi od astuti lestofanti che cercano di profittare della sua minorazione. Ricordate Audrey Hepburn in  " Gli occhi della notte " oppure Mia Farrow in " Terrore cieco " ? No, qui abbiamo una semplice non vedente, come purtroppo  altre come lei,  che conduce una esistenza normale, ha una professione (fa l'osteopata ) e non  si trova implicata in vicende particolarmente spettacolari o drammatiche.


Devo fare un passo indietro. Il film è italiano, italianissimo per regia, sceneggiatura, interpretazione. Si svolge in Italia, anzi a Roma (anche se l'aspetto localistico, a differenza della maggior parte di quelli ambientati nella capitale, non è mai particolarmente marcato ). Io non amo troppo, anzi non li amo quasi mai, i prodotti della cinematografia italiana d'oggi.  Sappiamo che i  "maestri" -  come del resto un pò dappertutto nel mondo -  non ci sono più ( qui da noi sopravvivono Bellocchio, Olmi, i fratelli Taviani ). Ma non sono stati rimpiazzati, come in Francia o negli Stati Uniti, da nuove schiere di buoni autori, accompagnati talvolta da ottimi attori . Orfano di " mostri sacri " o di grandi divi, il cinema italiano è per di più quasi sempre asfittico, ripiegato su sè stesso, privo di idee. Non riflette , a a differenza delle  due fortunate epoche che ha attraversato negli ultimi decenni ( il neorealismo e gli anni '60 ) la nostra società, i fermenti che la agitano. Anche i film che trattano problematiche lontane da quelle "civili", ad esempio le vicende di coppia o le trame familiari, hanno in sé, spesso, qualcosa di artefatto,  di lontano dalla realtà che ci circonda. D'accordo , sappiamo che il cinema è finzione Ma nel senso di trasfigurazione, non di fuga dal vero. Ecco , i film italiani - perfino quelli programmaticamente  più realistici, i molti che trattano vicende di malavita e di conflittualità urbana, ce n'è oggi una folta compagine, un 'arcadia quasi  di storie drammatiche ambientate nelle zone più disastrate del Paese - danno l'impressione a tratti  di un cattivo fumetto, di una raffigurazione arbitraria, esteticamente piatta. Manca  la spontaneità, la verità delle cose. Manca, in parole povere, la divina semplicità, quella che il poeta racchiude nella rima fiore-amore ,"...la più antica e la più difficile di tutte ".


Non così, fortunatamente, in questo " Colore nascosto delle cose ". Sono andato a vederlo  in extremis  ( stava lì ad aspettarmi da quattro settimane ) e convinto solo, alla fine, dal fatto che è l'ultima fatica di Silvio Soldini. Un regista milanese ( dunque uno di casa... ) ma che non ha remore nell'ambientare i suoi film anche altrove, autore diseguale di una decina di film tra cui vanno ricordati almeno " Le acrobate " e  " Pane e tulipani ". Un regista onesto, che non delude mai. Uno dei non molti, nello spento panorama nazionale, che sappia descrivere con pochi tocchi, con delicatezza ricca di profondità , i sentimenti, le gioie e le difficoltà del vivere quotidiano. E poi , un altro motivo che mi ha spinto è stata  la presenza di Valeria Golino che avevo lasciato, due anni fa, meravigliosa protagonista di " Per amor vostro ", un film coraggioso ma riuscito a metà che le dette allora la Coppa Volpi a Venezia per la migliore interpretazione femminile. Straordinaria attrice, cresciuta tantissimo negli ultimi anni, ed oggi a 52 anni -  possiamo dirlo perchè non li dimostra per niente  -  di gran lunga la migliore attrice del nostro cinema ( forse  solo Claudia Gerini e Margherita Buy possono starle vicino, ma un gradino più sotto ). E l'unica, soprattutto, per la propria esperienza internazionale, ad essere esportabile all'estero a cercare di rinverdire i  fasti delle nostre interpreti drammatiche migliori, da Anna Magnani a Monica Vitti.  E Soldini e Golino ( già insieme nel ricordato " Le acrobate " , che però risale  più di vent'anni fa ) non tradiscono  le nostre  tenui speranze, dandoci un film chiaro , lineare, " italiano " ma non bozzettistico, sincero anche quando - occorre dirlo - non convince sempre pienamente . Ma se questo accade non è per imperizia o mancanza di ispirazione. Una volta di più il problema sta nella sceneggiatura - troppo ricca di personaggi secondari non sempre necessarissimi -  e in una lunghezza un tantino eccessiva : quasi due ore. A quando il ritorno alla buona abitudine di contenere i film nei canonici novanta minuti di una volta ?


Il film  parte da una situazione  classica, al cinema e in qualunque forma di narrazione: l'incontro tra due persone, spesso molto lontane tra di loro per carattere ed inclinazioni.Teo, un pubblicitario "creativo " quarantenne , tutto teso a godere della semplice superficie, dell' involucro delle persone e delle cose in cui si imbatte, ed Emma, una cieca della stessa età, indipendente, che ha saputo coraggiosamente vincere le mille costrizioni della sua condizione esistenziale, si incontrano per caso in un luogo dove i visitatori " normali " , guidati da volenterosi non vedenti, fanno l'esperienza di muoversi nel buio totale, senza punti di riferimento, per comprendere meglio cosa significhi una condizione così estrema. Teo, abituato a mordere , a consumare in fretta qualunque cosa senza particolari scrupoli, "punta"  in realtà Emma- che è molto carina - alla ricerca di una semplice avventura, una sorte di  "trofeo " da esibire agli amici , vista l' " eccezionalità " della preda. Emma, ricca di emotività, fragile sotto una scorza di apparente saldezza, si innamora realmente di Teo, senza sospettare che  questi ha una compagna fissa oltre ad una seconda amante saltuaria e non disdegna - come abbiamo visto -  qualche storia passeggera . Dal canto suo Teo, a contatto con un mondo totalmente nuovo che gli si schiude dinnanzi ( la sensibilità, la dolcezza, la profondità dei sentimenti di Emma ) a poco per volta si apre e riscopre, come se fosse stato lui  il vero " cieco " di questa vicenda, una gamma di sensazioni che, complice una dolorosa esperienza da adolescente, credeva di avere ormai sepolto in in angolino buio del proprio cuore.Purtroppo il destino sembra avere in serbo per lui nuove sorprese, nuovi ostacoli... Basta, non dirò di più per permettervi di scoprire da soli come andrà a finire. Occhio solo ( o meglio orecchio, e capirete perchè ... ) all'ultima , incantevole sequenza che chiude un film dalla trama molto semplice ma in realtà di un grande spessore contenutistico.Vorrei aggiungere, per permettervi di apprezzare meglio le situazioni in cui è in scena Emma, la cieca, che il regista-sceneggiatore Soldini ha studiato a lungo la condizione dei non vedenti, traendone anche, qualche anno fa, un bel documentario. Ma questo film , naturalmente, pur innestandosi su tale precedente esperienza, si spinge poi su altre piste, su altre ricerche morali ed estetiche.


Dicevo della sceneggiatura. Coesa, finalmente coerente ( il che vuol dire , semplificando, che il racconto sceglie la strada più breve e più logica per andare dal punto a al punto b ) costruisce una vicenda , diremmo , tutta in punto di merletto, delicata, fatta di stati d'animo e di una lente evoluzione di uno dei due personaggi principali, con sequenze brevi che si succedono con un ritmo sostenuto (delicatezza e descrizione dei moti dell'anima non debbono tradursi necessariamente, al cinema, in noia e scarsa incisività... ). Mi interrogo solo se il personaggio della giovane studentessa cieca , che Emma aiuta nei suoi primi difficili passi, dovesse avere necessariamente il rilievo e lo spazio che gli è stato dato. E lo stesso mi chiederei a proposito dell'amica ipovedente di Emma, anche se è  un personaggio secondario abbastanza gustoso. Con qualche aggiustamento, a mio avviso, la sceneggiatura sarebbe stata ancora più coesa e il film sarebbe durato di meno...
Soldini regista , comunque , è bravissimo. Finissimo nel renderci le più piccole sfumature dei suoi personaggi e della loro traiettoria emozionale, ha un vigore plastico nel descrivere i corpi, i particolari anatomici , le mani che si toccano, gli occhi che si incontrano. Come i migliori registi, non muove sullo schermo semplici ombre prive di spessore ma crea autentiche " forme " che occupano lo spazio . Con lui la più semplice o banale delle situazioni acquista una particolare risonanza interna che scuote la coscienza dello spettatore, senza far ricorso a quei lenocini artistici cui la presenza di un personaggio " estremo " come una cieca si sarebbe facilmente prestato.
Di Valeria Golino, implicitamente ho già detto. Non recita Emma , " è " lei. Incantevole, commovente interpretazione che la consacra definitivamente- se ancora qualcuno non ne fosse convinto - come la migliore attrice italiana degli ultimi venti- venticinque anni. La sua  capacità espressiva ( pensate che qui , per esigenze di copione, non può ovviamente avvalersi dei suoi occhi ) è davvero notevole, grazie anche a una forte presenza scenica e ad una voce straordinaria,  roca e sensuale quanto basta. Di fronte a lei, un attore meno famoso ma molto duttile e che interpreta con  bravura il non facile personaggio di Teo: Adriano Giannini , figlio di Giancarlo, un volto molto espressivo e che tiene testa con successo al " mostro sacro " Golino. A posto gli altri, come si diceva nelle recensioni di una volta. Buona la musica e ottima la fotografia, così nelle scene cittadine, specie quelle notturne, come negli interni sempre molto ben studiati che Soldini predilige.
Che dire di più ? Confesso che questo film mi ha colpito nel profondo, mi ha commosso ( forse sto invecchiando )e, effetto collaterale che non intendo trascurare, mi ha indotto a non considerare completamente spento l'orizzonte del nostro cinema. Come dicono qui a Milano, " sperém " ( speriamo ).




2 commenti:

  1. Grazie Paolo, una bellissima recensione, scorrevole e chiarissima. Non vedo l'ora di andarlo a vedere. Oltretutto credo che Soldini sia il nipote della moglie del vecchio ambasciatore Fabbricotti.

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  2. Interessante collegamento...si tratta proprio di una persona a modo.

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