Le sale cinematografiche, in questa estate infuocata, si vanno progressivamente svuotando, settimana dopo settimana. Qui a Milano gli ultimi " pienoni " si sono registrati - parzialmente- solo con i film della manifestazione " Cannes e dintorni ", di cui vi ho ampiamente riferito la volta scorsa. Ora sono rimasti in circolazione solo l'ineffabile " Wonder Woman " (che poi non deve essere così malaccio e ha in più, come protagonista, un'attrice israeliana che mi sembra il prototipo della fiera bellezza della popolazione femminile di quel travagliato Paese ) e qualche altro filmetto senza troppa importanza.La stagione è dunque virtualmente terminata e se ne tirano le somme in attesa della prossima quando, si spera , tornerà irrefrenabile il desiderio di calarsi nel buio di un cinematografo per ricominciare a sognare, a gioire, ad emozionarsi.
Nei giorni scorsi ho peraltro fatto in tempo a vedere l'ultimo film di un qualche interesse che i nostri pigri distributori hanno avuto la bontà di inserire, proprio alla fine, nel normale circuito di programmazione. Lo attendevo con ansia perchè si tratta dell'opera più recente- uscita negli Stati Uniti ed in Francia già dal mese di Marzo -di un regista americano che reputo uno dei più interessanti della generazione emersa a cavallo del secolo, James Gray. Penso ( o almeno mi auguro ) che conosciate " I padroni della notte " e , soprattutto, " Two lovers " ( 2010 ) che è , di questo autore,
la cosa più bella ( ed uno , secondo me, dei dieci migliori film dall'inizio del nuovo millennio ). Raramente, infatti, la profonda ambiguità dei sentimenti umani ed il desiderio, nel contempo, di riappacificarci con il mondo nonostante le nostre confliggenti aspirazioni, hanno trovato così convincente esemplificazione plastica come in questo film. Gray, grande descrittore di personaggi " marginali " nello spietato contesto urbano, che sia quello della malavita come nei primi tre film oppure quella della piccola borghesia immigrata come in " Two lovers ", ha la singolare capacità di rendere le sue storie , il suo cinema , di immediata credibilità e suggestione. Forse - ed è un paragone che certo non appare per la prima volta- tra i " grandi " registi di questo lungo dopoguerra, il nome che più gli si può accostare con qualche legittimità è quello di Scorsese. E scusate se vi sembra poco.
Quest'ultimo film, " The lost city of Z. ", reso in Italia come " Civiltà perduta ", ci porta per la prima volta lontano dal mondo tipico delle altre opere di Gray. Non più New York ( presente anche nel suo precedente film " storico ", " The immigrant " ) con le sue atmosfere fascinose ma vagamente inquietanti. E , come nel film appena citato, siamo una volta di più in una epoca diversa da quella odierna, cioè ai primi del Novecento. Questo doppio " tradimento " rispetto alle tradizionali ambientazioni dei suoi film - niente più la grande metropoli americana ed un nuovo tuffo nel passato- hanno fatto arricciare il naso a più di un critico nostrano. Come se Ford, mettiamo, avesse dovuto sempre e solo girare " western " e Scorsese ( ancora lui ! ) non lasciare mai l'ambiente degli odierni italo-americani, senza avvertire in un determinato momento il sacrosanto bisogno, che è proprio di tutti i grandi autori, di dare aria alle proprie stanze, di cambiare insomma l'abituale " décor " della loro opera per saggiare nuove possibilità e nuove prospettive estetiche. Che poi, a ben guardare, cambia l'ambientazione . Ma le tematiche, i nodi drammatici, il viluppo psicologico nel quale sono avvolti i loro personaggi sono, con profonda coerenza ed ispirazione unitaria, sostanzialmente gli stessi. In " Civiltà perduta ", l' Irlanda ancora colonia britannica, l' Amazzonia bolivio-brasiliana ed infine l' Inghilterra ante e post il primo conflitto mondiale, sono certo una novità per Gray ( che nel raffigurarle sembra del resto a proprio agio come se le avesse esplorate da sempre ). Ma lo sfasamento ideologico-morale tra il protagonista e l'ambiente circostante, la sensazione di " estraneità" che trova un approdo, almeno provvisorio, in un mondo diverso, forse troppo idealizzato ma comunque più consono alle aspettative profonde del protagonista stesso, costituiscono come nei film precedenti la colonna portante della sua ispirazione. Non vi è alcuna cesura, secondo me , nell'ammirevole percorso artistico di Gray. Nè mi pare si possa dire che egli , in questo film , si muova con minore destrezza che nel suo " opus " newyorchese. Cambiano i parametri esteriori di riferimento. Ma la sostanza è la stessa, ed immutato appare il talento dell'autore.
Il film, per farne in breve una sinossi, racconta la storia ( vera ) dell'esploratore britannico Percy Fawcett che , tra il 1905 ed il 1930, compie tre difficili e coraggiosissime spedizioni nel cuore dell' Amazzonia alla ricerca di una civiltà scomparsa che egli , in contrasto con le concezioni eurocentriche dell'epoca," sente ", prima ancora di scoprirne le tracce effettive, di pari dignità e valore esistenziale. Contrapposto agli ambienti politici ed accademici dell'epoca , Fawcett è , come tutti i precedenti personaggi di Gray, in profonda distonia con l'ambiente circostante. Ed è questo, più che il racconto delle sue peripezie, il vero nucleo centrale anche di questo film.
Efficacemente interpretato da Charlie Hannam nella parte di Fawcett ( un attore dalla forte " presenza " fisica simile a quella di un Fassbender, cui lo lega una sorprendente somiglianza ) Robert Pattinson nella parte egualmente interessante dell'aiutante di Fawcett e Siena Miller nella delicata parte della moglie di Fawcett, il film si snoda agilmente per più di due ore senza cadute di interesse o di tono. Merito dei temi trattati ( oltre a quelli citati, onnipresente come in tutti i film di Gray è qui quello della famiglia biologica, dei legami di sangue prima ancora che delle affinità caratteriali ) e merito del regista che sa filmare con mano sicura tanto le scene " inglesi " quanto quelle più concitate ed avventurose della selva. A tratti , singolarmente ma forse solo sino ad un certo punto, sembra quasi di trovarsi in " Silence " di Scorsese, di cui abbiamo detto qualche mese fa tutto il bene che meritava. Ma , riflettendo poi alla non superficiale comunanza di interessi tra Gray e Scorsese, era quasi inevitabile che entrambi fossero attratti da storie in cui la nostra civiltà si incontra o si scontra con altre. Sorretto da una fotografia di magistrale fattura (l'iraniano Darius Khondji è oggi uno dei più importanti direttori in questo settore ) il film ha un fascino particolare anche dal punto di vista visivo e si raccomanda sia ai cinefili che vogliono vedere tutto dei loro autori preferiti che al saltuario appassionato di cinema che spera di imbattersi un'opera valida , che gli piaccia e che lo faccia riflettere al tempo stesso. Quindi , direi che può essere visto. Non è un capolavoro , intendiamoci , e sono cosciente del fatto che il Gray di " Two lovers " può ancora ritenersi nettamente superiore. Ma Gray è un autore che non si è fermato , che non ripete più o meno felicemente ciò che gli è riuscito particolarmente bene la prima volta. Egli è certamente in movimento , in costante evoluzione. E mi pare che si possa dire tranquillamente che su di lui si potrà contare anche in avvenire.
Con questa riflessione che ho voluto condividere con voi al pari delle precedenti termina - almeno provvisoriamente - questa rubrica di cinema che , con cadenza dapprima settimanale e poi, negli ultimissimi tempi, ogni dieci giorni, ci ha accompagnati per circa dieci mesi. La stagione cinematografica 2016-2017 è praticamente agli sgoccioli. Nel cuore dell'estate è difficile, lo abbiamo già detto , che compaiano film di un qualche valore. Ormai se ne riparlerà a Settembre , in contemporanea con il Festival di Venezia e poco dopo quello di Locarno , cioè i prossimi due appuntamenti di maggiore interesse per gli appassionati della decima musa.
Ed anche questo nostro, più modesto e sommesso " rendez- vous ", intenderei per parte mia riprendere nella stessa epoca. La pausa ci permetterà di sospendere per un po' di occuparci dell'attualità cinematografica, ricaricare le batterie come si dice, e tornare a dedicarci alla nostra passione ritemprati nel fisico e nello spirito....
Proprio a tale proposito, nel salutarvi affettuosamente e rivolgervi i migliori auguri di buone vacanze, vi sarei grato - prima di lasciarci per le prossime settimane - di inviarmi un graditissimo " riscontro " ( anche molto sintetico ) di queste più di quaranta " puntate " del blog che state leggendo. Mi premerebbe sapere , in sostanza , se siete rimasti soddisfatti oppure no. Ma , oltre a ciò, quello che mi interesserebbe capire è se ritenete che le puntate del blog debbano avere , secondo voi, la stessa cadenza temporale e debbano essere di eguale ( oppure maggiore o minore ) ampiezza di quella fin qui adottata. Personalmente - ma , ripeto, mi interessa la vostra opinione - vorrei nella prossima stagione abbreviare alquanto il mio dire, cioè creare testi meno lunghi e più adatti ad una lettura anche dai moderni strumenti informatici che , lo sappiamo, con l'enorme quantità dei dati che si affollano sulla tastiera, ci costringono ad una impietosa e sempre più rapida selezione. Chissà, forse un giorno queste noterelle ritroveranno una veste più consona ad una amena, tranquilla lettura.... Nel frattempo capisco che occorre adeguarsi ai tempi ed ai ritmi di oggi. Conto molto sul vostro aiuto , cari amici, per fare meglio. Grazie in anticipo a tutti coloro che , in questo senso, vorranno darmi suggerimenti e consigli !
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