martedì 19 gennaio 2021

DUE GRANDI FILM DEGLI ANNI '50 : " HIROSHIMA MON AMOUR di Alain Resnais ( Francia, 1959 ) " UN UOMO TRANQUILLO " di John Ford ( USA, 1952 )

Il cinema, nella sua grande bellezza, ha molte anime. Intendo dire modi diversissimi di declinare il proprio linguaggio che è, fondamentalmente, il raccontare per immagini con il  facoltativo ausilio della parola, talvolta della musica. Anche la letteratura- tanto per tracciare un paragone -  ha voce, ispirazione e modo di esporre  non certo riconducibili ad una sola " ragione narrativa ", ad un unico stile. Eppure, l' armamentario di cui essa forzatamente dispone - cioè la parola scritta- non offre di per sé soverchie possibilità di dar vita a " forme "  o "prodotti " che poi si differenzino tra di loro, anche solo esternamente, tanto quanto sono in grado di fare i film. Alla fin fine, per prendere un genere letterario diffusissimo, possiamo sostenere tranquillamente che  dal punto di vista del risultato estetico esistono solo " buoni " o " cattivi " romanzi. Ma non romanzi che ,  legati come essi sono al loro impianto espressivo di tipo grammaticale-sintattico ed alla linea di comunicazione stabilita attraverso la  sola parola con il lettore, siano capaci di assumere vesti esteriori così diverse come nel caso delle opere cinematografiche.  La forza evocativa delle immagini con cui  sono costruiti i film, il ritmo ed il "taglio" con cui le immagini e le sequenze sono concatenate tra di loro, il significato che assumono agli occhi dello spettatore e soprattutto le immediate reazioni emotive, o addirittura subliminali, che ingenerano in lui, danno vita  ad esiti diversissimi: non solo sul piano estetico, poiché ciò è vero per tutte le arti,  quanto su quello del cangiante dispositivo formale  proprio del cinema e del modo così vario che questo offre di trasmettere  le intenzioni degli autori. E' ben vero che, anche in letteratura, sono esistite in ogni epoca  creazioni che sono sfuggite, o almeno hanno tentato di farlo, alla apparente costrizione della comunicazione postulata dallo schema logico obbligato soggetto-verbo-complemento oggetto. E abbiamo avuto, da ultimo,  poesia ermetica e romanzo sperimentale, l' "Ulisse" di Joyce. Ma sono appunto tentativi - talvolta  commoventi o sublimi- di aggirare l'ostacolo del linguaggio, forzandolo all'estremo o addirittura  dinamitandolo dall'interno. Non così il cinema, che dispone già di innumerevoli  possibilità di espressione giocando su di una sintassi  infinitamente più articolata e attraverso percorsi espressivi di sconfinata libertà. Per tornare al nostro punto di partenza,  è così che le singole creazioni cinematografiche possono risultare, alla fine, tanto diverse. E di due di queste, nate nell'epoca d'oro degli anni '50 del secolo scorso, si tratterà ora sia pure sommariamente. Sottolineando come, opere entrambe di primaria importanza e di massimo godimento per lo spettatore, esse siano assolutamente agli antipodi, eppure ci parlino in modo egualmente forte e  coinvolgente.

Presentato al Festival di Cannes del 1959 ( ottenendo la Palma d'oro per l'interprete principale, la luminosa Emmanuelle Riva ) "Hiroshima mon amour ", primo lungometraggio del regista Alain Resnais, è uno di quei film di cui si può ben dire che costituiscano una pietra miliare nella storia de cinema. Liberissimo rispetto alla tradizionale architettura dei film " classici " grazie ad un sapiente ed  ispirato montaggio in cui passato e presente, ricordi che riaffiorano e situazioni attuali, contesti ambientali molto distanti tra di loro, si giustappongono o si accavallano continuamente , possiede una unità che non è più quella di tempo o di luogo - esterna ai personaggi -  ma quella dettata dallo stato d'animo interno della protagonista. Questa, un'attrice francese di passaggio ad Hiroshima per girarvi un film pacifista ispirato dall'olocausto nucleare avvenuto quattordici anni prima , vive una breve ma intensa storia di "amour fou" con un ingegnere giapponese incontrato casualmente. Attraverso l'emozionante atmosfera che si respira nella città, simbolo degli orrori della seconda guerra mondiale, ma ancor più grazie alla totale intimità di anima e corpo stabilita con il suo amante, la donna ricorda per la prima volta da allora la storia dolorosa della sua sfortunata relazione in una cittadina francese , Nevers, con un giovane militare tedesco che sarebbe poi stato ucciso  nei giorni della liberazione del 1944. Relazione che determinò la sua punizione da parte dei partigiani ( rasata a zero e condotta, venendo dileggiata, in giro per le vie della città ) , la rottura con i genitori ed il  successivo allontanamento alla volta di Parigi per sfuggire agli sguardi di riprovazione dei  locali benpensanti. Ecco allora che, intrecciati al dramma del nuovo distacco che la donna ritiene di doversi imporre dall'amante   giapponese - entrambi, apprendiamo, sono felicemente sposati - da un lato la tragedia collettiva della città giapponese e dell'intera umanità esposta alla minaccia atomica e dall'altro quella  individuale, la fine violenta del suo amore  e l'umiliazione ed il torto subiti dalla donna , colpevole solo di aver amato, finiscono con il rappresentare un unico, irrimediabile "vulnus" inferto all 'essere umano. Una ferita al sentimento di pace e di amore che dovrebbe regnare tra di noi, una prova di quella difficoltà di vivere che rende così faticosa e precaria la condizione umana. Mai, credo, al cinema tutto questo è stato rappresentato con altrettanto vigore morale e novità di linguaggio. La maestria di Resnais ( il quale ci darà poi, nel corso dei cinque successivi decenni, altri film egualmente di grande valore ) la sua vibrante macchina da presa, i suggestivi dialoghi di Marguerite Duras, la fotografia di un bianco eclatante per le scene girate ad Hiroshima e di uno sfumato bianco e nero per quelle ambientate a Nevers, non ultimo il raffinato commento musicale del nostro Giovanni Fusco ( collaboratore preferito di Antonioni ) fanno di "Hiroshoima mon amour " un film che sfida trionfalmente gli anni. Oggi le sue commistioni di tempi e di luoghi non sorprendono più come nel 1959. Ma ciò che resta, e lo rende un classico senza tempo, è il suo umanesimo di fondo e la fede in un cinema che, emozionandoci ed interrogandoci, può  contribuire a renderci migliori.

"Un uomo tranquillo " ( nell'originale "The quiet man" ) è un film del 1952, diretto da John Ford, il quale grazie ad esso ottenne il premio per la migliore regia alla Mostra del cinema di Venezia di quell'anno. La storia è molto semplice, ancorchè movimentata e ricca di colpi di scena. Un americano di origine irlandese ( non a caso si chiama Sean, Giovanni in gaelico ) viene a stabilirsi nuovamente nel villaggio da cui era emigrato  tanti anni prima con i suoi genitori. In cerca di pace e di ritrovata serenità ( scopriremo in corso d'opera  che, pugile affermato negli USA, si è ritirato sconfortato dalla "nobile arte" dopo aver accidentalmente ucciso sul ring il suo ultimo avversario ) l'uomo si innamora a prima vista, corrisposto, della giovane e bella vicina di casa- un vero prototipo dell'irlandese fiera ed appassionata - e medita di sposarla. Superate grazie ad un inganno degli amici compiacenti le difficoltà frapposte al matrimonio dal burbero ed aggressivo fratello della sua innamorata, i problemi nasceranno quando questi, accortosi di essere stato raggirato, negherà per ripicca alla sorella la dote di famiglia di cui egli è depositario. Se Sean, con cui la sposa per antiche consuetudini si rifiuta di convivere in assenza della dote di cui è stata privata, vorrà riconquistarla dovrà forzare il proprio sopravvenuto ripudio della violenza ed affrontare in una omerica scazzottata finale il forzuto e collerico cognato. Una trama sanguigna, come si vede, ma niente affatto violenta ( nell' Irlanda teatrale ed immaginifica i pugni preludono solo ad altrettante gioiose riappacificazioni condite da musica e canti, inaffiate da fiumi di ottima birra scura e schiumosa ) alla quale fa da singolare contrappunto un paesaggio paradisiaco in cui il verde dei prati si stempera nell'azzurro dei corsi d'acqua e della costa marina dalle mille insenature. Una Irlanda che è più un "topos" letterario , un luogo dello spirito, che una geografica "location". Una occasione per Ford per esprimere ancora una volta la sua convinzione che l'uomo, stretto tra le mille insidie e difficoltà della vita, non cesserà mai di anelare con tutte le sue forze ad un mondo di pace  e di serenità . Una convinzione manifestata in ben sessanta anni di cinema - prima il muto e poi il parlato-   e che ha dato vita a tantissimi capolavori e che qui viene, ancora una volta, declinata con tutto il pathos, la forza e la dolcezza, la sobrietà e l'entusiasmo che gli sono congeniali. Ricco di simpatia e di "humour"  nei confronti dei suoi personaggi, gradevolissimo nel tratteggiare usi e costumi di una Irlanda rurale oggi ormai lontanissima e forse già allora più vagheggiata che reale, " Un uomo tranquillo " è senza dubbio un piccolo capolavoro, ricco di uno spessore umano e di una sottile malinconia ben più corposi di quanto il suo andamento lineare e la recitazione, apparentemente " facili "  entrambi, non lascino a prima vista immaginare. Film "classico " quant'altri mai se collocato vicino ad un'opera rivoluzionaria quale era ( e per certi versi rimane)  " Hiroshima mon amour ", esso testimonia quanto prima si è detto sulla diversità non solo contenutistico-formale nel cinematografo ma anche sul diverso modo, grazie al linguaggio, al ritmo, alle inquadrature ed alla percezione che esse ingenerano nello spettatore, di  riuscire a trasmettere le intenzioni dell'autore, il suo credo o , se volete, quello che potremmo chiamare la sua "poetica". Diversissimi nella forma e nel contenuto, " Hiroshima mon amour" e "Un uomo tranquillo" evidenziano entrambi fiducia nell'uomo e nelle capacità dell'amore e della solidarietà di reagire alle tante insidie di cui è costellata la nostra esistenza. Ed il cinema, qui, fa egregiamente la sua parte.




                                                                        



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