Dopo la mia nota su " Il peccato di Lady Considine ", ancora una
postilla su Hitchcock. Sì , sempre lui. Qualunque discorso sul cinema
difficilmente, credo , può prescindere dal maestro inglese. Non fosse
altro che per il lunghissimo periodo ( più di mezzo secolo ) in cui ha
diretto opere ( cinquantatre o cinquantaquattro , non ricordo ) che
segnano , quasi tutte, un punto di riferimento importante nello sviluppo
di questo mezzo di espressione artistica. Ma soprattutto per la
ricchezza e la complessità dei temi trattati , l'ingegnosità delle
soluzioni tecniche adottate ,la bellezza delle " forme " cui ha dato
vita.
Difficile , per non dire impossibile, pronunciarsi su quale sia stato il più grande regista di tutti i tempi. Ma qualunque storia del cinema non può non riconoscere le sue eccezionali qualità , a cominciare dal grande rigore estetico accoppiato ad un costante rispetto per lo spettatore. Profondi per significati ed implicazioni morali, i suoi film sono tutt'altro che intellettualistici ed astrusi. Per " capirli " , cioè per apprezzarli e poterli giudicare, basta attivare quel minimo di attenzione che , anche nel divertimento, non guasta. E , nel contempo , non " opporre resistenza ", affidarsi al fluire delle immagini come se si stesse vivendo un sogno. Che poi il cinema , e forse tutta l'arte - potremmo interrogarci - non richiede da noi ( spettatori , lettori , ascoltatori ) proprio quella specie di abbandono della proprie istintive resistenze, quel coinvolgimento, quella involontaria "complicità " con l'artista che ci permette di cogliere, quasi a livello subliminale, ciò che questi intendeva di-mostrare ?
Dicevo, sempre a proposito de " Il peccato di Lady Considine ", che Hitchcock è un regista eminentemente " visivo " . Ora , tutto il cinema , qualunque film - che è per definizione un insieme di immagini in movimento- non può che essere " visivo ", qualcuno potrebbe obiettarmi . Ma non è purtroppo sempre così , come la nostra stessa esperienza di spettatori cinematografici si incarica di ricordarci.Quanto " teatro filmato ", quante immagini prive di vita , quante lungaggini narrative, quanto ricorso a dialoghi " esplicativi " di ciò che non si era stati capaci di farci " vedere " ci è toccato spesso sopportare ! Il " cattivo " cinema ( come, per le vie che ad esse sono proprie, la cattiva letteratura o la cattiva musica ) è , per me , quello che non sa " parlarci ", non risveglia i nostri sensi con la forza e l' immediatezza che siamo legittimati ad attenderci , in definitiva quello che ci annoia.Tutt'altro è quello che ci accade di sperimentare assistendo ad un film di Hitchcock. E non solo per via della fin troppo celebrata "suspence" ( se non sempre concreta, almeno psicologica o metafisica ) presente in tutti i suoi film. Ma perchè le immagini che vediamo susseguirsi sullo schermo sono tutte " significanti ", - una dopo l'altra- e tutte concorrono a far avanzare il film , scena dopo scena . Ed è una vera festa per i nostri sensi coglierle , assaporarle e lasciarci guidare dal loro potere evocativo, quasi "onirico " : sì , per tornare proprio al concetto di sogno del quale dicevo poc'anzi.
Due films di " Hitch " che ho voluto rivedere in questi giorni , sulla scia delle riflessioni cui mi aveva condotto quello di cui vi ho parlato la volta scorsa, mi confortano nella sensazione, mi scuso di ripetermi , che questo regista sia soprattutto uno splendido creatore di forme cinematografiche. Cioè, per l'appunto, non di semplici immagini "piatte" , ma di immagini " in rilievo ", dotate tutte del loro significato plastico , capaci di rendere vivi e vitali i personaggi , di animare la vicenda , di muoverla da sole insomma verso la sua conclusione "necessaria".
Parlo, a differenza del " Peccato di Lady Considine " che è un piccolo gioiello misconosciuto, di due opere molto note e che non richiedono quindi particolari presentazioni . La prima in ordine temporale è " La finestra sul cortile " ( " Rear window ", 1954 ). La seconda, forse il suo film più suggestivo ed uno dei più belli di tutti i tempi, " La donna che visse due volte " ( " Vertigo " , 1958 ). Sono film che , visti la prima volta , inducono allo stupore e all'entusiasmo per la loro perfezione tecnica, per il modo in cui viene svolta la vicenda, per il rilievo psicologico dei personaggi, non ultimo per il loro evidente significato morale. Ma sono anche film che- come vi confesso che ho fatto - vanno periodicamente rivisti , con eguale anzi maggiore giovamento . Film che, ad ogni visione , rivelano sempre qualcosa di nuovo e in cui l'emozione del fruitore si rinnova intatta, come per tutti i capolavori artistici cui ci accostiamo più volte , mai paghi. Shakespeare, Caravaggio , Beethoven non ci stancano mai. Perchè anche le grandi opere cinematografiche, quelle di Ford, Welles , Renoir, Rossellini, Hitchcock, per non citare che alcuni dei tanti mirabili "creatori di ombre ", non dovrebbero essere "consumate " più volte per il nostro piacere e per la nostra edificazione ?
" La finestra sul cortile " , tra i film del maestro inglese , è quello più rigoroso e lineare , che in una progressione geometrica e in un andamento corale magistralmente orchestrato, giunge ad una autentica conclusione " catartica ".Il personaggio principale ( uno James Stewart mai così convincente ) guarisce dal suo voyerismo, indotto-prima ancora che dalla forzata immobilità - da noia esistenziale e squilibrio affettivo, attraverso ( come spesso in Hitchcock ) una " prova " , una esperienza drammatica che lo renderà nuovamente capace di amare , emozionarsi , soffrire insieme agli altri. Il film della solitudine umana , dell' isolamento claustrofobico secondo alcuni critici, cede il passo ad una visione, almeno provvisoriamente, più serena e meno conflittuale. Girato interamente in uno studio cinematografico, ripreso quasi tutto " in soggettiva ", cioè dall'angolo di visuale del protagonista, ricco di tante vicende che si muovono parallelamente a quella principale, il film che ebbe a suo tempo grande successo e poi sparì dagli schermi per più di vent'anni, è stato mirabilmente restaurato alla fine del secolo scorso ed è tornato così al suo primitivo splendore cromatico. Accanto a Stewart, Grace Kelly ( la " bionda di ghiaccio " nella visione di Hitchcock ) fornisce qui una prestazione particolarmente buona ed è una autentica " icona " cinematografica , fasciata in abiti di gran classe, con un' aura assolutamente indimenticabile : si pensi alla sua entrata in scena, preceduta dalla sua ombra sul viso di Stewart e poi con il volto sorridente che occupa l'intero scherma e si china a baciarlo( ma sembra quasi che si chini per baciare noi spettatori... )
" La donna che visse due volte " sfugge invece , anche se è la storia , noi diremmo , di una sorta di " incantesimo " di un personaggio maschile ( ancora James Stewart ) per uno femminile ( Kim Novak , mai così bella e " animalesca " ) all' atmosfera di chiusura e di isolamento presente nel film precedente. Siamo non più a New York ma nella solare San Francisco e molte sono le scene " en plein air " che conferiscono al film , come è stato notato , un andamento meno lineare , più ellittico , più morbido ( e morboso ) che nella " Finestra sul cortile ". La trama , desunta da un " noir " francese abbastanza confuso, è tra le meno verosimili in Hitchcock e presterebbe il fianco a qualche riserva, se volessimo giudicare il film secondo i classici del genere. Ma ciò che interessa il regista è meno la coerenza logica degli sviluppi della vicenda quanto la progressione drammatica e psicologica del vero e proprio incantesimo amoroso del protagonista, fino al tragico epilogo ( mai film di Hitchcock, pur nell'apparente riscatto del personaggio maschile , fu più tragico quanto al significato ultimo di tale conclusione narrativa ). Il film non ebbe a suo tempo grandissimo successo di pubblico. Probabilmente in anticipo sui tempi, insolito per gli schemi classici del giallo ( la soluzione del mistero arriva per lo spettatore ben prima della fine ) non gli giovò - oltre che la complessità della trama , di cui si è detto - l'ambiguità , almeno apparente , del suo assunto morale. Un film " difficile ", se vogliamo chiamarlo così, nonostante Hitchcock - ma questo lo si capisce meglio vedendolo più volte - abbia seminato nel film stesso continui indizi che dovrebbero farci stare sul chi vive e non fidarci delle apparenze...
Accenno appena, in chiusura , a due aspetti che - pur nella grande diversità tematica e stilistica dei due films - li apparentano e fanno sì che li si riconosca subito come opere dello stesso autore.
In entrambi, infatti , vi è al centro ( sì, proprio al centro, anche se in " Finestra sul cortile " può apparire erroneamente marginale ) una relazione uomo - donna che permea di sè la vicenda e che costituisce molto di più che un semplice espediente amoroso. In Hitchcock, probabilmente attratto e terrorizzato al tempo stesso dalle donne, il rapporto tra i sessi non è mai facile ( quanti matrimoni scombinati od in crisi nei suoi film ! ) e si risolve positivamente solo dopo una "prova" ( separazione-incomprensione, situazione di pericolo , sofferenza comune ) che riavvicina o compone la coppia per la prima volta. Nella " Finestra sul cortile " il fotografo Jeff e l'indossatrice Liza, così diversi per carattere , ambiente sociale ed aspirazioni, pervengono ad un ( apparente ? ) compromesso solo dopo che l'uno e l'altra,nella sfida e nel pericolo , hanno imparato a capirsi meglio e ad abbandonare alcuni dei loro preconcetti. Piu complicato il rapporto , nella " Donna che visse due volte ", tra il poliziotto Scottie e Madeleine/ Judy, risolto solo da due evidenti manipolazioni ( quindi due " infingimenti " che non lasciano presagire nulla di buono ) il primo della donna nei confronti dell'uomo e poi , il più crudele , dell'uomo nei confronti della donna.
L'altro motivo comune alle due opere è la lotta del Bene contro il Male, un tema ricorrente nella stessa letteratura anglosassone e che è in particolare, come sappiamo , una delle caratteristiche dell' etica nordamericana. Ma più ancora , il tema della responsabilità verso sè stessi e gli altri che , depurato dai suoi aspetti più immediatamente confessionali , potremmo quasi definire " una lunga e continua preghiera laica " che informa di sè un mondo irto di difficoltà dai tempi dei primi colonizzatori ed in cui la solidarietà è di per ciò un valore essenziale e pertanto irrinunciabile. Jeff , ne " La Finestra sul cortile ", e con lui persino l'apparentemente vacua Liza Fremont e l' infermiera Stella non esitano ad impegnarsi personalmente per il trionfo del Bene, contribuendo a chiarire un orrendo omicidio. Ne " La donna che visse due volte " Scottie si impegna a favore dell' amico armatore anche se non ha verso di lui alcun obbligo particolare e la sua antagonista femminile non esita , alla fine , a favorire- anche contro il proprio evidente interesse - un definitivo chiarimento della vicenda.
Un critico britannico , Robin Wood , che ha scritto tra le analisi più penetranti dei film del maestro inglese, si chiedeva "se dobbiamo prendere sul serio i film di Hitchcock" , ovviamente rispondendo di sì con argomenti ben più convincenti dei miei. Aggiungerò solo che la " serietà " dei film di quest'ultimo , pur incontrovertibile e largamente presente, non va mai a scapito di una loro diffusa "godibilità" e di una " levitas " di trattamento che riscatta vicende spesso drammatiche e tematicamente complesse.
Difficile , per non dire impossibile, pronunciarsi su quale sia stato il più grande regista di tutti i tempi. Ma qualunque storia del cinema non può non riconoscere le sue eccezionali qualità , a cominciare dal grande rigore estetico accoppiato ad un costante rispetto per lo spettatore. Profondi per significati ed implicazioni morali, i suoi film sono tutt'altro che intellettualistici ed astrusi. Per " capirli " , cioè per apprezzarli e poterli giudicare, basta attivare quel minimo di attenzione che , anche nel divertimento, non guasta. E , nel contempo , non " opporre resistenza ", affidarsi al fluire delle immagini come se si stesse vivendo un sogno. Che poi il cinema , e forse tutta l'arte - potremmo interrogarci - non richiede da noi ( spettatori , lettori , ascoltatori ) proprio quella specie di abbandono della proprie istintive resistenze, quel coinvolgimento, quella involontaria "complicità " con l'artista che ci permette di cogliere, quasi a livello subliminale, ciò che questi intendeva di-mostrare ?
Dicevo, sempre a proposito de " Il peccato di Lady Considine ", che Hitchcock è un regista eminentemente " visivo " . Ora , tutto il cinema , qualunque film - che è per definizione un insieme di immagini in movimento- non può che essere " visivo ", qualcuno potrebbe obiettarmi . Ma non è purtroppo sempre così , come la nostra stessa esperienza di spettatori cinematografici si incarica di ricordarci.Quanto " teatro filmato ", quante immagini prive di vita , quante lungaggini narrative, quanto ricorso a dialoghi " esplicativi " di ciò che non si era stati capaci di farci " vedere " ci è toccato spesso sopportare ! Il " cattivo " cinema ( come, per le vie che ad esse sono proprie, la cattiva letteratura o la cattiva musica ) è , per me , quello che non sa " parlarci ", non risveglia i nostri sensi con la forza e l' immediatezza che siamo legittimati ad attenderci , in definitiva quello che ci annoia.Tutt'altro è quello che ci accade di sperimentare assistendo ad un film di Hitchcock. E non solo per via della fin troppo celebrata "suspence" ( se non sempre concreta, almeno psicologica o metafisica ) presente in tutti i suoi film. Ma perchè le immagini che vediamo susseguirsi sullo schermo sono tutte " significanti ", - una dopo l'altra- e tutte concorrono a far avanzare il film , scena dopo scena . Ed è una vera festa per i nostri sensi coglierle , assaporarle e lasciarci guidare dal loro potere evocativo, quasi "onirico " : sì , per tornare proprio al concetto di sogno del quale dicevo poc'anzi.
Due films di " Hitch " che ho voluto rivedere in questi giorni , sulla scia delle riflessioni cui mi aveva condotto quello di cui vi ho parlato la volta scorsa, mi confortano nella sensazione, mi scuso di ripetermi , che questo regista sia soprattutto uno splendido creatore di forme cinematografiche. Cioè, per l'appunto, non di semplici immagini "piatte" , ma di immagini " in rilievo ", dotate tutte del loro significato plastico , capaci di rendere vivi e vitali i personaggi , di animare la vicenda , di muoverla da sole insomma verso la sua conclusione "necessaria".
Parlo, a differenza del " Peccato di Lady Considine " che è un piccolo gioiello misconosciuto, di due opere molto note e che non richiedono quindi particolari presentazioni . La prima in ordine temporale è " La finestra sul cortile " ( " Rear window ", 1954 ). La seconda, forse il suo film più suggestivo ed uno dei più belli di tutti i tempi, " La donna che visse due volte " ( " Vertigo " , 1958 ). Sono film che , visti la prima volta , inducono allo stupore e all'entusiasmo per la loro perfezione tecnica, per il modo in cui viene svolta la vicenda, per il rilievo psicologico dei personaggi, non ultimo per il loro evidente significato morale. Ma sono anche film che- come vi confesso che ho fatto - vanno periodicamente rivisti , con eguale anzi maggiore giovamento . Film che, ad ogni visione , rivelano sempre qualcosa di nuovo e in cui l'emozione del fruitore si rinnova intatta, come per tutti i capolavori artistici cui ci accostiamo più volte , mai paghi. Shakespeare, Caravaggio , Beethoven non ci stancano mai. Perchè anche le grandi opere cinematografiche, quelle di Ford, Welles , Renoir, Rossellini, Hitchcock, per non citare che alcuni dei tanti mirabili "creatori di ombre ", non dovrebbero essere "consumate " più volte per il nostro piacere e per la nostra edificazione ?
" La finestra sul cortile " , tra i film del maestro inglese , è quello più rigoroso e lineare , che in una progressione geometrica e in un andamento corale magistralmente orchestrato, giunge ad una autentica conclusione " catartica ".Il personaggio principale ( uno James Stewart mai così convincente ) guarisce dal suo voyerismo, indotto-prima ancora che dalla forzata immobilità - da noia esistenziale e squilibrio affettivo, attraverso ( come spesso in Hitchcock ) una " prova " , una esperienza drammatica che lo renderà nuovamente capace di amare , emozionarsi , soffrire insieme agli altri. Il film della solitudine umana , dell' isolamento claustrofobico secondo alcuni critici, cede il passo ad una visione, almeno provvisoriamente, più serena e meno conflittuale. Girato interamente in uno studio cinematografico, ripreso quasi tutto " in soggettiva ", cioè dall'angolo di visuale del protagonista, ricco di tante vicende che si muovono parallelamente a quella principale, il film che ebbe a suo tempo grande successo e poi sparì dagli schermi per più di vent'anni, è stato mirabilmente restaurato alla fine del secolo scorso ed è tornato così al suo primitivo splendore cromatico. Accanto a Stewart, Grace Kelly ( la " bionda di ghiaccio " nella visione di Hitchcock ) fornisce qui una prestazione particolarmente buona ed è una autentica " icona " cinematografica , fasciata in abiti di gran classe, con un' aura assolutamente indimenticabile : si pensi alla sua entrata in scena, preceduta dalla sua ombra sul viso di Stewart e poi con il volto sorridente che occupa l'intero scherma e si china a baciarlo( ma sembra quasi che si chini per baciare noi spettatori... )
" La donna che visse due volte " sfugge invece , anche se è la storia , noi diremmo , di una sorta di " incantesimo " di un personaggio maschile ( ancora James Stewart ) per uno femminile ( Kim Novak , mai così bella e " animalesca " ) all' atmosfera di chiusura e di isolamento presente nel film precedente. Siamo non più a New York ma nella solare San Francisco e molte sono le scene " en plein air " che conferiscono al film , come è stato notato , un andamento meno lineare , più ellittico , più morbido ( e morboso ) che nella " Finestra sul cortile ". La trama , desunta da un " noir " francese abbastanza confuso, è tra le meno verosimili in Hitchcock e presterebbe il fianco a qualche riserva, se volessimo giudicare il film secondo i classici del genere. Ma ciò che interessa il regista è meno la coerenza logica degli sviluppi della vicenda quanto la progressione drammatica e psicologica del vero e proprio incantesimo amoroso del protagonista, fino al tragico epilogo ( mai film di Hitchcock, pur nell'apparente riscatto del personaggio maschile , fu più tragico quanto al significato ultimo di tale conclusione narrativa ). Il film non ebbe a suo tempo grandissimo successo di pubblico. Probabilmente in anticipo sui tempi, insolito per gli schemi classici del giallo ( la soluzione del mistero arriva per lo spettatore ben prima della fine ) non gli giovò - oltre che la complessità della trama , di cui si è detto - l'ambiguità , almeno apparente , del suo assunto morale. Un film " difficile ", se vogliamo chiamarlo così, nonostante Hitchcock - ma questo lo si capisce meglio vedendolo più volte - abbia seminato nel film stesso continui indizi che dovrebbero farci stare sul chi vive e non fidarci delle apparenze...
Accenno appena, in chiusura , a due aspetti che - pur nella grande diversità tematica e stilistica dei due films - li apparentano e fanno sì che li si riconosca subito come opere dello stesso autore.
In entrambi, infatti , vi è al centro ( sì, proprio al centro, anche se in " Finestra sul cortile " può apparire erroneamente marginale ) una relazione uomo - donna che permea di sè la vicenda e che costituisce molto di più che un semplice espediente amoroso. In Hitchcock, probabilmente attratto e terrorizzato al tempo stesso dalle donne, il rapporto tra i sessi non è mai facile ( quanti matrimoni scombinati od in crisi nei suoi film ! ) e si risolve positivamente solo dopo una "prova" ( separazione-incomprensione, situazione di pericolo , sofferenza comune ) che riavvicina o compone la coppia per la prima volta. Nella " Finestra sul cortile " il fotografo Jeff e l'indossatrice Liza, così diversi per carattere , ambiente sociale ed aspirazioni, pervengono ad un ( apparente ? ) compromesso solo dopo che l'uno e l'altra,nella sfida e nel pericolo , hanno imparato a capirsi meglio e ad abbandonare alcuni dei loro preconcetti. Piu complicato il rapporto , nella " Donna che visse due volte ", tra il poliziotto Scottie e Madeleine/ Judy, risolto solo da due evidenti manipolazioni ( quindi due " infingimenti " che non lasciano presagire nulla di buono ) il primo della donna nei confronti dell'uomo e poi , il più crudele , dell'uomo nei confronti della donna.
L'altro motivo comune alle due opere è la lotta del Bene contro il Male, un tema ricorrente nella stessa letteratura anglosassone e che è in particolare, come sappiamo , una delle caratteristiche dell' etica nordamericana. Ma più ancora , il tema della responsabilità verso sè stessi e gli altri che , depurato dai suoi aspetti più immediatamente confessionali , potremmo quasi definire " una lunga e continua preghiera laica " che informa di sè un mondo irto di difficoltà dai tempi dei primi colonizzatori ed in cui la solidarietà è di per ciò un valore essenziale e pertanto irrinunciabile. Jeff , ne " La Finestra sul cortile ", e con lui persino l'apparentemente vacua Liza Fremont e l' infermiera Stella non esitano ad impegnarsi personalmente per il trionfo del Bene, contribuendo a chiarire un orrendo omicidio. Ne " La donna che visse due volte " Scottie si impegna a favore dell' amico armatore anche se non ha verso di lui alcun obbligo particolare e la sua antagonista femminile non esita , alla fine , a favorire- anche contro il proprio evidente interesse - un definitivo chiarimento della vicenda.
Un critico britannico , Robin Wood , che ha scritto tra le analisi più penetranti dei film del maestro inglese, si chiedeva "se dobbiamo prendere sul serio i film di Hitchcock" , ovviamente rispondendo di sì con argomenti ben più convincenti dei miei. Aggiungerò solo che la " serietà " dei film di quest'ultimo , pur incontrovertibile e largamente presente, non va mai a scapito di una loro diffusa "godibilità" e di una " levitas " di trattamento che riscatta vicende spesso drammatiche e tematicamente complesse.
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