Tornare al cinema, tornare qui a parlare di cinema, è un pò come iniziare un nuovo anno scolastico. Si è pieni di buoni propositi, corroborati dalla pausa estiva ma anche leggermente intimoriti da ciò che ci aspetta , dai lunghi mesi davanti a noi. Ci saranno sempre nuovi film interessanti su cui soffermarsi ? Gli amici cinefili o semplici appassionati o anche solo desiderosi di vedere ogni tanto qualcosa di bello saranno ancora propensi a seguire questa rubrichetta ? Come fare per renderla più attraente ? Mentre per il primo di questi tre interrogativi obiettivamente non posso fare molto ma solo augurarmi che il cinema di qualità resista impavido ai ripetuti assalti delle cattive immagini, televisive e non, da cui siamo quotidianamente assediati, per il secondo e per il terzo prometto che cercherò di fare il possibile, chiedendo scusa fin d'ora se questo, per i lettori,magari non sarà abbastanza.
Dunque, venendo a noi, cioè a ciò che è possibile vedere oggi sugli schermi italiani, la situazione è ancora poco chiara. La " stagione " 2018-2019, quella che ci porterà agli Oscar di febbraio-marzo e si concluderà poi a maggio-giugno con il Festival di Cannes, stenta a decollare. A chi mi chiede cosa andare a vedere, consiglio, con riserva, due soli film che , credo, sono ora in circolazione. Il primo non è un grande film ma si regge interamente sulla interpretazione, l'ultima prima di morire, di un eccezionale attore americano, Henry Dean Stanton. Lo ricorderete , forse, trent'anni fa, in " Paris, Texas " del tedesco Wim Wenders, iconico personaggio dal volto scavato e dalla figura allampanata. Il film si chiama " Lucky " ed è in giro già da un paio di settimane. Da consigliare, insomma, ai nostalgici del " the way we were " e ai " fans " di Stanton.
Il secondo film di un qualche pregio è " Don't worry ", di Gus Van Sant, con il bravissimo Joaquim Phoenix. Non il miglior film di Van Sant, è un onesto " biopic " ( biografia cinematografica ) con qualche pretesa ma si può vedere.
Piuttosto, e qui gettiamo lo sguardo ai film che stanno per approdare ( finalmente ! ) sui nostri schermi dopo una piccola " quarantena " da parte dei distributori , non vi perdete assolutamente il film giapponese vincitore della Palma d'oro , quest'anno, a Cannes. I più diligenti dei miei venticinque lettori ricorderanno che gli ho già dedicato un'intera puntata, il 18 giugno scorso, dicendone tutto il bene che ne penso.Ma, attenzione, uscito da Cannes con il titolo "internazionale " di " Shoplifters " ( i taccheggiatori ) nel frattempo è tornato al titolo che mi dicono sia più conforme all'originale nipponico di " Un affare di famiglia ". Quindi cercatelo sotto questa denominazione, consapevoli però che la sua critica l'ho già ampiamente fatta quando si chiamava in quell'altro modo e che, di massima, non tornerò a parlarvene. Aggiungo solo che il massimo premio è parso a tutti ben meritato e che regia ed interpretazione sono di gran classe. Anche doppiato in italiano non dovrebbe perdere il suo fascino sottile.
E poi, per concludere questa prima parte, occhio non solo ai film di Cannes che ancora in Italia non sono entrati nel normale circuito e che , spero, man mano vedremo, ma anche a quelli della Mostra di Venezia, appena conclusasi. Per gli amici di Roma e di Milano ricordo che un certo numero di essi verrà presentato nelle due città in una, ormai tradizionale, mini-rassegna proprio in questi giorni . Sicuramente ne parlerò. E poi qualcuno di essi potrebbe già andare nelle sale se i distributori ( bontà loro ) lo riterranno opportuno.
Per non perdere la mano, intanto, mi sono dedicato all'analisi critica di due film del passato che vi consiglio di vedere o di rivedere perchè sono due esempi della cinematografia del periodo d'oro, quella degli anni cinquanta e sessanta, quando non solo si facevano bei film ma anche masse cospicue di spettatori affollavano quotidianamente le sale per vederli.
Il primo in ordine di realizzazione ( siamo nel 1953 ) si chiama in Italia " Mano pericolosa " (debbo dire che allora i titoli venivano tradotti-traditi con maggiore inventiva di oggi ) ed è stato scritto e diretto dal talentuoso Samuel Fuller, uno dei maggiori sceneggiatori e registi di Hollywood, l'autore di quel " Quaranta pistole " di cui l'anno scorso vi dissi quanto io lo reputi uno dei più emozionanti film che abbia mai avuto la ventura di vedere. Il titolo originale del film , " Pick up on South Street ",dà subito l'idea dell'argomento. Un borseggiatore appena uscito di galera ( Richard Widmark ) torna a "lavorare" sulla metropolitana newyorchese e sottrae il borsellino di una giovane e piacente passeggera ( Jean Peters ). Dentro non vi è denaro ma un microfilm che ,una volta sviluppato dall'incuriosito ladruncolo, si rivela per una misteriosa formula , non si capisce se fisica o chimica. Scopriremo che è un segreto militare che agenti comunisti stavano cercando di trafugare al di là della cortina di ferro .Di qui una serie di vicende, nelle quali si inserisce perfino una fulminea lovestory tra borseggiatore e derubata, con continui interventi di spioni filosovietici ed agguerriti rappresentanti delle forze dell'ordine. Una sceneggiatura solidissima ( come sempre nei film di Fuller ) spiana la via ad una regia vibrante e serrata al tempo stesso. Sfido chi lo conosce o lo vedrà ( ordinare il DVD in Francia perchè non si trova in Italia ) ad indicarmi una sola scena , che dico, una sola inquadratura che non sia essenziale, che non sia significante nell'uso costante dell'alternanza tra primipiani e campi lunghi, che accrescono la drammaticità , la tensione e la pregnanza di ogni immagine. In breve una gioia per gli occhi ed il cuore dello spettatore,ma soprattutto una autentica lezione di cinema da imporre con la forza a tutti i realizzatori scialbi e perditempo ( da notare che il film dura solo 80 minuti, altro che le due ore e passa diventate ormai la regola, ma non sembra certo che, nella sua breve durata, abbia omesso di dirci qualcosa di importante ) . Un'ultima, curiosa notazione per chi già non la conosca. Uscito in piena guerra fredda, i distributori europei ebbero paura che il film potesse avere , per il suo contenuto anticomunista, brutte accoglienze da parte di quei pubblici locali che simpatizzavano per i partiti di estrema sinistra e camuffarono quindi arditamente nel doppiaggio ,almeno per la distribuzione in Italia e in Francia, le spie filosovietiche in non meglio precisati...trafficanti di stupefacenti ( Il film oltr'Alpe assunse addirittura il titolo fantasioso di " Il porto della droga " ! ).
L'altro film di cui vorrei parlarvi , girato sette anni dopo quello di Fuller ( siamo dunque nel 1960 ) è una delle più celebri - e giustamente celebrate - " commedie all'italiana ". Quel filone, protrattosi ancora per buona parte degli anni '70, che propose un cinema dai contenuti non solo sanamente ridanciani o leggeri ma densi al tempo stesso di valori umani e sociali di assoluta rilevanza. Un fortunato mix che indusse gli spettatori dell'epoca non solo a ridere o sorridere dei nostri vizi, dei nostri costumi personali o collettivi. Ma anche a riflettere su aspetti della nostra società non tutti degni di elogio e su controverse pagine-chiave della nostra storia recente o recentissima. Come in questo " Tutti a casa " di Luigi Comencini che ha come fulcro della narrazione le convulse giornate che seguirono l' 8 settembre del 1943. L'armistizio ( sciaguratamente mal negoziato e peggio implementato ) che segnò , secondo alcuni storici cui non saprei dare completamente torto, " la morte della Patria " o almeno il repentino collasso delle istituzioni pubbliche del tempo, a cominciare da forze armate lasciate totalmente allo sbando. E' storia ovviamente troppo conosciuta perchè ci si torni sopra in questa sede. Dico solo che il cinema , in sede di ricostruzione di quella particolare temperie attraverso le vicissitudini di un piccolo ufficiale di complemento (Alberto Sordi ) costretto ad attraversare l' Italia con mezzi di fortuna per far ritorno dal padre ( Eduardo De Filippo ) è riuscito mirabilmente a fondere l'umana vicenda dei personaggi di finzione con il dramma storico di tutto un popolo costretto, dopo le ubriacature di vent'anni di regime e gli infingimenti successivi alla caduta del fascismo, a fare nuovamente i conti con la realtà e a prendere perfino delle decisioni coraggiose ( l'ultima sequenza mostra Sordi che si unisce ad un gruppo di insorti nelle " quattro giornate di Napoli ", ormai consapevole di quale sia la posta in gioco ). Bellissimo film, recitato benissimo ( quelli erano gli anni in cui Sordi cercava con successo di liberarsi dall'odioso cliché di cinico amorale che gli era stato imposto almeno fino a " La grande guerra " , che è di un anno prima di " Tutti a casa " ) con un gruppo di caratteristi formidabili - citerei almeno Carla Gravina, Nino Castelnuovo e l'apparizione del grande Serge Reggiani- ed una sceneggiatura di lusso ( Age e Scarpelli con Marcello Fondato e lo stesso Comencini ). Un film da rivedere, commentare e meditare qualche giorno fa, in occasione del 75 ° anniversario dell' 8 settembre, quasi un doveroso omaggio alle sofferenze ed al riscatto di un popolo, quello cui apparteniamo tutti anche se spesso, colpevolmente, ce ne dimentichiamo. Quando il cinema , riuscendo ad appassionarci e commuoverci, fa anche opera di intelligente recupero di un tassello così importante della nostra vicenda collettiva, non resta che inchinarci e applaudire.
Per non perdere la mano, intanto, mi sono dedicato all'analisi critica di due film del passato che vi consiglio di vedere o di rivedere perchè sono due esempi della cinematografia del periodo d'oro, quella degli anni cinquanta e sessanta, quando non solo si facevano bei film ma anche masse cospicue di spettatori affollavano quotidianamente le sale per vederli.
Il primo in ordine di realizzazione ( siamo nel 1953 ) si chiama in Italia " Mano pericolosa " (debbo dire che allora i titoli venivano tradotti-traditi con maggiore inventiva di oggi ) ed è stato scritto e diretto dal talentuoso Samuel Fuller, uno dei maggiori sceneggiatori e registi di Hollywood, l'autore di quel " Quaranta pistole " di cui l'anno scorso vi dissi quanto io lo reputi uno dei più emozionanti film che abbia mai avuto la ventura di vedere. Il titolo originale del film , " Pick up on South Street ",dà subito l'idea dell'argomento. Un borseggiatore appena uscito di galera ( Richard Widmark ) torna a "lavorare" sulla metropolitana newyorchese e sottrae il borsellino di una giovane e piacente passeggera ( Jean Peters ). Dentro non vi è denaro ma un microfilm che ,una volta sviluppato dall'incuriosito ladruncolo, si rivela per una misteriosa formula , non si capisce se fisica o chimica. Scopriremo che è un segreto militare che agenti comunisti stavano cercando di trafugare al di là della cortina di ferro .Di qui una serie di vicende, nelle quali si inserisce perfino una fulminea lovestory tra borseggiatore e derubata, con continui interventi di spioni filosovietici ed agguerriti rappresentanti delle forze dell'ordine. Una sceneggiatura solidissima ( come sempre nei film di Fuller ) spiana la via ad una regia vibrante e serrata al tempo stesso. Sfido chi lo conosce o lo vedrà ( ordinare il DVD in Francia perchè non si trova in Italia ) ad indicarmi una sola scena , che dico, una sola inquadratura che non sia essenziale, che non sia significante nell'uso costante dell'alternanza tra primipiani e campi lunghi, che accrescono la drammaticità , la tensione e la pregnanza di ogni immagine. In breve una gioia per gli occhi ed il cuore dello spettatore,ma soprattutto una autentica lezione di cinema da imporre con la forza a tutti i realizzatori scialbi e perditempo ( da notare che il film dura solo 80 minuti, altro che le due ore e passa diventate ormai la regola, ma non sembra certo che, nella sua breve durata, abbia omesso di dirci qualcosa di importante ) . Un'ultima, curiosa notazione per chi già non la conosca. Uscito in piena guerra fredda, i distributori europei ebbero paura che il film potesse avere , per il suo contenuto anticomunista, brutte accoglienze da parte di quei pubblici locali che simpatizzavano per i partiti di estrema sinistra e camuffarono quindi arditamente nel doppiaggio ,almeno per la distribuzione in Italia e in Francia, le spie filosovietiche in non meglio precisati...trafficanti di stupefacenti ( Il film oltr'Alpe assunse addirittura il titolo fantasioso di " Il porto della droga " ! ).
L'altro film di cui vorrei parlarvi , girato sette anni dopo quello di Fuller ( siamo dunque nel 1960 ) è una delle più celebri - e giustamente celebrate - " commedie all'italiana ". Quel filone, protrattosi ancora per buona parte degli anni '70, che propose un cinema dai contenuti non solo sanamente ridanciani o leggeri ma densi al tempo stesso di valori umani e sociali di assoluta rilevanza. Un fortunato mix che indusse gli spettatori dell'epoca non solo a ridere o sorridere dei nostri vizi, dei nostri costumi personali o collettivi. Ma anche a riflettere su aspetti della nostra società non tutti degni di elogio e su controverse pagine-chiave della nostra storia recente o recentissima. Come in questo " Tutti a casa " di Luigi Comencini che ha come fulcro della narrazione le convulse giornate che seguirono l' 8 settembre del 1943. L'armistizio ( sciaguratamente mal negoziato e peggio implementato ) che segnò , secondo alcuni storici cui non saprei dare completamente torto, " la morte della Patria " o almeno il repentino collasso delle istituzioni pubbliche del tempo, a cominciare da forze armate lasciate totalmente allo sbando. E' storia ovviamente troppo conosciuta perchè ci si torni sopra in questa sede. Dico solo che il cinema , in sede di ricostruzione di quella particolare temperie attraverso le vicissitudini di un piccolo ufficiale di complemento (Alberto Sordi ) costretto ad attraversare l' Italia con mezzi di fortuna per far ritorno dal padre ( Eduardo De Filippo ) è riuscito mirabilmente a fondere l'umana vicenda dei personaggi di finzione con il dramma storico di tutto un popolo costretto, dopo le ubriacature di vent'anni di regime e gli infingimenti successivi alla caduta del fascismo, a fare nuovamente i conti con la realtà e a prendere perfino delle decisioni coraggiose ( l'ultima sequenza mostra Sordi che si unisce ad un gruppo di insorti nelle " quattro giornate di Napoli ", ormai consapevole di quale sia la posta in gioco ). Bellissimo film, recitato benissimo ( quelli erano gli anni in cui Sordi cercava con successo di liberarsi dall'odioso cliché di cinico amorale che gli era stato imposto almeno fino a " La grande guerra " , che è di un anno prima di " Tutti a casa " ) con un gruppo di caratteristi formidabili - citerei almeno Carla Gravina, Nino Castelnuovo e l'apparizione del grande Serge Reggiani- ed una sceneggiatura di lusso ( Age e Scarpelli con Marcello Fondato e lo stesso Comencini ). Un film da rivedere, commentare e meditare qualche giorno fa, in occasione del 75 ° anniversario dell' 8 settembre, quasi un doveroso omaggio alle sofferenze ed al riscatto di un popolo, quello cui apparteniamo tutti anche se spesso, colpevolmente, ce ne dimentichiamo. Quando il cinema , riuscendo ad appassionarci e commuoverci, fa anche opera di intelligente recupero di un tassello così importante della nostra vicenda collettiva, non resta che inchinarci e applaudire.
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