domenica 7 aprile 2019

" TOM A' LA FERME " di Xavier Dolan ( Canada,2013 )

Folgorante inizio, quello di " Tom à la ferme " ( " Tom nella fattoria " ) del canadese Xavier Dolan. Vista dall'alto, una automobile che sembra piccola piccola nell'immensità desolata della campagna autunnale procede spedita verso il suo obiettivo. Obiettivo che, scopriremo nella inquadratura successiva, è una grande fattoria persa nel nulla ( le distanze  nell'immenso  Canada  sembrano a volte siderali )  e dove niente testimonia  una qualunque forma di presenza umana. Questo almeno è quanto sembra al giovane protagonista che, sceso di vettura, bussa inutilmente alla porta controllando che l'indirizzo che gli hanno scritto su un pezzetto di carta sia quello giusto. Entrato finalmente ( un mazzo di chiavi si trova a terra davanti all'uscio come se aspettasse semplicemente di essere raccolto ) ci rendiamo conto che in casa non vi è nessuno. Addormentatosi il giovanotto alla tavola di cucina dove,stanco per il viaggio, si è seduto, nella inquadratura successiva scorgiamo un nuovo personaggio, una donna anziana  che, immobile e in silenzio, lo osserva prima che egli si risvegli ed inizi  così il dialogo del film.

Mette conto di partire da qui, da questo straordinario " incipit " che , per la tensione ed il mistero che avvolgono l'intera sequenza, ricorda Hitchcock e le sue inquadrature cariche di controllatissima suspense, per sottolineare quanto nel cinema di questo giovanissimo autore (24 anni al'epoca del film ) i confini tra realtà ed irrealtà, verità ed artifizio, siano volutamente labili, filtrati come sono attraverso la mente ed i sensi dei suoi personaggi, ingannevoli e cangianti come accade spesso per ognuno di noi. In parallelo, del resto, verrebbe fatto di aggiungere, con il cinema stesso, con la sua essenza manipolatrice della nostra coscienza-incoscienza di spettatori disposti a farci catturare dalla finzione che si sviluppa davanti ai nostri occhi. Ed anche in questa storia ( se " storia " è, e non invece un sogno partorito dall'inconscio del protagonista ) siamo subito immersi in una atmosfera ambigua e mistificante. Possiamo vivere, infatti,  le situazioni che ci vengono mostrate sullo schermo come un dramma veristico-rurale dove l'intolleranza e la chiusura animalesca fanno da violento contrasto all'autenticità dei sentimenti ed all'ingenuità dei propositi del protagonista, oppure come uno di quegli incubi che possiamo vivere anche da svegli e che quanto più sono assurdi , tanto più assumono le sembianze del reale e del vero. O, meglio ancora, un incrocio tra questi due estremi uniti, come sempre nell'arte, dall'immaginazione creatrice dell'autore stesso.

Giunto  nella campagna quebecchese da Montréal per dare l'estremo saluto alla salma del collega di lavoro Guillaume, appena defunto ed al quale, in città,  lo univa un legame amoroso, Tom si accorge che nella fattoria della famiglia del compagno la madre di questi , Agathe, è totalmente all'oscuro degli orientamenti affettivi del figlio ( il quale, come copertura, si era perfino inventato una fidanzata, una compiacente " ragazza delle fotocopie" giù in ufficio ).Al contrario di quanto  non sospettasse invece il fratello del defunto, Francis - un vero bruto dedito solo al pesante lavoro nella stalla, con qualche bottiglia di birra ed una sniffata di coca ogni tanto -  il quale non vuole però ora che Tom, come pur si proponeva di fare, effettui postumo  e pubblico "outing "  a nome di Guillaume, togliendo alla madre  ogni illusione sul figliolo scomparso. Pressato violentemente da Francis ( cui, a sua volta, non sono del tutto estranee oscure pulsioni omofile ) Tom non solo è costretto al silenzio ma in pratica, anche su invito di Agathe  che in lui rivede probabilmente qualcosa del figlio, si scopre impossibilitato a lasciare la fattoria. Rivestito dai panni del defunto Guillaume ed indotto al duro lavoro di stalliere e di contadino, insidiato sempre di più dalle oscure minacce che sembrano gravare su di lui in quell'atmosfera falsa e soffocante... il finale non si racconta come in ogni " thriller " che si rispetti.

Ho voluto raccontare la trama ( sarebbe meglio dire l'apparente intelaiatura del film ) per rendere l'idea di come questa si presti a quegli infingimenti e a quel giochi a rimpiattino tra realtà e finzione cui Dolan , da " J'ai tué ma mère " del 2009 a " Mommy " del 2014, ci ha ormai abituato. Accusato di essere talvolta troppo lezioso o cerebrale, il suo cinema non è in realtà nè l'uno nè l'altro. " Costruito " lo è senz'altro, questo sì. Ma ditemi quale autore non lo sia ( Dolan , oltre che sceneggiatore e regista, monta da sè i propri film e ne cura il sonoro e l'accompagnamento musicale ) una volta dato per scontato che ogni opera d'arte è frutto certamente di una intuizione, un moto dello spirito creativo. Ma è poi necessariamente anche " forma ", cioè un involucro fatto di immagini, suggestioni estetiche e perfino strizzatine d'occhio, che quel moto avvolge ed esplicita e che va quindi studiata e curata in ogni minimo particolare perchè risulti ad esso coerente e meglio lo traduca ai nostri occhi. Dubitare della "sincerità" di Dolan o lamentarsi per quel tanto di eccesso e di spiazzante  goliardia che  è dato rinvenire anche in " Tom à la ferme " non ha quindi senso. E, nello stesso ordine d'idee, vanno accettate le non poche battute di spirito, quasi surreali, che spuntano qua e là nel dialogo di una storia tanto cupa e violenta. A ricordarci che si tratta dell'adattamento di un dramma , sempre di un autore quebecchese, che Dolan ha voluto assumesse echi e sonorità proprie del teatro dell'assurdo e della minaccia, denso di spunti umoristici, tipico del grande commediografo inglese ( e sceneggiatore lui stesso ) Harold Pinter, con il quale non pochi sono i punti di contatto intrattenuti dal giovane canadese.

Visivamente il film è bellissimo ( merito anche della fotografia ). Senza troppe " cartoline turistiche " sul fiammeggiante autunno canadese, prevalgono qui le brume e le piogge che preludono al gelo dell'inverno. Un'atmosfera soffocante, rischiarata a tratti da una luce irreale , come può essere a volte proprio quella dei nostri sogni, vedasi ad esempio nella scena del capannone in cui Tom e Francis ballano un tango con tanto di ironico " casché ". E gli ambienti troppo illuminati al néon delle taverne stradali ( quella della sequenza  prima del finale ) sembrano beffardamente rinviare all'oscurità della distesa dei campi circostanti gravidi di insidie. Proprio la campagna, dipinta idillicamente rispetto ai mille pericoli della città da tanto cinema e letteratura, acquista qui una tonalità inquietante , da cui  riusciamo a liberarci solo alla fine , quando torniamo alle mille luci scintillanti nella rassicurante, protettiva verticalità delle metropoli nordamericane. Tom è lo stesso Xavier Dolan,intrigante ed ambivalente quanto è necessario al personaggio. Efficaci anche gli altri attori,tutti dal saporito timbro di voce franco-canadese. Ma non vi illudete di vedere la versione originale senza dover fatalmente fare ricorso ai sottotitoli. La lingua che parlano  correntemente in Québec ha, come saprete, nel modo in cui è pronunziata e in certe espressioni idiomatiche,pochi punti di contatto con il francese che conosciamo. Elemento ulteriore di " straniamento " e di  singolarità in un film che  di sorprese ne riserva più d'una.


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