Chi pensava ,ed io per primo, che i distributori cinematografici italiani non ci avrebbero offerto più nulla di veramente valido - ora che l'estate batte il suo pieno - deve fare ammenda almeno parzialmente. Da pochi giorni è sui nostri schermi, infatti, l'ultimissima fatica di Steven Soderbergh, il talentuoso cinquantacinquenne regista americano. Avevamo appena finito, poche settimane or sono, di commentare il suo penultimo film in ordine di tempo ( " Logan lucky " , diventato in Italia " La truffa dei Logan " ) quando ci arriva, a ruota si può dire ,questo " Unsane " ( stesso titolo italiano ) che, ancorchè girato lo scorso anno , è uscito negli " States" questa primavera ed è stato presentato in contemporanea al Festival di Berlino. Se " Logan lucky " era un ottimo " divertissement ", appesantito solo nel finale da una sceneggiatura un pò contorta, questo " Unsane ", scaraventato quasi per caso in una programmazione ormai da imminente chiusura estiva, è ancora meglio. Mi rafforza in pieno nell'idea che Soderbergh sia uno dei registi tecnicamente più preparati tra quelli oggi in circolazione ed uno che mastica, come si dice, pane e cinema con la stessa naturalezza.
Intendiamoci, in " Unsane " sembra di trovarsi in pieno in quello che una volta si sarebbe chiamato un " B movie ", cioè quei film " di genere " che costituivano, ancora trenta o quarant'anni fa, prima dell'offensiva in grande stile delle serie televisive, il nerbo della produzione di Hollywood e che attiravano vaste platee. Il " genere " qui potremmo definirlo l' horror psichiatrico, tipo il celeberrimo " La fossa dei serpenti ", con tanto di cliniche-lager che nascondono più di un segreto nei loro lugubri sotterranei, infermieri sadici e, ovviamente, una " demselle in distress ", cioè una giovane donna presa al laccio e che fa una tremenda fatica ad uscirne fuori. Insomma, gli ingredienti classici ci sono tutti, attualizzati solo per convincerci che siamo al giorno d'oggi e che non stiamo rivivendo un lontano ricordo cinematografico, ma sufficienti per farci provare le stesse emozioni, lo stesso brivido di paura.
La protagonista, che ha un bizzarro primo nome, Sawyer ( come Tom... ) , ci appare nelle prime scene come una giovane donna in carriera, normale per quanto si possa esserlo in un'epoca così disumanizzata come la nostra, magari un pò spigolosa con clienti e capi, abbastanza solitaria. Sapremo presto che ha dovuto trasferirsi dalla sua città natale perchè perseguitata da uno " stalker " particolarmente ostinato e che essa, in preda ad una forte depressione, " sente " ancora presente accanto a lei. Indotta con un artificio, durante una visita di routine, a ricoverarsi " per accertamenti sul suo stato" in una clinica nitida e asettica quanto basterebbe per diffidarne (c'è dietro una sordida " combine " tra assicurazione privata e istituzione sanitaria volta a riempirne i posti letto ) Sawyer presto si rende conto che la sua volontà non conta più nulla e che ormai è prigioniera come una mosca incappata nella tela di un ragno. " Pazza " tra autentici deboli di mente, le sue tribolazioni ( di cui non dirò ) incominciano appena, in un crescendo di angoscie e di disavventure che, in capo ad un'ora e quaranta di film, giungeranno all'epilogo in un modo brillantemente rocambolesco.
Ridotto così all'osso, il film può apparire marginale nella filmografia dell'autore (che ha comunque alternato, senza complessi, opere ambiziose ad altre maggiormente commerciali) e destare qualche dubbio preliminare quanto agli apprezzamenti critici molto positivi con cui è stato accolto. Sarebbe peraltro un errore, a conti fatti, non rilevare almeno due grossi meriti che esso presenta e che ne fanno, a mio parere, il miglior film di Soderbergh da diverso tempo a questa parte.
Innanzitutto va rilevato come la storia di pazzia, vera o presunta, della protagonista e i suoi traumi di " stalkerizzata " ( che avrebbero potuto darci un mélo scontato ed abbastanza pesante ) interessino il regista fino ad un certo punto, almeno in quanto tali. Non vi è infatti alcun approfondimento psicologico del personaggio, nè ci vengono offerti soverchi dettagli sulla sua passata esistenza , salvo rapidi flashback di sobria efficacia narrativa. Di tutta evidenza il centro del film sta altrove. Esso risiede cioè nella descrizione stessa, asettica e oggettivata il più possibile, del sinistro stabilimento psichiatrico, dei personaggi che lo abitano, delle vicissitudini della protagonista. Potremmo essere in un " fumetto " ( sempre fumetto d'autore, beninteso ) dinnanzi ad una serie di immagini che si susseguono davanti ai notri occhi per il tormento e la gioia di semplici " voyeurs ". Tutto è nella struttura esteriore del film , nel suo essere un puro, scintillante, oggetto cinematografico, la cui ragion d'essere non va cercata in alcun particolare significato o progetto che ne sia alla base ma nel chiaro piacere di filmare di cui dà prova il regista. Cinema allo scopo di fare cinema, che si risolve nell'atto stesso della creazione, insomma. E tenendo fede con coerenza al suo assunto anti-intellettualistico Soderbergh giganteggia in messa in scena , solida scansione del susseguirsi delle inquadrature, perfetta direzione di attori ( su tutti la protagonista , l'inglese Claire Foy, famosa per alcune serie televisive, come " The Crown ", in cui interpretava una giovane Elisabetta II )
Il secondo punto a favore del film sta nell'essere stato girato ( per mano dello stesso Soderbergh, grande esperto di luci e di immagini fotografiche ) grazie alla microcamera di un normale telefono cellulare, un Iphone 7, per la precisione. La grande libertà che offre questo mezzo in fase di ripresa è stato utilizzata dal regista non tanto per risolvere gli usuali problemi tecnici che si sarebbero posti con i mezzi tradizionali o per abbattere i costi di produzione (il film è costato in tutto un milione e mezzo di dollari,una vera sciocchezza) quanto per dare vita ad un particolare ed innovativo linguaggio cinematografico. La bellezza del film ( davvero un bell'oggetto da ammirare in sè ) sta proprio in questa libertà dal condizionamento imposto dagli usuali strumenti di ripresa che gli ha consentito una fluidità ed una " sintassi " perfettamente congeniale ad una storia di menti che vacillano, di realtà oggettiva e di rappresentazioni distorte di tale realtà. Molti grandi angolari, prospettive " falsate ", immagini leggermente deformate, frequente ricorso al piano- sequenza e , di conseguenza, pochi campo-controcampo, un andamento a tratti sornione ed a tratti improvvisamente nervoso, in perfetta sintonia con l'atmosfera generale della vicenda. Una lezione di cinema quanto mai stimolante e che ci permette in pratica di archiviare con soddisfazione una stagione non avara certamente di qualche opera che resterà nel ricordo.
Il secondo punto a favore del film sta nell'essere stato girato ( per mano dello stesso Soderbergh, grande esperto di luci e di immagini fotografiche ) grazie alla microcamera di un normale telefono cellulare, un Iphone 7, per la precisione. La grande libertà che offre questo mezzo in fase di ripresa è stato utilizzata dal regista non tanto per risolvere gli usuali problemi tecnici che si sarebbero posti con i mezzi tradizionali o per abbattere i costi di produzione (il film è costato in tutto un milione e mezzo di dollari,una vera sciocchezza) quanto per dare vita ad un particolare ed innovativo linguaggio cinematografico. La bellezza del film ( davvero un bell'oggetto da ammirare in sè ) sta proprio in questa libertà dal condizionamento imposto dagli usuali strumenti di ripresa che gli ha consentito una fluidità ed una " sintassi " perfettamente congeniale ad una storia di menti che vacillano, di realtà oggettiva e di rappresentazioni distorte di tale realtà. Molti grandi angolari, prospettive " falsate ", immagini leggermente deformate, frequente ricorso al piano- sequenza e , di conseguenza, pochi campo-controcampo, un andamento a tratti sornione ed a tratti improvvisamente nervoso, in perfetta sintonia con l'atmosfera generale della vicenda. Una lezione di cinema quanto mai stimolante e che ci permette in pratica di archiviare con soddisfazione una stagione non avara certamente di qualche opera che resterà nel ricordo.
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