lunedì 17 dicembre 2018

" SANTIAGO, ITALIA " di Nanni Moretti ( Italia, 2018 ) / " L'AVVENTURA " di Michelangelo Antonioni ( Italia, 1959 )

Settembre 1973. Chi non ricorda il colpo di stato in Cile che rovesciò il  governo legittimo guidato da Salvador Allende ed instaurò la dittatura militare con a capo il generale Pinochet ? Furono giorni di paura e di sofferenza per i militanti della coalizione di " Unidad popular ", sconfitti, perseguitati, molti di loro costretti alla fuga, numerosi imprigionati, torturati, uccisi. E dovunque nel mondo, ma in particolare in Europa occidentale, un moto di simpatia e di solidarietà accompagnò la triste sorte di chi aveva sperato in un Cile più giusto ed aveva visto spazzati via in poche ore tutti i propri sogni. In sede storica può naturalmente discutersi sugli errori di Allende e dei suoi nelle settimane prima del " golpe " e sui rischi di una pericolosa deriva che aleggiava su quel tentativo di governo in una temperie internazionale sempre più delicata. Resta il fatto di una brutale interruzione di un processo democratico che aveva visto una vasta e sincera partecipazione di masse un tempo del tutto emarginate e di una susseguente, violenta, spietata caccia al " nemico " da parte delle forze della restaurazione. Di vicende così drammatiche, e che hanno impresso sul Cile un marchio indelebile per quasi vent'anni, il cinema si è occupato più di una volta dandoci racconti spesso straordinariamente efficaci quando non abilmente allusivi ad un passato difficile da lasciarsi alle spalle. A fronte di ciò non è facile comprendere cosa , a distanza di quarantacinque anni e senza alcun episodio specifico, anniversario , commemorazione che ne spiegasse la genesi, abbia spinto oggi Nanni Moretti a darci il " suo " personalissimo contributo su avvenimenti tanto tormentati e lontani . O meglio, la chiave di lettura è evidente. Un gruppo di cileni già seguaci di Allende ed  emigrati in Italia , spesso con il concorso attivo delle nostre autorità, unitamente ad altri militanti rimasti in Cile a volte dopo anni di persecuzioni ed incarceramenti,ad opera di Moretti stesso rende  ora testimonianza su di un momento importantissimo per le forze di sinistra nel mondo, in singolare controcanto alla fase attuale di generale inaridimento ideale e di ripiegamento delle speranze rivoluzionarie di un tempo.

Resta peraltro  che il documentario " Santiago, Italia " - pur generoso nel suo intento - fallisce in gran parte proprio i due obiettivi che è presumibile si ponesse. Non tentativo di contributo critico di che cosa sia successo in quelle settimane così drammatiche che precedettero e seguirono il colpo di stato ( le interviste sono tutte alquanto monocordi, appiattite in uno  scontato" reducismo " da circolo di anziani ex combattenti, e le uniche due di seguaci di Pinochet sono troppo grottesche per offrire un qualunque " minority report " ) il film non spiega neanche bene lo straordinario sforzo collettivo che aiutò alcune migliaia di cileni a trovare rifugio in Italia . Una pagina questa che, al di là come la si possa pensare su Allende ed i disegni di una parte delle forze che lo appoggiavano, fa assolutamente onore al nostro paese ed è storia, sorprendentemente, ancora poco conosciuta anche da noi dove tutta la problematica dei diritti umani, del resto, trova sempre così scarso riscontro. Ma qui sarebbe occorso dare maggiore spazio alla testimonianza dei  funzionari in servizio allora presso la nostra Ambasciata in Santiago ( alcuni dei quali, per parte loro,  hanno scritto efficaci e commoventi resoconti di quell'esperienza ) e chiarire meglio lo sforzo diplomatico che condusse alla partenza , a volte dopo anni, dei cileni che avevano trovato fortunosa accoglienza in quella istituzione. Insomma, nè  abbozzo di ricostruzione storica di quegli avvenimenti nè iniziativa di divulgazione di una pagina poco nota della nostra tradizionale" pietas " verso chi soffre, quando non di vera e propria presa di coscienza delle ingiustizie che ogni giorno si compiono nel mondo , il film offre poco ad una nuova lettura dei fatti del Cile e quasi niente sul piano dell cinema stesso. Che Moretti debba trovarsi in un momento difficile sul piano personale ed artistico lo si intuiva già e se ne ha qui preoccupante conferma. Peccato per quei pochi attimi di autentica commozione che a volte emergono dalle varie interviste e che fanno rimpiangere il bel documentario che " Santiago, Italia " avrebbe potuto essere e non è stato. 

La Cineteca di Bologna, già responsabile di alcuni prestigiosi restauri di opere cinematografiche italiane e non, ha ora " in portafoglio " anche quello di un autentico capolavoro , non più visto su grande schermo negli ultimi anni ed introvabile anche in DVD a causa delle condizioni del negativo. Parlo di " L'avventura " , il film del 1959 di Michelangelo Antonioni che  lanciò definitivamente  il regista a livello internazionale. Personalmente non lo rivedevo proprio da quasi sessant'anni per le ragioni anzidette. Estimatore, in epoca a noi più vicina, delle prime e già importanti opere del regista ferrarese, da " Cronaca di un amore " ( 1950 ) a " Il grido " ( 1957 ), confesso che vidi " L'avventura " ( avevo forse diciott'anni o poco di meno ) senza conoscere i suoi film precedenti e influenzato probabilmente da un'accoglienza non proprio entusiastica di quella parte della critica italiana che gli contrapponeva il più solare e speranzoso Fellini così come i " mostri sacri " del neorealismo ,  più semplici da capire ed amare. Lo trovai allora  troppo lungo e noioso, ambiguo nel suo significato, irrisolto sul piano drammatico. Ad una nuova visione della copia restaurata, su grande schermo presso la Cineteca di Milano, faccio oggi ammenda di quel giudizio evidentemente affrettato e privo della necessaria prospettiva ( unica qualità che, ammetterete, matura col tempo per qualsiasi spettatore ).Il film in realtà, fatta ancor oggi la tara di una eccessiva lunghezza - due ore e venti - non pienamente giustificata dal suo sviluppo narrativo ( " La dolce vita " o " Rocco e i suoi fratelli " durano ancora di più ma sono affreschi di maggiore complessità e maestosa composizione ) è in realtà l' eccezionale prodotto di un cineasta di genio. Girato in circostanze di notevole difficoltà ambientale sullo scoglio di Lisca Bianca ( Isole Eolie, non lontano da Panarea ) e poi, sempre in esterni, a Noto, la capitale del barocco siciliano e, nelle ultime sequenze, a Taormina nel prestigioso hotel " San Domenico Palace ", ha una vicenda assai minimalista. Un brillante ma volubile architetto, Sandro, nel corso di una crociera al largo della Sicilia, " perde " la propria amante,Anna, scomparsa in circostanze misteriose. Messosi alla ricerca della ragazza senza troppa convinzione, accompagnato da un'amica di lei, Claudia, intreccia ben presto una relazione con quest'ultima ma, nel finale, la tradisce con una " escort "straniera di passaggio. Materiale da cineromanzo o da fumetto, si direbbe. E, in certi punti, il dialogo e talune situazioni( che la critica del 1960, quando il film uscì sugli schermi, impietosamente rilevò ) potrebbero dare la sensazione di un melodramma qualsiasi allo spettatore superficiale o leggermente prevenuto.

Niente di più sbagliato. In realtà, come anche nei precedenti film di Antonioni, il nocciolo della questione non è la vicenda in sè. Quanto piuttosto la difficoltà dei personaggi di essere sinceri, con sè stessi e con gli altri, liberandosi dalle sovrastrutture  della tradizione, dei pregiudizi, della morale corrente. Mentre il mondo si trasforma continuamente, sostiene in un suo interessante scritto il regista, l'umanità rimane ferma, legata sempre agli  stessi vecchi schemi. Ne consegue una incapacità di aprirsi realmente al nostro prossimo, fossero anche le persone che crediamo di amare ( la citatissima " incomunicabilità "  con cui fu etichettato il suo cinema ) la superficialità dei rapporti interpersonali, in breve la difficoltà o addirittura la sofferenza del vivere quotidiano. Ma tutto questo, si badi , lungi dal rimanere pura enunciazione teorica che - come succede talvolta ad un cinema troppo " letterario "- non riesce poi a calarsi compiutamente nelle immagini, trova qui in ogni inquadratura un inveramento, una evidenza plastica interamente e puramente cinematografici. Lunghi silenzi, una fotografia in bianco e nero di rapinosa, struggente bellezza, cittadine desolate che sembrano popolate solo di uomini tristi  e senza donne, campi lunghi che ci mostrano le nude, desolate rocce a strapiombo dello scoglio dove scompare misteriosamente Anna ( una splendida, intensa Lea Massari ), primi piani del volto sfuggente ed ambiguo di Sandro ( un incisivo ed inquietante Gabriele Ferzetti ) o della solare, biondissima Claudia ( una sorprendente  Monica Vitti al suo esordio ) si inseguono e si intersecano per darci la sensazione visiva ed immediata della lunga pena, del faticoso errare che è la nostra stessa esistenza. C'è speranza di salvezza  in tutto questo ? Le due ultime bellissime inquadrature, che lascio allo spettatore il piacere di scoprire, lascerebbero intendere di sì, anche se i sentimenti, specie quelli amorosi,sembra suggerirci l'autore, non possono che restare fatalmente superficiali e precari.Il film ci fa anche ricordare, su di un altro piano visivo, che Antonioni fu ( e rimase sempre )anche un grande documentarista. Qui abbiamo, specie nella seconda parte, un lungo ed appassionante reportage sulla Sicilia alla fine degli anni cinquanta, l'equivalente cinematografico di un " album " di foto di Cartier Bresson.  La sceneggiatura, per quello che vale, è dello stesso Antonioni e di Tonino Guerra. Ma quiel che conta veramente è  soprattutto  la regia, il ritmo erratico eppure sempre intenso che Antonioni imprime alla sua creazione, i movimenti di macchina lenti ma che sempre ci stupiscono per la loro precisione e morbidezza vellutata, la recitazione leggermente teatrale ( voluta, in un film antinaturalistico e " didascalico " ) ma di grandissima intensità. In definitiva, un film che, rivisto oggi, rivela nuovi sapori ed  induce ad un sottile rimpianto per cio' che era il grande cinema italiano di quegli anni ( 1959- 60 : " L'avventura " , " La dolce vita " e " Rocco e i suoi fratelli " : scusate se è poco.... )


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