martedì 10 novembre 2020

SCIASCIA AL CINEMA : " A CIASCUNO IL SUO " di Elio Petri ( Italia, 1967 ) / " Il GIORNO DELLA CIVETTA " di Damiano Damiani ( Italia, 1968 )

  •  I  due romanzi , o racconti lunghi , di Leonardo Sciascia sulla Sicilia e il fenomeno mafioso, pubblicati tra il 1961 ("Il giorno della civetta" ) e il 1966 ( " A ciascuno il suo " ) trovarono al cinema due  convincenti trasposizioni a poca distanza l'uno dall'altro, nel biennio 1967-1968. Probabilmente sulla  scelta di produrre quello dei due che fu girato per secondo ("Il giorno della civetta" ) influì il buon successo del primo ad essere trasferito sullo schermo ( " A ciascuno il suo " ). E poi Sciascia incominciava allora ad essere più di un semplice "caso"  letterario. I suoi libri avevano trovato, proprio in quegli anni, un pubblico di lettori affezionati. La sua Sicilia e la sua trattazione del fenomeno mafioso -molto più radicato e capillare, quest'ultimo,  di quanto non si presumesse dal "continente"- risultavano assai suggestivi in una Italia che si interrogava su se stessa e sui cronici ritardi di una vera unità nazionale sul piano della mentalità e del costume. Il cinema degli anni '60 diventava d'altro canto sempre più " politico ", in sintonia con una società in rapida trasformazione, multiforme e desiderosa di uscire dal sostanziale immobilismo in cui era rimasta confinata per decenni. Il " potere "  (quello istituzionale, civile e religioso, o quello dei grandi gruppi economici ) incominciava così ad essere indagato senza le remore, e con molto minori ostacoli censòrii, di quanto non fosse avvenuto in passato. Ne uscivano film magari non tutti della stessa fattura, ma quasi sempre interessanti e con l'irresistibile profumo  di una stuzzicante novità.
         Le sue opere di " fiction " sono scritte da Sciascia  con  uno stile stringato ed una eccezionale incisività che elimina il superfluo e va dritto al cuore della vicenda. Sembrano quasi, in sostanza, delle sceneggiature cinematografiche pronte per essere girate. Personaggi e trama narrativa  conquistano il lettore fin dall'inizio, proprio come in un buon film. Certo, la metafora - che nelle sue storie c'è sempre -  sia delle specialissime condizioni della sua terra, sia della natura umana in quanto tale, risulta meno agevole da rendere cinematograficamente . In questi due film ( dei quali Sciascia, ceduti i diritti , ha avuto poco o nessun controllo in fase di lavorazione ) si perde talvolta, inevitabilmente, quella  dolorosa e risentita vena ironica, quella sottile malinconia, che si rinvengono nella pagina scritta. Ma non sono venuti meno, fortunatamente, il vigore espositivo, la "dimostrazione " di uno stato di cose ingiusto e che occorrerebbe quindi cambiare, che animano i due romanzi e che conferiscono ad essi un sapore forte e genuino. Svelta e concisa, la sua prosa trova al cinema - specie in " A ciascuno il suo "- una congeniale equivalenza nel montaggio serrato, nel rapido succedersi delle inquadrature. Come se la macchina da presa volesse dare corpo secondo i propri mezzi  a quel pacato eppur implacabile argomentare di uno scrittore " illuminista " quale era sicuramente Sciascia.

 

         " A ciascuno il suo ", ironico titolo desunto dal motto che compare sotto la testata de " L'Osservatore  Romano " ( frammento  di pagina di  giornale che vedremo , nel film , utilizzato in modo quantomeno singolare ) fu realizzato nel 1967, ad un anno dal buon successo del libro. Ma, riluttanti le grandi case di produzione a portarlo sullo schermo secondo i desiderata del regista e sceneggiatore Elio Petri, alla fine si trovò un produttore indipendente che accettò di sobbarcarsene il rischio. E fece bene, giacché il film piacque, fu venduto all'estero ricevendone positiva accoglienza ed è da alcuni critici considerato una delle cose migliori di Petri, autore già pochi anni prima di un notevole " I giorni contati ", con il grande  Salvo Randone come interprete principale ( che qui ha solo un godibilissimo " cammeo " ). Sciascia lesse il copione, scritto da Petri con il romanziere Ugo Pirro, ma non gli piacque particolarmente, specie per l'eccessivo risalto dato al personaggio di Luisa, la vedova Rosello, che nel romanzo è appena abbozzato. In realtà ( e , avendo poi visto il film anche lo scrittore dovette convenirne ) il film è fedele non tanto alla lettera quanto allo spirito con cui Sciascia racconta la vicenda e alla morale che voleva trarne.   Che è poi quella che per sconfiggere la mafia, anche piccola o piccolissima che si annida nella mentalità di taluni abitanti dell'isola, non occorre nessuna particolare arditezza, nessuno sterile donchisciottismo ma anzi una sana dose di realismo,  cioè di volontà di capire- parafrasando Croce - "come siano andate propriamente le cose ". Qualità che fa purtroppo difetto allo sfortunato protagonista, quel timido ma sconsiderato professor Laurana di cui, come finale epitaffio, i notabili del suo paese diranno solo che " era un cretino ". Ben diretto, con una tecnica desunta dai classici film gangsteristici americani, alla Huston o alla Samuel Fuller, " A ciascuno il suo " si lascia vedere tuttora con piacere. Contribuiscono a tale sensazione una puntuale descrizione di uno spicchio di Sicilia ( Palermo e dintorni ) infestato dal costume mafioso dei suoi notabili, l'ottima scelta dei caratteristi e la magistrale interpretazione degli interpreti principali : Gian Maria Volonté ( Laurana ) , Gabriele Ferzetti ( Rosello ) e Irene Papas  (Luisa ). Se la regia di Petri è abile e inventiva, la sceneggiatura è particolarmente solida e ben costruita, tanto che al Festival di Cannes del 1967 ( prima del fatale ' 68 che , l'anno dopo, ne impedì lo svolgimento ) essa vinse addirittura il relativo, massimo riconoscimento tra i film in concorso.

 

         A fronte dell'elegante, quasi sofisticato film di Petri, il successivo " Il giorno della civetta",  girato da Damiano Damiani nel 1968, potrebbe apparire molto più convenzionale. Lineare nell'andamento narrativo - anche qui non fedelissimo al testo, ma alla sceneggiatura questa volta collaborò lo stesso Sciascia ancora con Ugo Pirro - sembra un " western " siciliano. E certamente deve essersi ispirato almeno in parte all'atmosfera del prototipo dei film di mafia , quel " In nome della legge " di Pietro Germi (1949 ) tutt'altro che trascurabile nella sua sincerità appena un pò troppo semplificatrice ma di grande impatto emotivo. Anche qui mafia di campagna, dunque. Con due antagonisti. Da un lato il capitano dei Carabinieri Bellodi (" continentale ", anzi addirittura nordico in quanto emiliano e per giunta ex partigiano ) desideroso di venire a capo del solito delitto senza un chiaro movente né attendibili esecutori . Dall'altro don Mariano Arena, anziano ma ancora vigoroso ed incontrastato capomafia che su quel delitto sa ovviamente molte cose. E che alla fine , al troppo curioso ma onesto e coraggioso Bellodi, renderà in un certo senso l'onore delle armi definendolo  "un uomo ". Categoria, questa, decisamente minoritaria secondo l'esperto Arena. Giacchè , come gli fa dire Sciascia anche nel romanzo, più numerosi assai sono nella vita, man mano scendendo, i mezzi uomini, i ruffiani, gli ominicchi e, in fondo alla scala antropologica, " i quacquaracquà ".  Interpretato da grandi caratteristi siciliani nelle parti minori ( Tano Cimarosa su tutti nella parte di un singolare killer ), ravvivato dalla presenza di una splendida , fiorente Claudia Cardinale nella parte della moglie di un contadino del luogo, con un ottimo, misurato Franco Nero nella parte di Bellodi, è letteralmente illuminato da un immenso Lee J, Cobb calatosi perfettamente nella parte di don Mariano. Mai " padrino " fu altrettanto vero al cinema di lui : non il pur celebrato Charles Vanel ne " Il nome della legge " di cui si è detto nè, sto per dire, il pur sagacemente istrionico Marlon Brando nel celebratissimo " The Godfather ".

Sciascia  ci ha lasciati nel 1989.  Prima della sua scomparsa altri due film sono stati tratti dalle sue opere. " Cadaveri eccellenti " di Francesco Rosi ( trasposizione del romanzo " Il contesto " ) e " Todo Modo " ancora di  Petri, girato lo stesso anno.  Non equivalgono, purtroppo, ai due film di cui abbiamo appena parlato perchè desunti da due libri , a mio personale giudizio, non dello stesso livello artistico-concettuale. Ma averne ancora, in Italia, di scrittori di quel calibro! E , soprattutto, di punti di riferimento ideali, per onestà intellettuale e profondità di analisi, quale è stato, almeno per due decenni, lo scrittore di Racalmuto ( la sua " piccola patria " siciliana ). Sciascia ci manca. In questi giorni così confusi, ho la sensazione che  ci manchi terribilmente.


 



 


  

         


 



        

4 commenti:

  1. Paolo mi hai fatto venire voglia di rivederli, in particolare il primo di cui non ricordo per niente la trama.Anche se i film sulla mafia mi deprimono, soprattutto perché mostrano un contesto socio culturale che la mantiene e la favorisce. Comunque grazie. un abbraccio. Alessandra

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    1. Cara Alessandra, ne sono felice ! Io, oltre che rivedere i due film ( forse si trovano addirittura su Youtube ) mi andrei a (ri)leggere i due omonimi libri di Sciascia, ancora oggi molto belli ( specialmente " A ciascuno il suo ", secco e tagliente come una lama di coltello ).Quanto al contesto socioculturale, anche a me fa rabbrividire : questo è certo. Ma occorre rendersene conto, conoscerlo, perchè hai ragione- con Sciascia - che è da lì che deriva il fenomeno mafioso. Ed è quest'ultimo che alimenta e perpetua un costuma per noi aberrante. In un processo circolare che richiederà ancora chissà quanto tempo per essere spezzato.

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  2. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  3. Il cinema sonoro ha aperto il silenzio. E che dire della scelta del https://cineblog01.rest film?

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