L'apologo è una favola o comunque una narrazione allegorica con intento morale. Chi lo racconta o lo espone in immagini ( nel caso del cinema ) ci chiama in causa, mira a farci riflettere. Non vuole necessariamente condurci a condividere automaticamente una tesi, a sposare una causa. Ma a percepire qualcosa di più generale - e che quindi tocca anche noi - attraverso una storia "esemplare" anche quando apparentemente fuoriesca dalla nostra immediata sfera d'interessi. Vuole farci pensare, porci degli interrogativi, collegare i vari frammenti di realtà che ci vengono proposti e ricomporli in un quadro unitario che tocchi il nostro intelletto e la nostra sensibilità. E che, in questo modo, ci spinga ad approfondire o addirittura rivedere i nostri giudizi, a cambiare , ad agire.
Il cinema " politico " , che è sempre allegorico - ne parlavamo lo scorso autunno analizzando " Io, Daniel Blake " di Ken Loach - raggiunge il suo obiettivo quando i suoi apologhi, le sue metafore, sono chiare e soprattutto sono davvero " cinema ". Intendo , con questo,la necessità che accanto all'etica, alle preoccupazioni morali che muovono l'artista ( sceneggiatore , regista ) sia in gioco anche l'estetica. Cioè la capacità di calare idee, suggestioni ed ammonimenti in immagini, anzi in forme, cinematograficamente valide : belle, forti, capaci di colpire la nostra mente ed il nostro cuore. Se così non fosse avremmo un semplice film di propaganda, non l'opera d'arte che sola è capace di incidere sul nostro vissuto, di modificarci, di migliorare la nostra comprensione del mondo e quindi, con essa, noi stessi.
Non è questo il caso, per fortuna, del film che ho visto ieri, tornato a Milano . "L'altro volto della speranza", l'ultima fatica di Aki Kaurismaki, vincitore del Leone d'oro per la regia alla Berlinale di quest'anno, è un film certamente politico nell'assunto nobile di tale espressione. Vuole farci toccare con mano, noi spettatori provenienti da un mondo privilegiato, la complessità e le dolorose implicazioni umane del problema dei rifugiati che dal Medio Oriente e dall' Africa si dirigono verso l' Europa. Ma lo fa con delicatezza di toni, raccontando una storia semplice e solenne al tempo stesso, interamente trasfusa in immagini, personaggi ed azioni che parlano efficacemente di per sè, senza bisogno di alzare la voce. E, per di più e non è poco, non so se per mera coincidenza temporale, una storia assolutamente in carattere con lo spirito della ricorrenza religiosa che ci apprestiamo a vivere. Finiti, verrebbe fatto di constatare, i tempi in cui la pubblicità dei distributori italiani, senza alcuna ironia, annunciava di questi tempi sui manifesti come " il film di Pasqua " un western dall'evocativo titolo "Impiccalo più in alto " (" Hung 'em high " di Ted Post, 1968)...
Non è questa certo la sede per affrontare un argomento così vasto, controverso ed emozionale come il problema delle migrazioni, di cui quello dei rifugiati- ancorchè giuridicamente e storicamente distinto - è pur sempre una parte, almeno per le reazioni che suscita spesso nelle nostre opinioni pubbliche. Nè il film - proveniente , ricordiamolo, da uno dei Paesi, la Finlandia, più aperti ed accoglienti in Europa a tale riguardo- vuole giudicare, criticare o peggio condannare l'atteggiamento delle autorità competenti (del resto cortesi ed efficienti nella " gestione " del fenomeno ). La semplice esposizione dei fatti , del resto, la nuda verità delle situazioni, dei volti , dei timori e delle speranze dei migranti così come ce li mostra Kaurismaki è sufficiente. Parla da sola alla nostra mente ed al nostro cuore, senza eccessivi sentimentalismi, " buonismi " o irrealistiche semplificazioni di un problema dalle dimensioni e dalla complessità così rilevanti .Il fenomeno è lì, sotto i nostri occhi.Qui, non altrove. Ed è sempre tempo di agire , secondo la nostra coscienza. I rifugiati, quanto a loro, fuggono per avere e per dare ai loro cari un avvenire migliore. Un desiderio umanamente comprensibile, più forte delle barriere o dalle difficoltà che essi possono incontrare sul loro cammino. Il loro progetto di vita ( la " speranza " del titolo del film ) si nutre, si alimenta di continuo delle grandi trasformazioni che vanno investendo l'intero globo da qualche decennio a questa parte : la globalizzazione, l'accresciuta mobilità delle persone, delle merci , dei capitali, la diffusione dell' informazione, l'irrequietezza politico-sociale che ne consegue. Difficile non ipotizzare, in un contesto del genere, l'ineluttabilità di sempre maggiori movimenti transfrontalieri, per questa o per quella emergenza o anche solo in base ad una tendenza largamente fisiologica.
L'intelligenza del film di Kaurismaki ( come sempre soggettista, sceneggiatore e regista, " autore " insomma a pieno titolo dei propri film ) sta proprio nel mostrarci l'arrivo del migrante inserito in questa realtà più vasta, senza la quale perderebbe molto del suo reale significato. In un mondo in pieno mutamento, non sono solo gli abitanti dell' Africa, del Medio Oriente o dell' Asia a nutrire la speranza che li porterà lontano. Sono molti anche tra noi, in un contesto economico fatto di molte insidie e di crescenti diseguaglianze, quelli che accarezzano il sogno di una vita migliore, di un " cambiamento " non più sociale come qualche decennio or sono ma tranquillamente personale ed individuale, fatto della ricerca continua di una " via di uscita ". Forse è questo "l'altro volto della speranza " cui allude il titolo del film ? Può darsi.
Vediamo.L'inizio del film ci fa conoscere un commerciante di Helsinki in articoli di abbigliamento che decide di lasciare la moglie e, liquidando lo stock della propria merce, si gioca tutto il denaro a poker, vince e con il ricavato rileva una piccola trattoria nei sobborghi. Sembrerebbe quella " via di uscita " di cui parlavamo sopra : abbandonare una vita insoddisfacente, barattare il possesso di cose da vendere e da acquistare, probabilmente superflue, con una attività volta a soddisfare i bisogni primari dell'individuo: mangiare ( e bere, viste le abitudini locali... ). Uscire dal circuito dei " negotia" puramente mercantili e transitare ad una attività che, ancorchè non puramente filantropica ( sappiamo che non esistono pranzi gratuiti ) risponda purtuttavia ad intenti più genuinamente sociali. Il mondo "di sopra "- quello benestante in cui viviamo -incomincia a disgregarsi, sembra dirci Kaurismaki e , constatata l' impasse nel quale è andato a cacciarsi (produrre,accumulare merci e denaro senza che questo riesca più a dargli un senso) perde progressivamente le sue caratteristiche di " ordinaria esemplarità ". La precarietà sembra installarsi a poco a poco ( testimoniata dai bizzarri dipendenti della trattoria, sorta di sottoproletari condannati ad una perenne marginalità).Nel frattempo , letteralmente uscito dal " mondo di sotto " ( emerge nottetempo da un carico di carbone trasportato da una nave polacca ) entra in scena Khaled, il rifugiato siriano che sogna di rifarsi una vita in Europa. Fuggito da un " centro di accoglienza " in cui è stato relegato dalle autorità finlandesi che non gli concedono lo " status " cui ambisce, finisce con l'incontrare l'improvvisato ristoratore locale. Questi gli dà vitto ed alloggio ( sfruttandone peraltro " al nero " le capacità lavorative, nettamente superiori a quelle degli elementi locali ) e addirittura lo aiuta a far arrivare fortunosamente ad Helsinki la sorella, dispersa nella tragedia siriana e poi rintracciata. Tutto bene, dunque ? La solidarietà umana è stata, questa volta, più forte delle ottusità burocratiche,ci sembrerebbe di poter dire. Ed il film risulterebbe, in questo caso, un apologo davvero ottimista ( tenuto conto anche di un privato "lieto fine " che riguarda il ristoratore ). Ma sarebbe ignorare lo spirito bizzarro ed irriverente di Kaurismaki. Khaled, ferito da una coltellata infertagli da un teppista appartenente ad un sedicente " esercito di liberazione della Finlandia "nel quale si è sfortunatamente imbattuto, nell'ultima sequenza giace riverso in un prato. L'immagine è volutamente ambigua : potrebbero essere i suoi ultimi istanti di vita così come i prodromi di un miracoloso ristabilimento. Un piccolo, tenero cane randagio gli lecca il volto, immagine di una " pietas " inconsapevole e quindi ancora più genuina di quella degli uomini. Dobbiamo dunque nutrire speranza , su questa terra ?
Mi scuso di aver tentato di ridurre all'osso la trama di un film molto più ricco in immagini, situazioni, personaggi, dialoghi di una ricchezza e di una fluidità di tutto rilievo. Mi interrogo ( e lo faranno, penso, anche coloro che lo vedranno ) su quanto possa essere considerato un' opera realistica ( in certi momenti sembra quasi, è vero, un documentario sull'accoglienza dei rifugiati ) o non piuttosto -come probabilmente è - una favola dei nostri tempi . Se gli dovessi trovare un punto di contatto nella cinematografia occidentale , mi sentirei di evocare Renoir ( per la capacità di argomentare con pudore e con forza su temi sociali ) Chaplin ( per la robusta vena di poesia ) De Sica ( per la maestria nel sottolineare ciò che veramente conta nel racconto senza avere l'aria di farlo) .Kaurismaki si conferma, in definitiva, come uno dei pochi " maestri " di oggi, in grado di catturare lo spettatore con semplicità, rigore , economia di mezzi. Cinema allo stato puro. Lo dimostra la costruzione del racconto : lineare, trasparente, " dimostrativa " eppure con quel tanto di fascino sottile che è dato dalla natura stessa di una vita, la nostra , sempre più inafferrabile e cangiante nei suoi raccordi, nelle sue implicazioni, nei suoi significati ultimi. Apologo, opera di un grande moralista dei nostri tempi, il film non è peraltro privo , a tratti, di una sorprendente aderenza alla realtà. Aiutato da una bella fotografia, soprattutto nelle scene notturne, ci mostra una Finlandia "decente" ed asettica, probabilmente migliore anche di quanto pensiamo. Ma non per questo immune dalle tare che ormai corrodono il nostro mondo di privilegiati, sempre più piccolo, sempre più circondato.
Non mi soffermo sulla recitazione perchè nel cinema di Kaurismaki gli attori sono puramente funzionali alla vicenda e alla sua esemplarità, ancorchè comunque tutti professionisti di buon livello. Una parola vorrei spenderla, invece, sulla colonna sonora, che è tutta di canzoni " rock " di pura marca finnica, spesso interpretate da artisti locali che appaiono nel film dando luogo ad una serie di gustosi " siparietti " introduttivi di determinate sequenze, a giudicare almeno ( in traduzione... ) dalle loro parole. Un procedimento quasi " brechtiano " che conferisce ulteriore enfasi e vigore ad un " raccontare per immagini " tutt'altro che noioso anche quando il film si concede una pausa e sembra indugiare su di una determinata situazione. Kaurismaki è un regista che ha rispetto per lo spettatore. Ma la sua libertà è totale e le scelte attraverso le quali fa avanzare il racconto - come è giusto che sia - assolutamente insindacabili. Un film, questo " Altro volto della speranza " da non lasciarvi perdere. Se non vi prenderà subito nelle sue spire ( può succedere ) crescerà dopo dentro di voi, come deve avvenire per tutte le opere che meritino di essere frequentate.
L'intelligenza del film di Kaurismaki ( come sempre soggettista, sceneggiatore e regista, " autore " insomma a pieno titolo dei propri film ) sta proprio nel mostrarci l'arrivo del migrante inserito in questa realtà più vasta, senza la quale perderebbe molto del suo reale significato. In un mondo in pieno mutamento, non sono solo gli abitanti dell' Africa, del Medio Oriente o dell' Asia a nutrire la speranza che li porterà lontano. Sono molti anche tra noi, in un contesto economico fatto di molte insidie e di crescenti diseguaglianze, quelli che accarezzano il sogno di una vita migliore, di un " cambiamento " non più sociale come qualche decennio or sono ma tranquillamente personale ed individuale, fatto della ricerca continua di una " via di uscita ". Forse è questo "l'altro volto della speranza " cui allude il titolo del film ? Può darsi.
Vediamo.L'inizio del film ci fa conoscere un commerciante di Helsinki in articoli di abbigliamento che decide di lasciare la moglie e, liquidando lo stock della propria merce, si gioca tutto il denaro a poker, vince e con il ricavato rileva una piccola trattoria nei sobborghi. Sembrerebbe quella " via di uscita " di cui parlavamo sopra : abbandonare una vita insoddisfacente, barattare il possesso di cose da vendere e da acquistare, probabilmente superflue, con una attività volta a soddisfare i bisogni primari dell'individuo: mangiare ( e bere, viste le abitudini locali... ). Uscire dal circuito dei " negotia" puramente mercantili e transitare ad una attività che, ancorchè non puramente filantropica ( sappiamo che non esistono pranzi gratuiti ) risponda purtuttavia ad intenti più genuinamente sociali. Il mondo "di sopra "- quello benestante in cui viviamo -incomincia a disgregarsi, sembra dirci Kaurismaki e , constatata l' impasse nel quale è andato a cacciarsi (produrre,accumulare merci e denaro senza che questo riesca più a dargli un senso) perde progressivamente le sue caratteristiche di " ordinaria esemplarità ". La precarietà sembra installarsi a poco a poco ( testimoniata dai bizzarri dipendenti della trattoria, sorta di sottoproletari condannati ad una perenne marginalità).Nel frattempo , letteralmente uscito dal " mondo di sotto " ( emerge nottetempo da un carico di carbone trasportato da una nave polacca ) entra in scena Khaled, il rifugiato siriano che sogna di rifarsi una vita in Europa. Fuggito da un " centro di accoglienza " in cui è stato relegato dalle autorità finlandesi che non gli concedono lo " status " cui ambisce, finisce con l'incontrare l'improvvisato ristoratore locale. Questi gli dà vitto ed alloggio ( sfruttandone peraltro " al nero " le capacità lavorative, nettamente superiori a quelle degli elementi locali ) e addirittura lo aiuta a far arrivare fortunosamente ad Helsinki la sorella, dispersa nella tragedia siriana e poi rintracciata. Tutto bene, dunque ? La solidarietà umana è stata, questa volta, più forte delle ottusità burocratiche,ci sembrerebbe di poter dire. Ed il film risulterebbe, in questo caso, un apologo davvero ottimista ( tenuto conto anche di un privato "lieto fine " che riguarda il ristoratore ). Ma sarebbe ignorare lo spirito bizzarro ed irriverente di Kaurismaki. Khaled, ferito da una coltellata infertagli da un teppista appartenente ad un sedicente " esercito di liberazione della Finlandia "nel quale si è sfortunatamente imbattuto, nell'ultima sequenza giace riverso in un prato. L'immagine è volutamente ambigua : potrebbero essere i suoi ultimi istanti di vita così come i prodromi di un miracoloso ristabilimento. Un piccolo, tenero cane randagio gli lecca il volto, immagine di una " pietas " inconsapevole e quindi ancora più genuina di quella degli uomini. Dobbiamo dunque nutrire speranza , su questa terra ?
Mi scuso di aver tentato di ridurre all'osso la trama di un film molto più ricco in immagini, situazioni, personaggi, dialoghi di una ricchezza e di una fluidità di tutto rilievo. Mi interrogo ( e lo faranno, penso, anche coloro che lo vedranno ) su quanto possa essere considerato un' opera realistica ( in certi momenti sembra quasi, è vero, un documentario sull'accoglienza dei rifugiati ) o non piuttosto -come probabilmente è - una favola dei nostri tempi . Se gli dovessi trovare un punto di contatto nella cinematografia occidentale , mi sentirei di evocare Renoir ( per la capacità di argomentare con pudore e con forza su temi sociali ) Chaplin ( per la robusta vena di poesia ) De Sica ( per la maestria nel sottolineare ciò che veramente conta nel racconto senza avere l'aria di farlo) .Kaurismaki si conferma, in definitiva, come uno dei pochi " maestri " di oggi, in grado di catturare lo spettatore con semplicità, rigore , economia di mezzi. Cinema allo stato puro. Lo dimostra la costruzione del racconto : lineare, trasparente, " dimostrativa " eppure con quel tanto di fascino sottile che è dato dalla natura stessa di una vita, la nostra , sempre più inafferrabile e cangiante nei suoi raccordi, nelle sue implicazioni, nei suoi significati ultimi. Apologo, opera di un grande moralista dei nostri tempi, il film non è peraltro privo , a tratti, di una sorprendente aderenza alla realtà. Aiutato da una bella fotografia, soprattutto nelle scene notturne, ci mostra una Finlandia "decente" ed asettica, probabilmente migliore anche di quanto pensiamo. Ma non per questo immune dalle tare che ormai corrodono il nostro mondo di privilegiati, sempre più piccolo, sempre più circondato.
Non mi soffermo sulla recitazione perchè nel cinema di Kaurismaki gli attori sono puramente funzionali alla vicenda e alla sua esemplarità, ancorchè comunque tutti professionisti di buon livello. Una parola vorrei spenderla, invece, sulla colonna sonora, che è tutta di canzoni " rock " di pura marca finnica, spesso interpretate da artisti locali che appaiono nel film dando luogo ad una serie di gustosi " siparietti " introduttivi di determinate sequenze, a giudicare almeno ( in traduzione... ) dalle loro parole. Un procedimento quasi " brechtiano " che conferisce ulteriore enfasi e vigore ad un " raccontare per immagini " tutt'altro che noioso anche quando il film si concede una pausa e sembra indugiare su di una determinata situazione. Kaurismaki è un regista che ha rispetto per lo spettatore. Ma la sua libertà è totale e le scelte attraverso le quali fa avanzare il racconto - come è giusto che sia - assolutamente insindacabili. Un film, questo " Altro volto della speranza " da non lasciarvi perdere. Se non vi prenderà subito nelle sue spire ( può succedere ) crescerà dopo dentro di voi, come deve avvenire per tutte le opere che meritino di essere frequentate.
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