Tra i maggiori registi di Hollywood, ma non sempre riconosciuto come tale mentre era in vita, Billy Wilder emerge, a vent'anni dalla scomparsa ,come uno dei cinque o sei dei quali non ci si stancherebbe mai di rivedere l'intera opera (venticinque lungometraggi in quarant'anni di attività, da " Frutto proibito " del 1941 a " Buddy Buddy " del 1981 ). Rivederla per assaporare proprio cosa significhi la " messa in scena " al suo meglio: un generoso dispendio di inventiva, di intelligenza e di sensibilità, un affettuoso rispetto per i propri personaggi, la massima onestà verso lo spettatore. Pochi altri autori come Wilder hanno il dono, anche nelle loro cose minori, di non annoiarci mai e di non ricorrere ai lenocini di una professione che ad essi indulge quando deve nascondere mancanza di idee e, soprattutto, di cuore. I suoi detrattori, per sminuire queste qualità, lo hanno accusato spesso di cinismo e di volgarità dandone per prova il lato "sgradevole " di certe situazioni presenti a volte nei suoi film e l'apparente compiacimento con cui queste verrebbero raffigurate. Si citano, in quest'ottica, quelli drammatici ( " Viale del tramonto " o " L'asso nella manica" ) ma anche certe commedie che, a ben guardare, forse tanto "leggere" poi non lo sono ( " L'appartamento ", " Baciami, stupido " ). Niente di più sbagliato. Il fatto è che Wilder non descrive il mondo come vorremmo che fosse, con gli occhiali rosa insomma di un buonismo che tende a celarne gli aspetti negativi, quanto piuttosto quale realmente è, quindi con l'approccio disincantato e vigile di un sincero moralista. Un moralista libertario e a volte perfino libertino ma sempre profondamente sincero nel dimostrare quanto la causa di molti mali stia nella mancanza di coerenza e nella discrepanza tra il nostro vero "io " e gli infingimenti di cui lo circondiamo. Tutto questo peraltro, specie nelle commedie, non con tono aspro e retorico quanto con tenera malizia e sorridente partecipazione alle peripezie dei personaggi usciti dalla sua fantasia. Un " Wilder touch " che ha preso qualcosa , certamente, da quello del suo maestro Lubitsch, ma che va anche oltre in fatto di malinconica consapevolezza delle cose, belle e brutte, della vita.
" Sabrina ", dei due film di cui intendiamo parlare, è senza dubbio il più piacevole. Quello che ebbe, da una parte e dall'altra dell'Atlantico, quando uscì, un enorme successo di pubblico e di fronte al quale anche la critica più prevenuta fu costretta a cedere il passo. Merito di una vicenda divertente e molto ben costruita cui lavorarono lo stesso Wilder, Samuel Taylor che era l'autore della commedia da cui era tratta ed il talentuoso Ernest Lehman che avrebbe firmato, cinque anni dopo,una delle più ingegnose sceneggiature di un film di Hitchcock, "Intrigo internazionale ". E merito anche di un " cast " assolutamente stellare : Audrey Hepburn reduce dai trionfi di quel " Vacanze Romane " che le aveva appena procurato un Oscar, semplicemente deliziosa; William Holden nella spesso abituale parte di un simpatico sciupafemmine che egli tratteggia con humour e bella presenza ; Humphrey Bogart infine, sorprendentemente a suo agio in un ruolo " leggero " per lui piuttosto insolito e che Wilder avrebbe voluto affidare al più idoneo, sulla carta, Cary Grant ma che questi non accettò. Ma ciò che corona il tutto è il modo con cui il regista riesce ad infondere nella semplice storia di una ragazza di umile condizione che riesce a far innamorare di sé due ricchissimi fratelli diversissimi tra di loro un significato sociale e morale niente affatto peregrino. Una dimensione perfettamente dosata che, nulla togliendo al carattere romantico e al ritmo ben sostenuto del film, gli conferisce uno spessore ed una sottile venatura di malinconia che ne rendono il fascino ancora più solido e duraturo nel tempo.
Decisamente più complesso nella struttura narrativa e nella psicologia dei personaggi, "Arianna " ( in originale " Love in the afternoon " ) che è di tre anni successivo a "Sabrina", conferma la capacità del regista di dare esistenza - e consistenza - cinematografica a vicende apparentemente al limite della credibilità. Storie alle quali però si finisce col prestar fede fino in fondo, ammaliati dalla eleganza figurativa di immagini mai banali e dalla diabolica abilità di Wilder ( co-autore della sceneggiatura insieme ad " Izzy " Diamond, divenuto da allora in poi suo collaboratore abituale ) di mantenere ritmo e rigore stilistico in una successione di sequenze una più perfetta dell'altra. E tutto questo non tralasciando, come già in Sabrina, di lasciarci al termine della visione con quel pizzico di malinconia appena velata che le sue storie, leggere e profonde al tempo stesso, racchiudono in ammirevole simbiosi con i momenti più esilaranti. Nella vicenda della giovanissima Arianna, verginale studentessa di violoncello al conservatorio di Parigi e figlia di un investigatore privato, che incontra il vero amore con uno stagionato, ricchissimo playboy al quale, da principio, fa credere di essere di costumi ben più disinvolti, Wilder ha incluso un apologo sui molteplici condizionamenti sociali e psicologici che limitano il nostro io, di una modernissima e palpitante verità. Gli attori, anche questa volta, lo servono a dovere. Audrey Hepburn ritrova nella filiforme Arianna un personaggio di grande freschezza, fascino ed eleganza ( costumi di Hubert de Givenchy ! ) che, come già per Sabrina, farà tendenza per un bel pezzo tra le sue coetanee e non solo. Maurice Chevalier, nella parte del padre investigatore,contribuisce a conferire al film una perfetta " allure " parigina in uno dei suoi migliori ruoli della maturità. Gary Cooper infine, leggermente troppo anziano per il ruolo perchè ancora una volta un "surrogato " dell'ultimo momento per un Cary Grant che non si decideva mai ad accettare una parte in un film di Wilder , fornisce qui una delle sue ultime e più toccanti interpretazioni. Molte le sequenze memorabili per i tempi " giusti " della commedia wilderiana , in cui ciò che si vede è più importante delle parole che si odono, il finale è uno dei più belli della storia del cinema, con quella lunga carrellata all'indietro di Audrey Hepburn che corre accanto al treno che sta partendo e di Gary Cooper sul predellino della carrozza ferroviaria indeciso sulle sue azioni, sui suoi sentimenti. Lì, mi sento di poter dire, c'è tutto il cuore ma anche tutto il relativismo sentimentale che fanno del cinema di Wilder una delle creazioni artistiche dei nostri tempi di maggiore finezza ed impatto emotivo.
Decisamente più complesso nella struttura narrativa e nella psicologia dei personaggi, "Arianna " ( in originale " Love in the afternoon " ) che è di tre anni successivo a "Sabrina", conferma la capacità del regista di dare esistenza - e consistenza - cinematografica a vicende apparentemente al limite della credibilità. Storie alle quali però si finisce col prestar fede fino in fondo, ammaliati dalla eleganza figurativa di immagini mai banali e dalla diabolica abilità di Wilder ( co-autore della sceneggiatura insieme ad " Izzy " Diamond, divenuto da allora in poi suo collaboratore abituale ) di mantenere ritmo e rigore stilistico in una successione di sequenze una più perfetta dell'altra. E tutto questo non tralasciando, come già in Sabrina, di lasciarci al termine della visione con quel pizzico di malinconia appena velata che le sue storie, leggere e profonde al tempo stesso, racchiudono in ammirevole simbiosi con i momenti più esilaranti. Nella vicenda della giovanissima Arianna, verginale studentessa di violoncello al conservatorio di Parigi e figlia di un investigatore privato, che incontra il vero amore con uno stagionato, ricchissimo playboy al quale, da principio, fa credere di essere di costumi ben più disinvolti, Wilder ha incluso un apologo sui molteplici condizionamenti sociali e psicologici che limitano il nostro io, di una modernissima e palpitante verità. Gli attori, anche questa volta, lo servono a dovere. Audrey Hepburn ritrova nella filiforme Arianna un personaggio di grande freschezza, fascino ed eleganza ( costumi di Hubert de Givenchy ! ) che, come già per Sabrina, farà tendenza per un bel pezzo tra le sue coetanee e non solo. Maurice Chevalier, nella parte del padre investigatore,contribuisce a conferire al film una perfetta " allure " parigina in uno dei suoi migliori ruoli della maturità. Gary Cooper infine, leggermente troppo anziano per il ruolo perchè ancora una volta un "surrogato " dell'ultimo momento per un Cary Grant che non si decideva mai ad accettare una parte in un film di Wilder , fornisce qui una delle sue ultime e più toccanti interpretazioni. Molte le sequenze memorabili per i tempi " giusti " della commedia wilderiana , in cui ciò che si vede è più importante delle parole che si odono, il finale è uno dei più belli della storia del cinema, con quella lunga carrellata all'indietro di Audrey Hepburn che corre accanto al treno che sta partendo e di Gary Cooper sul predellino della carrozza ferroviaria indeciso sulle sue azioni, sui suoi sentimenti. Lì, mi sento di poter dire, c'è tutto il cuore ma anche tutto il relativismo sentimentale che fanno del cinema di Wilder una delle creazioni artistiche dei nostri tempi di maggiore finezza ed impatto emotivo.
significhi la " messa in scena "
RispondiEliminadopo aver visto un https://igds.onl film, vi renderete conto: se uno parla o agisce con intenzioni pure, segue la felicità, che, come un'ombra, non lo lascerà mai.
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