domenica 13 novembre 2016

" Fai bei sogni " , di Marco Bellocchio ( Italia, 2016 )

Conosco poco il giornalista Massimo Gramellini e non ho letto il libro ( con lo stesso titolo ) da cui è tratto questo film. E non so se arriverò a leggerlo mai, visto il terribile, incolmabile ritardo con tutte le letture che non ho ancora fatto e che dovrei fare. Ma la storia che racconta è bella , ha forza e si impone con l'evidenza delle sensazioni autentiche , quelle che ci portiamo dietro da quando eravamo piccoli e che continuano , che lo si voglia o no, ad ispirare la nostra vita nel bene e nel male. E Il film di Bellocchio , non posso giudicare quanto fedelmente al libro, ci prende sapientemente per mano alla scoperta di un dolore d'infanzia, una pena che prosegue nell'età adulta del protagonista e che solo verso la fine di questo percorso sembra sciogliersi, stemperandosi in una lucida accettazione.
Massimo, il protagonista, è un ragazzino dallo sguardo sensibile e intelligente che vive felicemente a Torino verso la metà degli anni sessanta. Felice lo è soprattutto quando è con la mamma, una bella donna giovane, piena di vita, dedita alla famiglia, molto vicina al bimbo . Il film si apre proprio con una sequenza breve ma intensa in cui madre e figlio, soli nel soggiorno di casa, ballano il twist sulla musica della radio, spensierati, nella magica ed intima simbiosi che li unisce. Ma presto le cose cambiano. La madre diventa sempre più malinconica , forse è malata , forse ha una grande pena nel cuore. Una terribile notte muore improvvisamente e Massimo, quando ciò gli viene rivelato dopo le prime pietose bugie del padre e degli altri familiari,non accetta la realtà, è come se si sentisse scacciato improvvisamente dal proprio paradiso terrestre, perdendo quella meravigliosa creatura che costituiva un tutt'uno con lui.
Crescendo solo col padre , impossibilitato a dargli quell'amore di cui ha un terribile desiderio, Massimo si rende confusamente conto che un mistero accompagna la scomparsa della madre, al di là delle laconiche spiegazioni che gli vengono fornite. Il suo rapporto con gli altri, con la scuola prima , con il mondo del lavoro poi ( nel frattempo è diventato un giornalista sempre più affermato ) risente sempre in qualche modo della lacerazione subita nell'infanzia , resa più dolorosa dalla impossibilità di introiettare il lutto , padroneggiarlo finalmente e farsene una ragione. Solo alla fine, quando il mistero viene svelato, Massimo ormai adulto è probabilmente in grado di venire a patti con il passato e di collocarlo nel bagaglio, lieto e triste, che ognuno di noi si porta appresso nella propria esistenza. E allora, forse , i sogni possono tornare ad essere belli o per lo meno non più angosciosi, come se una madre premurosa fosse sempre vicina a noi.
Questa la trama del film . E mi rendo conto che esposta così , nella sua concisa essenzialità,potrebbe sembrare perfino un pò zuccherosa ed insolita in una filmografia , quella di Bellocchio, tutt' altro che fatta di storie di questo tipo. Pensiamo non solo, come è ovvio, al film di esordio, quei " Pugni in tasca " ( !965 ) in cui i rapporti familiari avevano ben diversa e drammatica evidenza o alle opere successive, ricche di solforosa passione civile ( " La Cina è vicina " , " Salto nel vuoto " ecc. ). Anche i film girati a partire dagli anni ottanta, da " Gli occhi, la bocca " a " La balia ", da " Buongiorno notte " a " Vincere "- per non citare che i titoli che mi hanno colpito di più - in cui, dopo l'intervenuta , sofferta maturazione psichica del regista, il " furore " ideologico sembrava venir meno di fronte ad un approfondimento psicologico e sentimentale dei personaggi e delle loro vicende, non vi è mai stato posto per una storia così "edificante" come questa.Una storia che sembra quasi ispirarsi, almeno nella prima parte , a quel classico strappalacrime per l'infanzia che è l'ottocentesco " capolavoro per l'infanzia" di Florence Montgomery, " Incompreso ".
Ma si tratta di una impressione tutta superficiale. La vera emozione ( ed è tanta ) che il film suscita in noi è di diversa natura. Qui non ci si chiede tanto di intenerirci sul drammatico destino di un bambino posto prematuramente di fronte alla scomparsa di un genitore - e quindi privato di cure e di sicurezza affettiva- quanto di condividere la brusca interruzione di un percorso evolutivo , quell' "apprendistato " amoroso che è l'essenza- probabilmente inconsapevole ma ben presente nell'inconscio- del rapporto tra una madre e un figlio maschio. Massimo, e lo si vede , " adora " sua madre, ha bisogno del suo calore, del suo sguardo, delle sue carezze, Ciò che egli spera di ricevere dalla governante che il padre ha installato in casa dopo la morte della moglie ma che questa apertamente gli rivela di non essere in grado di dargli. Ciò che egli, adolescente, spia con invidia golosa,nel rapporto quasi precocemente incestuoso di un suo compagno di scuola con una madre molto bella, sensuale e vibrante (interpretata da una sontuosa Emanuelle Devos ) . Ciò che egli rivive costantemente, nel ricordo- mi pare di poter dire- non tanto dell' "immagine" , ma direi proprio del corpo , della " fisicità " della madre,di quella sensazione di benessere pieno ed immediato che solo un abbraccio o una carezza possono darci.
E proprio il rimpianto della madre , quella dolorosa sensazione di distacco e quella definitiva impossibilità di ricongiungersi a lei ( se non in un Paradiso troppo astratto per costituire una concreta promessa ) rappresenta l'ostacolo , il nodo irrisolto che il protagonista avverte nella sua professione e nel rapporto con le donne che conosce ( molto ben descritto l'incontro con la dottoressa del pronto soccorso, una sensibile ed intensa Bérénice Béjo ) e dal quale solo un tuffo deciso nei sentimenti, la coraggiosa liberazione da ogni intellettualismo, può liberarlo.Ecco allora Massimo conquistare l'affetto del pubblico con una rubrica di corrispondenza con i lettori in cui ha il coraggio di affidarsi alla immediatezza del proprio genuino mondo interiore. Oppure scatenarsi nella danza in una festa cui l'ha invitato la dottoressa, senza più inibizioni o sovrastrutture mentali ( una delle scene più vibranti del film ). Ancora una volta, in definitiva, Bellocchio ci rivela la sua natura " rivoluzionaria ". Rivoltoso non più in nome di un progetto ideologico, tutto " di testa ", ma di un non più procrastinabile ricorso al mondo dei sentimenti e delle sensazioni, l'unico in grado di riappacificarci con noi stessi, di ristabilire saldamente quell' unità tra di noi e l'ambiente che ci circonda . L'unico in grado di farci metabolizzare un grande dolore e di darci la forza di inserirlo armoniosamente nel nostro " vissuto ".
Il film , l'ho appena detto, commuove per la trasparenza del proposito dell'autore e , aggiungo, per la felice corrispondenza tra questo e le forme cinematografiche in cui si è calato . Sappiamo , infatti, che anche le migliori intenzioni possono inciampare talvolta in una messa in scena debole o poco congrua con l'assunto del film . Non qui, dove quasi dalla prima all'ultima sequenza si è posti di fronte ad un viluppo di sensazioni, di stati d'animo dei personaggi perfettamente chiari e condivisibili dallo spettatore, in un abile ma ispirato " crescendo ". Bellocchio, un veterano del cinema d'autore, il decano quasi dei nostri registi e certamente il migliore, sa perfettamente dove situare la macchina da presa , come "tagliare" le inquadrature, come suscitare la nostra adesione sentimentale ed estetica senza strafare, con la forza che gli deriva da una grande consapevolezza ( e modestia al tempo stesso ) dei propri mezzi espressivi .Un bel film , dunque , nello spento panorama del cinema di casa nostra. Ed uno dei migliori,penso, tra i suoi ultimi, anche se può sembrare a prima vista un'opera " su commissione " , dettata dall'imponente successo del libro da cui è tratta e dal tema schiettamente popolare che tocca. Ma Bellocchio, anche qui, mostra di non avere preconcetti e decide , nelle proprie scelte professionali, di affidarsi alle proprie sensazioni più autentiche.
Il film , a voler essere ipercritici, soffre solo di una qualche eccessiva lunghezza. Nel senso che alcune scene avrebbero potuto essere tagliate o addirittura eliminate ( penso alla lunga sequenza di Massimo impegnato come corrispondente di guerra in Bosnia, che poco aggiunge alla comprensione del personaggio ). Ma è un peccato che gli si perdona facilmente, surclassato dagli altri e preminenti meriti di cui si è detto. . L'interpretazione ( in parte l'abbiamo già accennato ) è perfetta. Molto bravo, toccante e simpatico il bimbo che impersona Massimo più piccolo. Bravo l'attore , di cui non ricordo il nome, che fa la parte del padre. Incisivo il contributo, in alcuni" cammei ", di interpreti del calibro di Piera degli Esposti, Roberto Herlitzka e Fabrizio Gifuni. E ho trovato molto a posto nella parte di Massimo adulto Valerio Mastandrea. In altri film, a volte, un pò sopra le righe , qui è diretto con mano ferma da Bellocchio e ci dà probabilmente la sua migliore interpretazione, sobria e toccante.
Sentimenti , stati d'animo, sensazioni. Altrettanti fantasmi che si agitano nella nostra coscienza e a cui la potenza espressiva del cinema sa dare, talvolta, evidenza plastica come a poche altre forme d'arte succede.

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