Il primo premio per il più brutto titolo della stagione cinematografica va, almeno fin qui, a "L'ufficiale e la spia". Sotto queste mentite spoglie, degne più di un poliziesco di terza categoria che di un serissimo e documentatissimo film storico, si cela infatti "J'accuse", l'ultimo e bellissimo film di Roman Polanski ( pleonastico dire chi egli sia agli amanti del cinema). Evidentemente i soliti distributori non avranno avuto fiducia nel fatto che il pubblico italiano potesse ricordarsi che il titolo originale riprende quello del famoso, esplosivo, "pamphlet" di Emile Zola, pubblicato in prima pagina - siamo nel 1898 - dal quotidiano parigino " L'Aurore ". Una vera requisitoria con il quale il grande romanziere smontava pezzo per pezzo il castello di accuse menzognere che era stato costruito dall'Esercito francese per incastrare come pretesa spia al soldo dei tedeschi un capitano dello Stato Maggiore, Alfred Dreyfus, colpevole in realtà di essere solamente ebreo e quindi una facile preda da offrire in pasto ad una opinione pubblica interna in larga parte violentemente antisemita.
Dandoci, sulla scorta del libro di Robert Harris che ripercorre l'intera vicenda, un'affresco misurato ma possente dei personaggi e dei fatti che portarono a due riprese alla condanna di Dreyfus ( anni dopo, come mostra l'epilogo del film, finalmente discolpato e riabilitato ) Polanski ha senza dubbio inteso elevare a sua volta un sofferto atto di accusa, lui ebreo polacco scampato fortunosamente ai campi di sterminio nazisti dove perì la sua famiglia, contro il perdurare lungo tutto il secolo XX di una robusta, tragica vena di antisemitismo di cui proprio i recenti rigurgiti, specie in Francia, testimoniano l'insidiosa sopravvivenza. E come non pensare che nella storia del piccolo capitano ingiustamente perseguitato possa rinvenirsi anche più che una semplice allusione alle personalissime vicende del regista, accusato senza prove convincenti di un reato sessuale commesso cinquant'anni fa e per il quale, oltre ad essere incalzato dalla solerte giustizia americana, è stato fatto letteralmente a pezzi dal movimento neofemminista " Metoo ". Persecuzione quest'ultima che ne ha decretato l'ostracismo in molti ambienti artistici, anche europei, e che gli ha probabilmente sottratto il " Leone d'oro " all'ultima mostra veneziana cui ha partecipato proprio con questo assai meritevole film.
Il film, dicevamo, è bellissimo. Iniziando dalla pubblica degradazione di Dreyfus (una sequenza tutt'altro che magniloquente ma egualmente, più sottilmente drammatica ) ci mostra poi come proprio un ufficiale che era stato superiore del capitano ( il maggiore, poi tenente colonnello Picquart ) incominci ad avere dubbi sulla sua colpevolezza che man mano si infittiscono e si intrecciano ai risvolti politici che, proprio facendo leva sull' " affaire ", vedono l'opposizione decisa a mettere in forte imbarazzo il governo. Picquart, che non ama gli ebrei, è mosso ciononostante da un forte senso del dovere e da un desiderio di giustizia che gli metteranno contro l'intero establishment militare , fino a che l'innocenza di Dreyfus non sarà definitivamente provata. Preciso nella ricostruzione storica, mai piattamente decorativo, il film procede con uno svolgimento contenuto eppure di crescente impatto emozionale. Se il personaggio Picquart è assolutamente anti retorico nella propria appassionata ricerca della verità, i suoi avversari si chiudono compatti, dal canto loro, nella corazza dell'onore e della sicurezza nazionale, accecati dalla loro xenofobia e dal disprezzo per il " diverso " . Il film è splendido dal punto di vista figurativo ( si vedano certi interni polverosi degli uffici militari dove l'aria e la luce sembrano penetrare con difficoltà o le scene in esterni di una Parigi livida e minacciosa ). Ma ancora di più lo è dal punto di vista della regia : regia che qui diventa realmente " messa in scena ", per la cura quasi maniacale con cui Polanski sistema e fa muovere i suoi attori, in inquadrature sempre efficaci, mai banali, rispondenti sempre al significato che debbono esprimere, all'emozione che debbono suscitare nello spettatore.
La recitazione , infine, è degna di ogni elogio per Jean Dujardin che interpreta Picquart, coadiuvato da Emmanuelle Seigner nella parte dell'amante del tenente colonnello e da Louis Garrel in quella di Dreyfus. Ma poi, sotto i vestiti ed il trucco dei personaggi minori si scoprono man mano altri grandi e bravissimi attori francesi, ad ennesima riprova della eccellente qualità complessiva di quella cinematografia.
Ancora uomini in divisa, questa volta in tempo di guerra, in un film italiano del 1961 che, scomparso presto dalle sale e praticamente introvabile in tutti questi anni, è stato ora splendidamente restaurato dalla Cineteca di Bologna e riaffiora sul grande schermo in qualche cineclub. Opera prima di un regista italiano dal rendimento artistico diseguale, Giuliano Montaldo, è più interessante per l'ambientazione e la vicenda che per i risultati estetici ottenuti. Se molti film italiani , proprio tra il finire degli anni '50 e l'inizio del successivo decennio, raccontano storie della resistenza partigiana nel 1943-45 o comunque si soffermano su quel tormentato periodo, " Tiro al piccione " , riprendendo la trama di un bel libro di Giose Rimanelli pubblicato qualche anno prima, ci mostra invece un gruppo di soldati " repubblichini ", cioè dell'esercito della Repubblica sociale italiana, semisbandati, privi di un obiettivo di qualche respiro, stretti tra l'indifferenza o l'odio della popolazione del Nord Italia e l'incertezza sempre crescente di una esperienza politico-militare votata al fallimento. Vista attraverso gli occhi di un giovane milite non ancora ventenne, idealista ma immaturo nella sua capacità di giudizio, la vicenda acquista i toni semifiabeschi di una " grande vacanza " in cui, però, il dubbio e la morte fanno costante, minaccioso capolino. Potenzialmente una gran bella storia che, in mani più esperte, avrebbe potuto darci un film migliore. Debole nella costruzione drammatica, non sempre recitato come si sarebbe dovuto dall'attore principale ( Jacques Charrier, allora marito di Brigitte Bardot, è belloccio e simpatico ma piuttosto monocorde ) e da Eleonora Rossi Drago: sensuale, bellissima ma inferiore come interpretazione a quella che aveva dato del personaggio della vedova di cui si invaghisce il protagonista in " Estate violenta " di Zurlini, girato tre anni prima. Il film avrebbe avuto una grande occasione, quella di raccontare i "seicento giorni " di Mussolini dalla parte dei vinti, quella sbagliata, ma non meno degna di ascolto. Per motivi di politica contingente , Montaldo ed i suoi sceneggiatori non hanno avuto il coraggio di spingersi in profondità e sembra che ad ogni piè sospinto vogliano quasi farsi perdonare di parlare di " brigate nere " e non di partigiani. Resta la regia, buona in alcune scene di esterni , più a suo agio peraltro negli interni contadini o borghesi, dove un certo estro di Montaldo nel piazzare la macchina da presa alla giusta distanza dei personaggi ha maggiore, plastico risalto. Un film , comunque , da vedere per la sua unicità nel panorama cinematografico italiano di quegli anni e per la ricostruzione storica davvero accurata ma non troppo invadente.
Please find here a short commentary in english on the most recent film by Polanski :
" J'accuse " ( "I accuse " ) was the title of a long , devastating article published by Emile Zola, the well-known french novelist, at the end of the XIX century that revealed the false accusations made by the Army four years before against an officer suspected of being a spy working for the Germans, a certain captain Alfred Dreyfus, recognized guilty by a military court and deported to a harsh imprisonment in a small, deserted island. " L'affaire ", as the French would call it, started a bit later thanks to the doubts and new evidence gathered by an other officer, lieutenant colonel Picquard who, risking his reputation and his job, tried to affirm the innocence of Dreyfus who , being a jew, seemed an easy target to hit for a chauvinist and antisemitic french public opinion. The film by Roman Polanski, the acclaimed but sometimes controversial director living now in France,is a fine account of this historical episode, full of passion and morality: Picquard does not love the jews himself but struggles for the truth and the honour of an officer falsely accused. Beautifully interpreted by all the actors involved ( Jean Dujardin , first of all, acting as Picquard ) the plot is well crafted and the direction by Polanski absolutely remarkable, worth the entire film. Simply a must for the intelligent moviegoer.
Veuillez trouver ci-dessous un court commentaire en francais sur " J'accuse " :
" J'accuse ", inutile de le rappeler, ce fut le titre d'un article célèbre publié par Emile Zola en 1898 sur le quotidien " L'Aurore " qui démontait les fausses accusations adressées par l' Armée francaise à un capitaine de l'Etat Majeur, Alfred Dreyfus, soupconné d'etre un espion au solde des Allemands. Condamné à deux réprises par une Cour Militaire, Dreyfus fut déporté à l'Ile du Diable dans de conditions épouvantables jusqu'au moment ou son innocence fut prouvé et les intrigues de ses adversaires, poussés par la haine du juif, furent démasquées. Protagoniste de la lutte pour affirmer l'innocence de Dreyfus était un lieutenant colonel , Picquard , qui s'acharna à démontrer la machination des accusateurs de Dreyfus par pur ésprit de justice et respect de la dignité de l'homme. En retracant les évènements avec beaucoup de soin et une véritable passion historique, Polanski , qui a réduit le roman de Richard Harris sur l' " affaire ", se montre particulièrement inspiré, quoique fort rétenu dans la forme, en rendant cinématographique à l'ennième puissance ce film courageux et humaniste. Le metteur en scène, aidé par des interprètes fort vaillants, arrive à nous donner une réconstitution historique très convaincante et un beau drame, efficace et modéré en meme temps,digne d'un grand homme de cinéma sur son personnel boulevard du crépuscule. A signaler que, en concours à Venise cette année, il aurait pu tranquillement gagner le premier prix ne fut-ce l'histoire véreuse dont Polanski après 50 ans est encore accusé aux Etats -Unis !
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