venerdì 12 ottobre 2018

" SULLA MIA PELLE " di Alessio Cremonini ( Italia, 2018 )

Quando una persona viene posta in stato di detenzione, colpevole o innocente che sia, deve poterne uscire nelle condizioni fisiche in cui vi è entrata. Se non sempre è  così (e le alcune centinaia di morti o di lesioni gravi  nelle carceri o nella camere di sicurezza italiane stanno a testimoniarlo ) è un fatto molto serio, che richiede ogni volta di essere indagato a fondo. Durante la custodia delle persone, di breve o di  lunga durata, consentita o imposta dalle nostre leggi, continuano a sussistere infatti il diritto all'integrità fisica e, aggiungerei, il diritto al rispetto, anche da parte dei propri custodi, che è uno dei valori fondanti di uno stato che ambisca a definirsi civile ed osservante dei diritti umani. Anzi, proprio il trattamento riservato agli arrestati e ai detenuti, non solo sulla carta ma nella realtà pratica, dovrebbe essere uno dei tratti distintivi di un autentico stato di diritto rispetto ai regimi che si basano sull'arbitrio e sul disprezzo dei diritti degli individui.
Sono le prime, spontanee riflessioni che sorgono a caldo, insieme ad una grande pena per una giovane vita stroncata dalla malvagità e dall'incuria da chi aveva il dovere di proteggerla, dopo la visione del film " Sulla mia pelle ", presentato alla fine di agosto alla "Mostra" di Venezia, ora in programmazione nelle sale e visibile anche,apprendo e riferisco,  sulla piattaforma di "Netflix" che lo ha prodotto. Dirò subito che il film, ancorchè chiaro ed esauriente  nel ricostruire il caso di Stefano Cucchi , il giovane geometra romano deceduto mentre era in custodia cautelare - siamo nell'ottobre del 2009 - in attesa di essere processato per spaccio e detenzione di droga, va ben al di là del semplice fatto di cronaca. Esso tocca in realtà aspetti molto delicati e sensibili, praticamente universali, del rapporto tra dominanti e dominati , autorità e cittadino, in cui al legittimo esercizio di un potere si uniscono talvolta  evidenti istinti di sopraffazione quando non vere e proprie pulsioni di distruzione e di morte. E non si pensi , alzando le spalle , che tanto a noi, cittadini onesti e rispettosi delle leggi, questo non potrà mai capitare. I terribili casi di errori giudiziari ( si pensi ad Enzo Tortora ) o i semplici episodi di fermi, arbitrari o non come nella vicenda  del povero Cucchi, da parte delle forze dell'ordine sono lì a ricordarci che tutti possiamo un giorno incappare in una brutta avventura. Questa volta è toccato a me , " sulla mia pelle ", sembra ricordarci il protagonista di questa tragedia. Ma è anche sulla "tua", caro lettore, anzi sulla "nostra" pelle che tutto quanto accade nella vita di ogni giorno, e viene oggi mostrato sullo schermo, profondamente incide. Anche se non ne siamo direttamente colpiti, ogni ingiustizia , ogni lesione del patto di civile convivenza sottoscritto tra i cittadini, turba il quadro sociale e giuridico nel quale si svolge la nostra esistenza. E' una ferita che si unisce alle altre . Non può, in definitiva, lasciarci indifferenti. 

Il film, prendendo le mosse dalla morte di Cucchi, ripercorre quella terribile settimana intercorsa tra l'inizio della sua sfortunatissima vicenda ed il decesso in carcere. Assistiamo così a quanto occorso quella sera di inizio autunno quando il giovane,con qualche piccolo precedente penale alle spalle e un passaggio in una comunità terapeutica, fu fermato per un controllo dai carabinieri che lo sospettavano di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti ed entrò,  apparentemente sano, in una  camera di sicurezza di una stazione dell' Arma. Ne uscì, come vediamo sullo schermo, la mattina dopo in evidente stato di sofferenza fisica, il volto vistosamente tumefatto e fortissimi dolori alla schiena. Condotto in tribunale a Piazzale Clodio , il suo arresto fu convalidato frettolosamente senza che giudice e pubblico ministero facessero mostra di stupirsi delle sue infermità  e ritenessero di promuovere un'inchiesta volta a rinvenirne la cagione. Tradotto quindi a Regina Coeli in attesa di un processo che si sarebbe celebrato di lì ad un mese, venne  trasferito in infermeria quando le sue condizioni si aggravarono in conseguenza delle numerose fratture e dei danni renali riportati in quello che avrebbe dovuto apparire subito come un brutale pestaggio. Senza che i familiari, impediti dalle lungaggini burocratiche, ottenessero il permesso di fargli visita, Cucchi morì all' Ospedale Pertini dopo una terribile agonia. Diventata un caso nazionale grazie anche all'ostinata battaglia legale e mediatica condotta dalla sorella maggiore Ilaria, la vicenda  ebbe alterni  seguiti giudiziari. Leggo ora che  proprio in questi giorni, in appello, uno dei tre carabinieri rinviati a giudizio per omicidio preterintenzionale, avrebbe ammesso, dopo nove anni,  le proprie responsabilità ed accusato gli altri due di aver preso parte alla  gratuita e violentissima  "punizione ". Deciderà la magistratura , nella speranza che anche questo non resti uno di quegli episodi opachi di cui, da troppo tempo,  è costellata la storia del nostro paese.

Il grande merito del film, ciò che lo distingue meritoriamente da tanto cinema "militante " in voga negli anni '70 dello scorso secolo, è di non sposare alcuna pregiudiziale visceralmente antitetica alle forze dell'ordine. Con onestà Cremonini, autore egualmente della sceneggiatura, ci mostra anche  dei carabinieri, delle guardie di pubblica sicurezza, degli agenti di polizia penitenziaria non necessariamente inclini al sopruso, anzi sostanzialmente  corretti, che intuiscono il dramma di Cucchi e vorrebbero magari intervenire. Se non vanno fino in fondo è per possibile timore dei loro colleghi, a volte per quieto vivere,quando non per malintesa solidarietà tra " tutori dell'ordine " istituzionalmente contrapposti ai " coatti ", avversi per definizione a  tutti coloro, buoni e cattivi, che incorrano nei rigori della legge. Ciò che sorprende positivamente è ancora, nel film,  l' obiettività nell' esporre i fatti, ricostruiti attraverso i verbali di polizia, quelli del processo di primo grado, le inchieste giornalistiche.  Non solo cioè attraverso le testimonianze di parte dei familiari di Cucchi, che peraltro si intuisce  sia gran brava gente, onesta, quasi stordita dalla tragedia che gli è caduta di colpo sulla testa. Non viene nascosto così che Cucchi stesso aveva trascorsi come consumatore di droghe pesanti, come del resto la circostanza che successive perquisizioni nella casa di sua proprietà rinvennero poi ingenti quantità di stupefacenti ivi stoccate (suffragando l'iniziale ipotesi poliziesca che egli potesse essere anche uno spacciatore ).Ammirevole, va ricordato infine tra i pregi di " Sulla mia pelle ", l'equilibrio, la sobrietà, diremmo quasi l'autocontrollo con cui viene ripercorsa la " via crucis " del giovane geometra romano, dalla serata del suo arresto fino alle ultime ore di vita. Nessun tono sopra le righe , alcun intento declamatorio  ( bastano le immagini, seppur pudiche, a raccontare l'atrocità alla quale stiamo assistendo ) mai la violenza viene mostrata nella sua dinamica , anche per rispetto ad una verità processuale ancora tutta da scrivere. Moderazione, sobrietà, oggettività, non vogliono però dire  "neutralità ". Cremonini sa bene come i detenuti ed i loro sostenitori non abbiano voce , soffocati come sono da un apparato ben più potente ed insidioso. Ed il film giustamente ci indigna per questa disparità ed i troppi sospetti che gravano su  taluni rappresentanti delle forze dell'ordine, ma che peraltro non riescono quasi mai a tradursi in indagini puntuali e soprattutto tempestive. Forze dell'ordine che rimangono in massima parte sane ma in cui è difficile individuare con sicurezza le mele marce. 

Non sono programmaticamente laudativo del cinema italiano di questi ultimi anni. Troppi cascami di un malinteso " realismo " semidocumentaristico ( le varie " suburre " e  " romanzi criminali " campano-laziali, una  sorta di arcadia dell'emarginazione ben lontana dalla corrusca, sincera poesia di Pasolini). Troppi ritagli di " commedie all' italiana " privi dei "tempi"  comici dettati dai magistrali sceneggiatori di una volta e scarnificati ormai dall'assenza di un' autentica capacità di indignazione. Ho esitato prima di andare a vedere questo " Sulla mia pelle ", temendo di incorrere in una nuova delusione. Tutt'altro, posso dire ora con soddisfazione. Si tratta di un film bellissimo che spero avrà quei riconoscimenti, anche internazionali , che assolutamente merita. Un film che fa onore alla nostra cinematografia  rivelandoci un regista non più giovanissimo, appena alla sua seconda prova nel lungometraggio e che già attendiamo con impazienza per un'ulteriore conferma. Guardate come sono scarne ma efficaci le sue inquadrature nel restituirci una Roma, specie notturna, di sorprendente verità negli scorci dei quartieri semiperiferici, così come nel rendere gli interni, siano essi di una abitazione di piccola borghesia oppure di un carcere o di una caserma di carabinieri, veritieri ed emblematici allo stesso tempo. Un vero film realistico , che parte da un frammento di cronaca per aprirsi ad uno sguardo più ampio e doloroso sull'intera condizione umana. Vorrei sottolineare ancora un particolare, prima di terminare . La recitazione è, cosa non più comune nel nostro cinema,  degna di ogni lode, mai troppo colorita eppure del tutto credibile. Due gli  interpreti che mette conto di ricordare, scusandomi con i comprimari egualmente bravissimi  che non cito. Il primo è Alessandro Borghese, uno Stefano Cucchi di eccezionale aderenza al personaggio, con il suo perfetto dominio nell'uso del " romanetto ", cioè l'eloquio neo-romanesco così lontano da quello classico di Belli e di Trilussa.  La seconda è Jasmine Trinca, sempre bella ma assai maturata dai tempi di " Manuale d' amore ", la quale rende magnificamente, nei pochi minuti a disposizione, la forza morale e la dignità della sorella Ilaria . Sono uscito dal cinema ( il nuovo " Cinemino ", già grande qui a Milano ) indignato per ciò che mi è stato mostrato ma anche convinto che , da noi, ci sono ancora tante persone per bene. Ed è una sensazione, credetemi, che dà tanta speranza. 

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