lunedì 13 luglio 2020

" MATTHIAS ET MAXIME " di Xavier Dolan ( Canada, 2019 )

Dopo il mezzo insuccesso di " Juste la fin du monde " ,  con attori e tecnici francesi, seguito dall'incolore " La mia vita con Joe Donovan " , girato negli Stati Uniti ed interamente in inglese, Xavier Dolan , l'ex " enfant prodige " del cinema quebecchese, superati ormai i trent'anni, è tornato a casa. Ed a casa , in quella Montréal dove si muove decisamente meglio che sotto altri cieli, altri accenti, altre prospettive,  ha ritrovato quell'ispirazione che, dopo il trionfo di "Mommy" che è di cinque anni prima,  sembrava insidiosamente appannata. Non fossero altri e maggiori i suoi meriti,in fondo la buona notizia che ci porta questo " Matthias et Maxime " è già questa. Dolan ha felicemente riannodato i fili che sembravano spezzati con il proprio retroterra culturale, il proprio passato, i propri fantasmi privati che gli dettano quelle immagini travolgenti, quella plasticità, quel  continuo movimento sottotraccia che fanno del suo cinema una festa per gli occhi e riscaldano la mente ed il cuore dello spettatore.

E per non farsi mancare nulla e celebrare degnamente il rientro alla base, il suo ultimo film è una intelligente ed emotivamente ricca rivisitazione di tutti i temi che costituiscono il  suo mondo interiore e corroborano costantemente l'assunto estetico che persegue la sua opera.  Potremmo definire i percorsi psicologico-emotivi, spesso tortuosi , dei suoi personaggi ed i tratti visivi che contraddistinguono il cinema di Dolan come una armonia( o disarmonia, se si preferisce ) degli opposti. Tante sono le contraddizioni,  anche di narrazione e di stile, che abitano i suoi film. Ma che, occorre dire, proprio la  visione di questi ultimi consente man mano di ricomporre ad unità. C'è uno scambio di battute all'inizio di " Matthias et Maxime " che mi pare al riguardo illuminante. Sentiamo infatti una  giovanissima amica di Maxime, incaricata dalla propria scuola di girare con una telecamerina e  in un minuto ( ! ) il tema degli opposti in natura - e già qui traspaiono gli abituali interessi di Dolan - affermare con baldanza che il suo film sarà " impressionista ed espressionista " al tempo stesso. " Ma questo è impossibile, si tratta di una contraddizione in termini " ribatte sornionamente lo stesso Dolan, che impersona Maxime. Sapendo bene  che proprio il suo cinema, che a volte sembra una tavolozza estremamente mossa e leggera, ricca di colori, "impressionistico " appunto, è poi anche solidamente costruito attorno ad un impianto drammatico, anzi melodrammatico che consente di esporre con vigore, dilatandoli, passioni, avversioni ed amori.

Luogo di elezione di opposizioni e contrasti, ora lievi ora forti, è in quest'ultimo film  il mondo dei giovani che- una volta di più - ne costituisce l'ambientazione, il "milieu ". Non più adolescenti o giovanissimi ma non ancora emotivamente e professionalmente " realizzati ", questi tardoventenni o neotrentenni che ne sono  i protagonisti sono essi stessi, d'altra parte, viventi contraddizioni : cresciuti in un relativo benessere, deresponsabilizzati spesso da genitori indulgenti, faticano a trovare, anche se lo vorrebbero, un punto fermo che ne favorisca la maturazione. Quando, come nel caso invece di uno dei due protagonisti, il più popolaresco Maxime contrapposto al più borghese e fortunato  Matthias , non siano costretti a guadagnarsi duramente da vivere e sognino. inquieti, di solcare cieli più clementi anche se lontani.  E sarà proprio la preparazione della partenza di Maxime per l' Australia dove spera di trovare fortuna ( e non c'è maggiore  opposto  geoclimatico del Canada di quella terra)  il motore della vicenda. Vicenda che ruota, come suggerisce il titolo, intorno ai rapporti tra i  due giovani.  Amici per la pelle da quando erano bambini ,essi si stanno in realtà allontanando per  i dubbi sulla propria identità sessuale che nutre Matthias  sentendo di essere fisicamente attratto da Maxime. Diversità, contraddizioni, oscillazioni nelle proprie inclinazioni, una volta di più. Al pari di tanti altri temi o semplici notazioni, cari  da sempre a Dolan, che si ritrovano anche in questo film e che ruotano intorno allo stesso concetto. Che è poi una semplice verità. Bianco e nero, diritto e rovescio, giusto e sbagliato, raramente si trovano allo stato puro. Più spesso li scorgiamo miscelati tra di loro o addirittura inestricabilmente legati. Prendete il clima del Québec (il film è ambientato  nel primo autunno).Esplosione di colori, fogliame giallo oro o rosso infuocato, certi giorni si può ancora andare a nuotare al lago. E poi d' improvviso una ventata d'aria gelida annuncia inesorabile le prime avvisaglie del grande freddo. Così, intimamente miscelati nella società quebecchese la tradizione e la persistenza francofona ( una francofonia antiquata come lessico e pronuncia ) con la modernità e la tecnica che battono prevalentemente bandiera anglofona.  Ma anche la tradizione e la fedeltà linguistico-culturale oggi sono in  via di progressiva erosione sotto l'influenza crescente angloamericana; senza, peraltro, che tutta la popolazione, e non solo quella più evoluta, sia ancora in grado di esprimersi fluentemente nella lingua del proprio storico vincitore.

 Vario, composito, scritto e diretto da Dolan in poche settimane con  attori giovani che sono anche suoi amici e qualche attore più smaliziato che compare in ogni suo film ( Anne Dorval, madre abituale, polo opposto ma come tale ineliminabile per il " figlio " Xavier ), " Matthias et Maxime " è stato accolto maluccio al Festival di Cannes dello scorso anno e poi, quando è uscito in sala, massacrato dalla critica francese che lo ha tacciato di " frettoloso " e di "ripetitivo", Accuse ingiuste se si pensa che non è certo una colpa essere rapidi nella concezione e nella realizzazione di un film : l'importante è il risultato che qui, proprio dal punto di visto tecnico-formale è quanto mai soddisfacente.  Quanto al tornare sugli stessi temi non vedo certo come potrebbe essere una colpa : come dire che De Sica, dopo  " Ladri di biciclette ", invece di " Miracolo a Milano " ed " Umberto D " avrebbe fatto meglio, poniamo, a girare un musical ambientato nell'alta società. Figurativamente splendido, curatissimo, sapiente nell'alternanza di stili, il film appare nondimeno sincero ed ispirato, e segna un nuovo gradino nella indagine che Dolan conduce ormai da dieci anni ( e ben otto film ) sulle ambiguità, le reticenze, le ansie e i timori della nostra epoca. Epoca- almeno prima del coronavirus- cosmopolita, movimentata ed apparentemente spregiudicata. Ma anche spesso sfuggente, piena di miserie, di "non detti ", di tante piccole viltà.  Insomma, una materia cinematograficamente perfetta.





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