A distanza di vent'anni uno dall'altro, due vecchi film ( del 1942, quasi la...preistoria , il primo e del 1962 il secondo ) mettono in evidenza, nelle rispettive trame, una progressiva crescita, una significativa evoluzione del personaggio principale. Anche qui, come la settimana scorsa, siamo di fronte ad opere diversissime per significato, valore artistico, e quindi godibilità per lo spettatore di oggi che, prendendosi una forzata vacanza dall'attualità, si abbandoni momentaneamente al piacere di frugare nei reperti del passato. Eppure si tratta di opere,in entrambi i casi, che vogliono illustrarci un cambiamento positivo, se non proprio una vera presa di coscienza , di due esseri umani inizialmente deboli,ripiegati sul loro piccolo egoismo, incapaci di amare veramente gli altri. Un itinerario esistenziale, questo, che è alla base della fortuna di tanto cinema e di tanta narrativa di ogni epoca dacchè la speranza di tutti noi - quella che alimenta le nostre stesse esistenze - sta proprio nella possibilità di trasformarci in meglio, di diventare più buoni, più coraggiosi, più saggi. C' è spazio per un nostro autentico miglioramento, se solo lo cerchiamo e lo vogliamo , sembrano dirci le più interessanti "fiction " di ieri e di oggi. Ed è per questo che l'arte, talvolta, ha un valore non solo consolatorio dagli affanni e dalle delusioni della vita ma di autentico stimolo per la nostra coscienza.
Il primo film , immagino poco noto ai più e di cui debbo la conoscenza ad un mio caro amico, è un puro prodotto della cinematografia italiana negli anni della seconda guerra mondiale. " I tre aquilotti ", diretto da Mario Mattoli ( regista che, dopo il conflitto, si specializzerà in film leggeri, tra cui diversi quelli con Totò ) racconta la vicenda di un allievo ufficiale pilota inizialmente un pò troppo disinvolto e superficiale, incline alla scarsa considerazione degli altri e ad un certo dongiovannismo da strapazzo. Il giovanotto, come vedremo nella seconda parte della pellicola, cambierà però atteggiamento di fronte alle piccole avversità della vita: un amore contrastato a causa della cattiva fama che lo accompagna ed una contemporanea delusione professionale ( perde l'attitudine al volo ed è mestamente confinato, una volta al fronte, a compiti puramente di supporto ). Un incidente bellico occorso ad uno dei suoi due inseparabili compagni di vita militare, fratello oltretutto della ragazza da lui amata, gli darà però occasione di riscattarsi salvando eroicamente l'amico ed ottenendo finalmente la mano della fanciulla.Fornito di una trama esile, trattata spesso con qualche approssimazione psicologica ma senza soggiacere troppo a quei richiami propagandistici che sarebbe stato lecito attendersi, il film vale per la sincerità del proposito, la linearità esemplare del racconto ed il taglio quasi documentaristico delle numerose scene ambientate all'interno dell' Accademia Aeronautica, ubicata allora nella splendida reggia di Caserta. Il protagonista è un convincente, scanzonato e signorile Leonardo Cortese. Uno degli altri due "aquilotti" è un sorprendente e misurato Alberto Sordi, qui alla sua prima prova cinematografica di un certo peso, quasi commovente, giovane giovane, nell' elegante uniforme con spadino degli " accademisti ". Al di là del soggetto (concepito dal figlio di Mussolini, Vittorio, grande appassionato di cinema ) di sceneggiatura e regia, il film può essere visto anche come una utile testimonianza del nostro passato, indipendentemente dal giudizio storico che occorre riservargli, e spinge ad una più attenta rivisitazione della cinematografia del Ventennio, che è fin qui mancata per tante ragioni.
L'altro film , " Cléo dalle cinque alle sette ", è più conosciuto. Rivelò al pubblico internazionale una regista allora trentatreenne, Agnès Varda, una delle non molte donne in un mestiere ritenuto per tanto tempo poco consono alle signore, che si è andata in seguito costruendo con merito una sua statura di artista. La sfida tecnica e contenutistica era qui quella di far condividere allo spettatore, quasi in tempo reale sullo schermo, le peregrinazioni, gli incontri , i tormenti del personaggio principale, una giovane donna parigina,che si estendono per due ore ( in realtà poco più di un'ora e mezza , quanto dura il film ) di un pomeriggio d'estate. Unità di tempo e di azione, quindi, anche se i luoghi, dalla riva destra ai quartieri sulla riva sinistra della Senna , mutano continuamente .Cléo è una cantante di musica leggera che si crogiola nelle sue modeste ma rassicuranti certezze : un piccolo pubblico di affezionati " fans ", una governante-factotum che la protegge dalle noie minute della quotidianità, musicisti e parolieri rassegnati ai suoi capricci, perfino un amante ricco ed elegante ma poco ingombrante. Un brutto giorno - lì incomincia il film - Cléo ha un presagio di morte consultando una cartomante ( in effetti è malata , forse anche gravemente, apprendiamo che quello stesso pomeriggio un medico deve darle il risultato di una biopsia ) e la sua vita incomincia improvvisamente a vacillare. Abbandonati i suoi gracili punti di riferimento, in preda ad una agitazione che è prodromo di mutamento, esce senza meta precisa da sola per Parigi. Si reca a trovare un'amica meno fortunata ma più spensierata che fa la modella di nudo per sopravvivere, erra per il parco di Montsouris, si imbatte in un giovane soldato in licenza che sta per ripartire per fare la guerra in Algeria e con lui, col quale ha simpatizzato ritrovando l'innocenza dei primi incontri, va all' Ospedale della Salpetrière per incontrare il medico che le deve dare il responso. La sua esistenza sta cambiando. E non soltanto per la circostanza, come scopriremo, che le sue condizioni di salute necessiteranno forse di una lunga cura. Ma soprattutto perchè Cléo , che fino a qui si è sempre e solo " vista " attraverso lo sguardo degli altri rivolto verso di lei, alla sua bellezza ed eleganza un pò artefatte, ha incominciato a " vedere " ciò che la circonda, ad avvertire, come si dice, empatia per il proprio prossimo. Ora è pronta, probabilmente, per accettare la vera vita , anche con le sue inevitabili avversità.
Trama molto originale, itinerario esistenziale davvero esemplare, " Cléo " è anche un magnifico ritratto di donna dei nostri tempi( ancorchè girato quasi sessant'anni fa ) che trova nel malinconico sguardo di Corinne Marchand , la splendida interprete del personaggio, una luce, una risonanza di grande suggestione. La donna ha conquistato ormai la propria indipendenza economica, la propria autonomia di giudizio. Ma è ancora emotivamente fragile, vittima del modo con cui la società continua a guardarla, a classificarla : così come succede per la sua amica modella, che nuda davanti agli apprendisti scultori, non è vista nella sua interezza di " persona " ma piuttosto come un assemblaggio di parti anatomiche da riprodurre e modellare. " Une femme qui se cherche ", direbbero i francesi e coglierebbero perfettamente quel vuoto, quella mancanza esistenziale che impedisce al personaggio femminile la sua compiuta realizzazione fino al momento in cui un fatto esterno ( la malattia ) non si incarica di schiuderle le porte della vera vita. Ma se Cléo regge sulle sue morbide spalle gran parte di quest' opera così delicata e struggente , Parigi non è da meno nel ritagliarsi un'altra porzione consistente del fascino che ancora oggi emana dal film. Ricordandosi dei suoi freschissimi trascorsi di fotografa e di documentarista, autrice di saporiti cortometraggi, Varda ci offre nel lungo vagabondare della protagonista un meraviglioso ritratto di questa singolare, suggestiva città, dai quartieri popolari ancora brulicanti di vita alle rive del fiume e dei canali, sui marciapiedi invasi dai tavolini dei caffè al traffico che scorre come un incessante e disordinato corso d'acqua. Agnès è morta a novant'anni qualche giorno fa, dopo avere molto vissuto , molto amato e avendoci lasciato, oltre a " Cléo " che è il suo capolavoro, diversi altri film ( ricorderete almeno l'ultimo, " Visages villages ", di cui parlammo l'anno scorso ). Mi piace, mentre scrivo, rivedere il suo sorriso, il suo caschetto di capelli, riudire la sua intonazione di voce così chiara e semplice, senza affettazioni di sorta, lei che ha lasciato una traccia non trascurabile nella storia del cinema europeo.
L'altro film , " Cléo dalle cinque alle sette ", è più conosciuto. Rivelò al pubblico internazionale una regista allora trentatreenne, Agnès Varda, una delle non molte donne in un mestiere ritenuto per tanto tempo poco consono alle signore, che si è andata in seguito costruendo con merito una sua statura di artista. La sfida tecnica e contenutistica era qui quella di far condividere allo spettatore, quasi in tempo reale sullo schermo, le peregrinazioni, gli incontri , i tormenti del personaggio principale, una giovane donna parigina,che si estendono per due ore ( in realtà poco più di un'ora e mezza , quanto dura il film ) di un pomeriggio d'estate. Unità di tempo e di azione, quindi, anche se i luoghi, dalla riva destra ai quartieri sulla riva sinistra della Senna , mutano continuamente .Cléo è una cantante di musica leggera che si crogiola nelle sue modeste ma rassicuranti certezze : un piccolo pubblico di affezionati " fans ", una governante-factotum che la protegge dalle noie minute della quotidianità, musicisti e parolieri rassegnati ai suoi capricci, perfino un amante ricco ed elegante ma poco ingombrante. Un brutto giorno - lì incomincia il film - Cléo ha un presagio di morte consultando una cartomante ( in effetti è malata , forse anche gravemente, apprendiamo che quello stesso pomeriggio un medico deve darle il risultato di una biopsia ) e la sua vita incomincia improvvisamente a vacillare. Abbandonati i suoi gracili punti di riferimento, in preda ad una agitazione che è prodromo di mutamento, esce senza meta precisa da sola per Parigi. Si reca a trovare un'amica meno fortunata ma più spensierata che fa la modella di nudo per sopravvivere, erra per il parco di Montsouris, si imbatte in un giovane soldato in licenza che sta per ripartire per fare la guerra in Algeria e con lui, col quale ha simpatizzato ritrovando l'innocenza dei primi incontri, va all' Ospedale della Salpetrière per incontrare il medico che le deve dare il responso. La sua esistenza sta cambiando. E non soltanto per la circostanza, come scopriremo, che le sue condizioni di salute necessiteranno forse di una lunga cura. Ma soprattutto perchè Cléo , che fino a qui si è sempre e solo " vista " attraverso lo sguardo degli altri rivolto verso di lei, alla sua bellezza ed eleganza un pò artefatte, ha incominciato a " vedere " ciò che la circonda, ad avvertire, come si dice, empatia per il proprio prossimo. Ora è pronta, probabilmente, per accettare la vera vita , anche con le sue inevitabili avversità.
Trama molto originale, itinerario esistenziale davvero esemplare, " Cléo " è anche un magnifico ritratto di donna dei nostri tempi( ancorchè girato quasi sessant'anni fa ) che trova nel malinconico sguardo di Corinne Marchand , la splendida interprete del personaggio, una luce, una risonanza di grande suggestione. La donna ha conquistato ormai la propria indipendenza economica, la propria autonomia di giudizio. Ma è ancora emotivamente fragile, vittima del modo con cui la società continua a guardarla, a classificarla : così come succede per la sua amica modella, che nuda davanti agli apprendisti scultori, non è vista nella sua interezza di " persona " ma piuttosto come un assemblaggio di parti anatomiche da riprodurre e modellare. " Une femme qui se cherche ", direbbero i francesi e coglierebbero perfettamente quel vuoto, quella mancanza esistenziale che impedisce al personaggio femminile la sua compiuta realizzazione fino al momento in cui un fatto esterno ( la malattia ) non si incarica di schiuderle le porte della vera vita. Ma se Cléo regge sulle sue morbide spalle gran parte di quest' opera così delicata e struggente , Parigi non è da meno nel ritagliarsi un'altra porzione consistente del fascino che ancora oggi emana dal film. Ricordandosi dei suoi freschissimi trascorsi di fotografa e di documentarista, autrice di saporiti cortometraggi, Varda ci offre nel lungo vagabondare della protagonista un meraviglioso ritratto di questa singolare, suggestiva città, dai quartieri popolari ancora brulicanti di vita alle rive del fiume e dei canali, sui marciapiedi invasi dai tavolini dei caffè al traffico che scorre come un incessante e disordinato corso d'acqua. Agnès è morta a novant'anni qualche giorno fa, dopo avere molto vissuto , molto amato e avendoci lasciato, oltre a " Cléo " che è il suo capolavoro, diversi altri film ( ricorderete almeno l'ultimo, " Visages villages ", di cui parlammo l'anno scorso ). Mi piace, mentre scrivo, rivedere il suo sorriso, il suo caschetto di capelli, riudire la sua intonazione di voce così chiara e semplice, senza affettazioni di sorta, lei che ha lasciato una traccia non trascurabile nella storia del cinema europeo.
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