Conosco poco il giornalista Massimo Gramellini e non ho letto il libro (
con lo stesso titolo ) da cui è tratto questo film. E non so se
arriverò a leggerlo mai, visto il terribile, incolmabile ritardo con
tutte le letture che non ho ancora fatto e che dovrei fare. Ma la storia
che racconta è bella , ha forza e si impone con l'evidenza delle
sensazioni autentiche , quelle che ci portiamo dietro da quando eravamo
piccoli e che continuano , che lo si voglia o no, ad ispirare la nostra
vita nel bene e nel male. E Il film di Bellocchio , non posso giudicare
quanto fedelmente al libro, ci prende sapientemente per mano alla
scoperta di un dolore d'infanzia, una pena che prosegue nell'età adulta
del protagonista e che solo verso la fine di questo percorso sembra
sciogliersi, stemperandosi in una lucida accettazione.
Massimo,
il protagonista, è un ragazzino dallo sguardo sensibile e intelligente
che vive felicemente a Torino verso la metà degli anni sessanta. Felice
lo è soprattutto quando è con la mamma, una bella donna giovane, piena
di vita, dedita alla famiglia, molto vicina al bimbo . Il film si apre
proprio con una sequenza breve ma intensa in cui madre e figlio, soli
nel soggiorno di casa, ballano il twist sulla musica della radio,
spensierati, nella magica ed intima simbiosi che li unisce. Ma presto
le cose cambiano. La madre diventa sempre più malinconica , forse è
malata , forse ha una grande pena nel cuore. Una terribile notte muore
improvvisamente e Massimo, quando ciò gli viene rivelato dopo le prime
pietose bugie del padre e degli altri familiari,non accetta la realtà, è
come se si sentisse scacciato improvvisamente dal proprio paradiso
terrestre, perdendo quella meravigliosa creatura che costituiva un
tutt'uno con lui.
Crescendo solo col padre , impossibilitato a
dargli quell'amore di cui ha un terribile desiderio, Massimo si rende
confusamente conto che un mistero accompagna la scomparsa della madre,
al di là delle laconiche spiegazioni che gli vengono fornite. Il suo
rapporto con gli altri, con la scuola prima , con il mondo del lavoro
poi ( nel frattempo è diventato un giornalista sempre più affermato )
risente sempre in qualche modo della lacerazione subita nell'infanzia ,
resa più dolorosa dalla impossibilità di introiettare il lutto ,
padroneggiarlo finalmente e farsene una ragione. Solo alla fine, quando
il mistero viene svelato, Massimo ormai adulto è probabilmente in grado
di venire a patti con il passato e di collocarlo nel bagaglio, lieto e
triste, che ognuno di noi si porta appresso nella propria esistenza. E
allora, forse , i sogni possono tornare ad essere belli o per lo meno
non più angosciosi, come se una madre premurosa fosse sempre vicina a
noi.
Questa la trama del film . E mi rendo conto che esposta
così , nella sua concisa essenzialità,potrebbe sembrare perfino un pò
zuccherosa ed insolita in una filmografia , quella di Bellocchio, tutt'
altro che fatta di storie di questo tipo. Pensiamo non solo, come è
ovvio, al film di esordio, quei " Pugni in tasca " ( !965 ) in cui i
rapporti familiari avevano ben diversa e drammatica evidenza o alle
opere successive, ricche di solforosa passione civile ( " La Cina è
vicina " , " Salto nel vuoto " ecc. ). Anche i film girati a partire
dagli anni ottanta, da " Gli occhi, la bocca " a " La balia ", da "
Buongiorno notte " a " Vincere "- per non citare che i titoli che mi
hanno colpito di più - in cui, dopo l'intervenuta , sofferta maturazione
psichica del regista, il " furore " ideologico sembrava venir meno di
fronte ad un approfondimento psicologico e sentimentale dei personaggi e
delle loro vicende, non vi è mai stato posto per una storia così
"edificante" come questa.Una storia che sembra quasi ispirarsi, almeno
nella prima parte , a quel classico strappalacrime per l'infanzia che è
l'ottocentesco " capolavoro per l'infanzia" di Florence Montgomery, "
Incompreso ".
Ma si tratta di una impressione tutta superficiale.
La vera emozione ( ed è tanta ) che il film suscita in noi è di diversa
natura. Qui non ci si chiede tanto di intenerirci sul drammatico
destino di un bambino posto prematuramente di fronte alla scomparsa di
un genitore - e quindi privato di cure e di sicurezza affettiva- quanto
di condividere la brusca interruzione di un percorso evolutivo ,
quell' "apprendistato " amoroso che è l'essenza- probabilmente
inconsapevole ma ben presente nell'inconscio- del rapporto tra una madre
e un figlio maschio. Massimo, e lo si vede , " adora " sua madre, ha
bisogno del suo calore, del suo sguardo, delle sue carezze, Ciò che
egli spera di ricevere dalla governante che il padre ha installato in
casa dopo la morte della moglie ma che questa apertamente gli rivela di
non essere in grado di dargli. Ciò che egli, adolescente, spia con
invidia golosa,nel rapporto quasi precocemente incestuoso di un suo
compagno di scuola con una madre molto bella, sensuale e vibrante
(interpretata da una sontuosa Emanuelle Devos ) . Ciò che egli rivive
costantemente, nel ricordo- mi pare di poter dire- non tanto dell'
"immagine" , ma direi proprio del corpo , della " fisicità " della
madre,di quella sensazione di benessere pieno ed immediato che solo
un abbraccio o una carezza possono darci.
E proprio il rimpianto
della madre , quella dolorosa sensazione di distacco e quella definitiva
impossibilità di ricongiungersi a lei ( se non in un Paradiso troppo
astratto per costituire una concreta promessa ) rappresenta l'ostacolo ,
il nodo irrisolto che il protagonista avverte nella sua professione e
nel rapporto con le donne che conosce ( molto ben descritto l'incontro
con la dottoressa del pronto soccorso, una sensibile ed intensa Bérénice
Béjo ) e dal quale solo un tuffo deciso nei sentimenti, la coraggiosa
liberazione da ogni intellettualismo, può liberarlo.Ecco allora Massimo
conquistare l'affetto del pubblico con una rubrica di corrispondenza con
i lettori in cui ha il coraggio di affidarsi alla immediatezza del
proprio genuino mondo interiore. Oppure scatenarsi nella danza in una
festa cui l'ha invitato la dottoressa, senza più inibizioni o
sovrastrutture mentali ( una delle scene più vibranti del film ). Ancora
una volta, in definitiva, Bellocchio ci rivela la sua natura "
rivoluzionaria ". Rivoltoso non più in nome di un progetto ideologico,
tutto " di testa ", ma di un non più procrastinabile ricorso al mondo
dei sentimenti e delle sensazioni, l'unico in grado di riappacificarci
con noi stessi, di ristabilire saldamente quell' unità tra di noi e
l'ambiente che ci circonda . L'unico in grado di farci metabolizzare un
grande dolore e di darci la forza di inserirlo armoniosamente nel nostro
" vissuto ".
Il film , l'ho appena detto, commuove per la
trasparenza del proposito dell'autore e , aggiungo, per la felice
corrispondenza tra questo e le forme cinematografiche in cui si è calato
. Sappiamo , infatti, che anche le migliori intenzioni possono
inciampare talvolta in una messa in scena debole o poco congrua con
l'assunto del film . Non qui, dove quasi dalla prima all'ultima sequenza
si è posti di fronte ad un viluppo di sensazioni, di stati d'animo dei
personaggi perfettamente chiari e condivisibili dallo spettatore, in un
abile ma ispirato " crescendo ". Bellocchio, un veterano del cinema
d'autore, il decano quasi dei nostri registi e certamente il migliore,
sa perfettamente dove situare la macchina da presa , come "tagliare" le
inquadrature, come suscitare la nostra adesione sentimentale ed estetica
senza strafare, con la forza che gli deriva da una grande
consapevolezza ( e modestia al tempo stesso ) dei propri mezzi
espressivi .Un bel film , dunque , nello spento panorama del cinema di
casa nostra. Ed uno dei migliori,penso, tra i suoi ultimi, anche se può
sembrare a prima vista un'opera " su commissione " , dettata
dall'imponente successo del libro da cui è tratta e dal tema
schiettamente popolare che tocca. Ma Bellocchio, anche qui, mostra di
non avere preconcetti e decide , nelle proprie scelte professionali, di
affidarsi alle proprie sensazioni più autentiche.
Il film , a
voler essere ipercritici, soffre solo di una qualche eccessiva
lunghezza. Nel senso che alcune scene avrebbero potuto essere tagliate o
addirittura eliminate ( penso alla lunga sequenza di Massimo impegnato
come corrispondente di guerra in Bosnia, che poco aggiunge alla
comprensione del personaggio ). Ma è un peccato che gli si perdona
facilmente, surclassato dagli altri e preminenti meriti di cui si è
detto. . L'interpretazione ( in parte l'abbiamo già accennato ) è
perfetta. Molto bravo, toccante e simpatico il bimbo che impersona
Massimo più piccolo. Bravo l'attore , di cui non ricordo il nome, che fa
la parte del padre. Incisivo il contributo, in alcuni" cammei ", di
interpreti del calibro di Piera degli Esposti, Roberto Herlitzka e
Fabrizio Gifuni. E ho trovato molto a posto nella parte di Massimo
adulto Valerio Mastandrea. In altri film, a volte, un pò sopra le righe
, qui è diretto con mano ferma da Bellocchio e ci dà probabilmente la
sua migliore interpretazione, sobria e toccante.
Sentimenti , stati
d'animo, sensazioni. Altrettanti fantasmi che si agitano nella nostra
coscienza e a cui la potenza espressiva del cinema sa dare, talvolta,
evidenza plastica come a poche altre forme d'arte succede.
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